Valutare e valutare la condotta Claudio Cereda, ScuolaOggi 21.3.2009
Il regolamento sulla valutazione è all'esame del Consiglio di Stato
e sarà ripreso in seconda e definitiva lettura dal Consiglio dei
Ministri tra una quarantina di giorni. Nella attesa è bene che inizi
la discussione e che si esprimano opinioni. Scrivere come fa il Regolamento che “la valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo” è ossigeno allo stato puro per i polmoni di un docente motivato e orgoglioso del suo lavoro. Valutazione dei processi, valutazione formativa, autovalutazione sono questi i nuovi riferimenti mentre i colloqui, le prove scritte, la osservazione, la interazione diventano gli strumenti. La riflessione sul significato del valutare non è più scritta in una circolare o nelle dispense di un corso di aggiornamento, per cui quando si arriva al dunque c’è un ispettore, o un DS che ti rimanda al Regio Decreto, è scritto nella legge di riferimento sulla valutazione: la scuola non è un tribunale ma un ambiente di crescita. L’esito finale deve esserci e ha anche un valore sanzionatorio e certificatorio ma non lo si determina con il bilancino e con la media aritmetica. Servirà fare un buon lavoro di formazione ma dovrebbero finire le domande del tipo “mi viene 5,8 cosa faccio?” “Il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento. Detti criteri e modalità fanno parte integrante del piano dell’offerta formativa.” Mi interessa qui la affermazione finale: i criteri fanno parte integrante del POF. La libertà di insegnamento (libertà di innovazione e ricerca non di fare quel che si vuole) viene dopo l’omogeneità, l’equità e la trasparenza. Affinché questi criteri della valutazione possano funzionare è ovviamente indispensabile che in ogni istituzione scolastica sia ben definito, descritto e praticato il principio dei “livelli minimi”, quello che garantisce la sufficienza e che tale principio sia oggetto di riflessione continua nelle riunioni di dipartimento, nella definizione degli obiettivi dei corsi di recupero, nella costruzione delle prove comuni.
Scrivo queste cose perché mi è ben nota la difficoltà psicologica
dei “docenti migliori”, quelli che fanno davvero ricerca e
innovazione, ad adattarsi a gabbie che vengono vissute come
accettazione di un ruolo impiegatizio. La soluzione sta in un
impegno di questi docenti ad essere in prima linea nella riflessione
sui livelli minimi. Condivido totalmente la scelta di far pesare la valutazione sul comportamento in maniera specifica nella valutazione complessiva. Ciò avviene a due livelli: nel far contare la condotta in sede di calcolo delle medie necessarie agli aspetti premiali (credito, borse di studio, …), nel fissare la insufficienza in condotta come condizione per la non promozione. L’impianto di tutti i provvedimenti di riforma emanati in questi anni è risultato essere modernissimo per quanto riguarda il tema degli obiettivi di cittadinanza. C’era però un rischio: che i riferimenti alla cittadinanza rimanessero delle parole vuote, roba da accademia. Chi lavora con i giovani sa che uno dei problemi della nostra società, a partire dalla famiglia, è il crollo del principio di autorità. La stessa parola “autorità” viene vista e percepita in senso negativo: tra autorevole e autoritario l’interpretazione pende sul secondo. Così chi si occupa di educazione si ritrova al fronte: crollo del senso del dovere, confusione tra omertà e solidarietà, mancanza di senso storico, incapacità a cogliere il proprio divenire lungo un asse temporale (la vita come insieme di fatti accostati l’uno all’altro). Il Regolamento richiama i Consigli di Classe su più aspetti: ci si deve rapportare in modo serio (in positivo e in negativo) alla valutazione di condotta, bisogna trasmettere messaggi positivi (10 è un bel voto e non una offesa come capita di sentire durante gli scrutini), bisogna convenire che lo studente migliore è quello più partecipe e non il pesce lesso. Tutto ciò non può che portare ad un miglioramento dei risultati educativi e ad una crescita della professionalità docente. In questo ambito si pone il problema della insufficienza in condotta che, come le altre insufficienze nelle singole materie, determinano la non promozione (la differenza è che qui non c’è appello). La scelta fatta di separare parzialmente il problema dei provvedimenti disciplinari da quello del voto mi pare opportuna. Si tratta di due problemi distinti ma correlati; la precedente impostazione ipotizzava la insufficienza solo in presenza di provvedimenti disciplinari gravissimi e dunque aveva le caratteristiche della “grida manzoniana”. Il DM di gennaio è stato giustamente abrogato (dopo essere stato disapplicato dalle scuole). I provvedimenti disciplinari, per avere un significato sul piano educativo, devono essere tempestivi, garantire che la punizione ci sia e venga vissuta dall’interessato come un “giusto fastidio”, non essere troppo macchinosi da emanare. Quale istituzione scolastica a fronte di un episodio grave quali telefonate derisorie fatte in gruppo a docenti durante una attività scolastica (è successo da me) si può permettere una lunga fase di accertamento, le necessarie verbalizzazioni, una convocazione del CDC, l’eventuale rinvio al CDI perché il CDC propone una sospensione oltre i 15 giorni, il CDI, i termini per il ricorso all’organo di garanzia, …? Lo si farà una volta e poi si deciderà di lasciar perdere per sopravvivere. A proposito di questo aspetto mi sembrerebbe opportuno affidare qualche potere in più al DS almeno per le sospensioni di lieve entità (ma ciò richiede una modifica allo statuto degli studenti). Per la insufficienza in condotta è necessario, a monte, almeno un provvedimento disciplinare e ciò, a sua volta, rinvia ai regolamenti dell’Istituzione Scolastica applicativi dello Statuto. Ma l’elemento di novità è che si rompe il vincolo tra gravità del provvedimento e voto di condotta. Ciò è interessante sia sul piano teorico (perché rafforza il messaggio che la valutazione del comportamento è una cosa seria) sia sul piano pratico (perché affida al CDC il dovere di valutare). Non si avrà cinque in condotta per una singola nota disciplinare ma sarà possibile usare la insufficienza in condotta come deterrente contro comportamenti sistematici fuori dalle righe. Aumenteranno le note? Quando mi capita di parlare di note disciplinari, dico sempre ai miei docenti che quando si dà una nota, nella maggioranza dei casi, si sta verbalizzando la propria sconfitta. Si sta mettendo a verbale di non essere interessanti o stimolanti (poi ci sono le eccezioni). Sarebbe interessante se le note e le minisospensioni diminuissero e acquistassero maggiore autorevolezza. Io penso che aumenterà la deterrenza del messaggio “a scuola si viene per crescere, la buona educazione, il rispetto delle regole, e il senso del dovere non sono degli optional”. Concludo osservando che il tema della cittadinanza e quello del motivare non sono automaticamente risolti dallo spauracchio del cinque in condotta. Ma non accetto la solita obiezione del “ben altrismo”. La domanda giusta da fare è: serviva una connessione forte tra legalità, cittadinanza, solidarietà, rispetto delle regole e promozione? Secondo me sì. |