Pdl Aprea:
s'avanza uno strano soldato, il vicedirigente
di Gianni Gandola e Federico Niccoli, ScuolaOggi
14.3.2009
In questo terzo ed ultimo articolo di
analisi della proposta di legge Aprea(1) esaminiamo un aspetto non
certo centrale ma comunque non irrilevante del testo stesso:
l’istituzione di una “vicedirigenza” delle istituzioni scolastiche.
Proposta non irrilevante in quanto costituisce un elemento di novità
nello scenario della “carriera” dei docenti e dei suoi possibili
sviluppi. Infatti: una volta c’era (e c’è tuttora) il docente
“vicario” o il vicepreside.
Occorre ricordare che sin dal tempo dei decreti delegati, i
“docenti incaricati di collaborare con il direttore didattico o con
il preside” erano eletti direttamente dal Collegio docenti (art.4
del DPR n.416/1974). Fra questi il Capo d’Istituto poteva scegliere
il docente “vicario” (o vicepreside), che ne faceva le funzioni “in
caso di assenza o di impedimento” (art. 3 del DPR n.417/1974). Era
quindi l’organo collegiale, nella sua natura di organo
tecnico-didattico, ad esprimere la propria rappresentanza,
attraverso formali elezioni. Si trattava sostanzialmente di un ruolo
di collaborazione generica, della quale il direttore/preside poteva
avvalersi, e che non aveva alcuna particolare connotazione in
termini di sviluppo della carriera.
Questa prassi è mutata con l’avvento della dirigenza scolastica. A
seguito della legislazione più recente “il dirigente scolastico
può avvalersi di docenti da lui individuati ai quali possono essere
delegati specifici compiti” (art.25 bis del Decreto lgs. n.59/1998).
E’ il dirigente stesso quindi a scegliersi i suoi collaboratori,
conferendo loro specifici incarichi.
Questa nuova configurazione dei docenti collaboratori è stata
sostenuta con convinzione soprattutto da chi, come noi, più che
pensare ad una dirigenza monocratica e autoritaria, intendeva
valorizzare il ruolo e l’importanza delle cosiddette “figure di
staff”. Il fatto cioè che il dirigente, nell’adozione delle scelte
di sua competenza (per le quali porta per intero la responsabilità)
e nella gestione di scuole autonome ma soprattutto sempre più
complesse fosse comunque supportato da figure di collaboratori, del
cui parere tenere conto e che costituissero in ogni caso una
autorevole rappresentanza (anche se non più eletta, ma nominata) del
corpo docente.
Si trattava in ogni caso di una “inversione di tendenza” (i
collaboratori non erano più espressi dal Collegio, ma individuati,
scelti direttamente dal dirigente scolastico). Questi docenti
collaboratori, per lo svolgimento delle loro funzioni, avevano poi
un riconoscimento economico a carico del Fondo di istituto,
contrattato scuola per scuola con la RSU (il dirigente infatti non
ha mai avuto a disposizione un proprio budget per compensare i
docenti collaboratori da lui incaricati).
Si prospetta ora, nel nuovo testo presentato alla Commissione della
Camera, una “terza via”. Si delinea una figura professionale del
tutto inedita nel panorama scolastico del nostro paese: la
figura professionale del vicedirigente. L’art.18 del nuovo
testo infatti ne prevede l’istituzione raccogliendo, probabilmente,
istanze di derivazione A.N.P. (le “alte professionalità docenti
della scuola”). Il vicedirigente si presenta chiaramente come una
diversa articolazione della funzione docente, come una vera e
propria progressione di carriera. Alla qualifica di vicedirigente si
accede, infatti, mediante procedure concorsuali per titoli ed esami,
indette dal MIUR a livello regionale con cadenza periodica. A questi
concorsi sono ammessi i docenti ordinari e i docenti esperti, in
possesso di laurea. Superato il concorso, si verrebbero a costituire
vere e proprie graduatorie di idoneità permanenti di livello
provinciale per ogni ordine e grado di istituzioni scolastiche. Il
vicedirigente svolgerebbe “attività di collaborazione diretta
col dirigente scolastico, secondo le indicazioni di quest’ultimo e
nel rispetto dell’indirizzo organizzativo della scuola stessa”.
Non possono essere delegati al vicedirigente atti di gestione di
natura discrezionale e atti conclusivi di procedimenti
amministrativi, fermo restando che, in caso di assenza del
dirigente, il vicedirigente lo sostituisce a tutti gli effetti. La
qualifica di vicedirigente implica “sovraordinazione
gerarchica rispetto ai docenti per le funzioni delegate e nel caso
di sostituzione del dirigente”.
Questa nuova figura suscita non poche perplessità. Il fatto di
affiancare il dirigente scolastico con figure professionali di
supporto nella conduzione di scuole sempre più complesse e difficili
da gestire di per sé non può che essere positivo e da incentivare
(basti pensare, a questo proposito, alle difficoltà in cui versano
ad esempio molti istituti comprensivi).
Sappiamo però che la gerarchia e la “gerarchia della gerarchia”
affascina ampi settori della dirigenza scolastica, che non hanno
voglia di misurarsi con la conquista sul campo della leadership
autorevole, ma affidano le loro sorti di “capo” alla sola
rappresentazione di se stessi come espressione di potere legittimato
dal riconoscimento istituzionale della apicalità della funzione. In
questa logica risultano, pertanto, benvenute figure intermedie di
“superiorità gerarchica” che fanno ulteriormente brillare come
stella di prima grandezza il dirigente scolastico, decisore ultimo
dei destini dell’istituzione.
Ma, nella logica della scuola-servizio e dell’istituzione
scolastica espressione di autonomia funzionale che provvede
alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa questa
strana figura professionale del vice-dirigente rischia di alterare
profondamente la connotazione del dirigente, ricollocandolo nel
vecchio, e da alcuni ancora tanto amato, ruolo di presidio
periferico dell’amministrazione centrale. Verrebbe esaltata,
infatti, la sola funzione di controllo del dirigente
scolastico rispetto alle azioni degli operatori scolastici,
sottoposti gerarchicamente. E’ bene intendersi su questo punto. Noi
non pensiamo ad un dirigente “disarmato e senza alcun potere”,
ma riteniamo che la funzione di controllo, pur essenziale, debba
sostanziarsi in un’azione disciplinatrice dell’altrui attività, che
deve uniformarsi al valore ed al fine da conseguire.
Più esplicitamente: il controllo ha senso solo se rappresenta uno
dei tre momenti di quell’azione complessa connotata dal potere di
indirizzo (promozione + coordinamento + controllo).
Nella scuola dell’autonomia, il dirigente scolastico deve esercitare
anche la funzione di controllo, quale rappresentante
legale dell’istituzione. Ma non si tratta di un controllo gerarchico
sui dipendenti, ma piuttosto di un controllo finalizzato al
raggiungimento dell’unico scopo dell’istituzione (il successo
formativo di tutti e di ciascun allievo), che deve legare
indissolubilmente tutti i protagonisti dell’offerta formativa
dell’istituzione.
Sarà, quindi, l’istituzione scolastica, nelle sue organizzazioni
collegiali, a scegliere le migliori articolazioni funzionali al
perseguimento dello scopo, senza ulteriori interposizioni di figure
sovraordinate gerarchicamente, che non solo possono appesantire le
strategie per l’erogazione dell’offerta formativa, ma rischiano di
dirottare su percorsi indesiderabili (la riproposizione di una
figura di comandante in capo)la figura, la funzione e il ruolo del
dirigente scolastico.
E’ pur vero che ci sarà senz’altro qualcuno che, piuttosto che
riconoscere la funzionalità di incarichi assegnati direttamente dal
dirigente scolastico, preferirebbe una figura esterna,
apparentemente “neutra” in quanto emersa da un concorso. Ma è
altrettanto vero che si romperebbe, in questo modo, qualsiasi forma
di rappresentanza e di espressione, anche indiretta, con il Collegio
docenti della scuola (un dirigente avveduto nomina suoi
collaboratori docenti che in qualche modo sono “riconosciuti”,
professionalmente e personalmente, dal Collegio docenti e non
insegnanti di scarso spessore o yesman…).
Non solo, ma questa duplicità di figure dirigenziali distinte, anche
se non di “pari grado” ma sovraordinate, potrebbe generare non pochi
problemi di “coesistenza” (cosa succede se dirigente e vicedirigente
non “vanno d’accordo” e non collaborano proficuamente? E se il
vicedirigente, che è pur sempre una articolazione della figura
docente, non è in sintonia con il Collegio che lo avverte come
un’altra figura “estranea”?).
In buona sostanza, non ci sembra che l’istituzione formale della
“vicedirigenza” sia una grande trovata. Così come è configurato, il
“vicedirigente” appare piuttosto come un’articolazione della
professione docente inutile, di cui non si sente
affatto la mancanza. Il vero problema, semmai, è quello di una
“buona dirigenza” e di uno staff di docenti collaboratori
all’altezza del compito. Non servono figure aggiuntive e ulteriori
gradini nella scala gerarchica.
(1) NOTA
Vedi i precedenti:
“La proposta di legge Aprea: un testo con poche luci e molte ombre”