SCUOLA MEDIA

Bertagna: alcune idee per una ricostruzione

Giuseppe Bertagna, il Sussidiario 4.3.2009

 

Come esposto in un precedente intervento, l’irrisolto rapporto tra una scuola elementare nata per il popolo e una scuola media originariamente finalizzata all’élite sociale borghese è alla base del fallimento, certificato anche dai test internazionali, degli apprendimenti scolastici degli allievi tra i 9 e i 12 anni. Come sciogliere questo nodo e restituire qualità alla attuale scuola media?

È sulla «giuntura mancata» tra gli ultimi anni della scuola primaria e i primi della scuola secondaria di I grado, del resto, che sarebbe stato necessario intervenire per rendere meno proclamata e più praticata la funzione democratica equitativa dell’istruzione obbligatoria ai fini dell’uguaglianza sociale e culturale dei cittadini. E, naturalmente, intervenire con provvidenze che fossero congrue alle diagnosi condotte nel precedente intervento: per esempio, considerare in maniera unitaria queste due scuole; attribuire alle eventuali qualificazioni di «primaria» e «secondaria di I grado» significati soltanto epistemologici, non di stratificazione ordinamentale, organizzativa, culturale; introdurre una formazione iniziale dei docenti delle due scuole che fosse di pari dignità educativa e culturale e di pari durata, senza gerarchizzazioni rivendicate o dissimulate tra maestri e professori; praticare una didattica che connettesse in maniera sistematica, sebbene a livelli di complessità diversi, teoria e pratica, saperi disciplinari e vita, ragione ed esperienza, studio ed «opera»; incrementare a mano a mano che si andava oltre la terza classe della scuola primaria la flessibilità e la ricchezza degli orari, dei servizi e degli interventi formativi rivolti agli alunni per rendere davvero effettiva la funzione compensativa della scuola nei confronti di chi avesse avuto maggiori svantaggi sociali e culturali; assicurare, inoltre, a chi ne avesse maggior bisogno, qualificate e personali funzioni di orientamento e di tutorato.

Sono sotto gli occhi, tuttavia, le difficoltà e le contraddizioni che hanno coinvolto la politica scolastica adottata in questo settore. La retorica dell’identità delle due scuole ha prevalso. Cosicché tra chi ha esaltato come la «migliore al mondo» la scuola che molti si ostinano tuttora, nonostante tutto e perfino una legge (la n. 53/03), a chiamare «elementare» e chi ha rimproverato a questa scuola di non essere altro che intrattenimento socializzante, senza preparare alle «durezze» cognitive della scuola secondaria di I grado di conseguenza costretta a dequalificarsi, il risultato è stato, paradossalmente, quello di mantenere i problemi che, al contrario, andavano risolti.

L’ipotesi Berlinguer della «scuola di base» settennale che eliminava le due tradizionali scuole storiche per fonderle in un nuovo percorso (legge 30/2000) è stata respinta e fatta fallire. Anche l’ipotesi del Gruppo Ristretto di Lavoro insediato dal ministro Moratti nel 2001 (un primo ciclo di istruzione dai 6 ai 14 anni, articolato in quattro bienni unitari che facessero progressivamente passare gli allievi da uno studio epistemologicamente primario ad uno studio secondario per maturare competenze da documentare nel portfolio personale; docente prevalente fino alla terza classe della scuola primaria e poi progressivo ampliamento del numero dei docenti, ma senza giungere ai minimo nove attuali della prima media; istituzione di un docente coordinatore tutor che accompagnasse i piani di studio personalizzati degli allievi e, in particolare, di quelli con maggiori problemi di apprendimento; pari dignità e durata dei percorsi di formazione iniziale dei docenti) ha subito, prima, con la legge n. 53/03 alcune non irrilevanti modifiche peggiorative e, dopo, è stata in pratica affossata dalle epilettoidi vicende del bipolarismo politico ossessivo degli anni 2001-2006, spalleggiato dal corporativismo dei sindacati della scuola, nonché dal «cacciavite» di Fioroni del 2006-2008.

In questo modo, alla fine, stagione Gelmini, ci si è ritrovati, come se nulla fosse e con un dissenso di gran lunga inferiore a quello riservato al tentativo di riforma Berlinguer o Moratti, trent’anni dopo, al punto di partenza:

a) ritorno del «maestro unico», più qualche frattaglia aggiuntiva di riempimento, nella primaria e dei «nove professori» fin dalla prima media;

b) due modalità diverse e gerarchiche per la formazione iniziale dei docenti della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado, così da impedire ancora una volta, per altri trent’anni, ogni permeabilità istituzionale, ordinamentale e organizzativa tra il ruolo dei maestri e dei professori (soluzione Israel);

c) niente metodologia didattica dell’experiential learning, del laboratorio, dello stage, del tirocinio formativo, dell’«apprendistato», in una parola dell’alternanza scuola lavoro fino ai 16 anni, perché fino a questa età bisogna studiare solo sui libri di testo, imparare a memoria regole e poesie o rispondere ai quiz dell’Invalsi;

d) ritorno in grande stile della formula organizzativa della «classe» contro ogni tentativo di lavorare a sistema con maggiore flessibilità per gruppi di livello, di compito ed elettivi;

e) niente portfolio delle competenze personali e reintegrazione a gran voce degli antichi «voti» di profitto e di condotta (come negli eserciti di due secoli fa);

f) niente tutor per gli allievi e percorsi formativi personalizzati perché comprometterebbero l’unico uniformismo egualitarista immaginato dagli apparati ministeriali e sindacali;

g) nessuna responsabilità formale di qualcuno per il coordinamento del lavoro educativo e didattico dei docenti, salvo la conferma di un dirigente scolastico a cui si richiedono mille competenze fuorché quelle didattico-educative e di una mitica collegialità del consiglio di classe i cui limiti sono documentati da quando la si è cominciata a decantare come taumaturgica.

È questo il nuovo che avanza? È con questi interventi che si pensa di risolvere i problemi che si sono ricordati e di dare un’anima alla scuola media? Non è che la scuola secondaria di I grado si avvia soltanto a diventare il capro espiatorio di inadeguatezze tecniche e dell’impotenza del riformismo politico di cui è già stata e continua ad essere, purtroppo, vittima?