“Riordino” dell’Istruzione Superiore:
nozze coi fichi secchi?
Antonio Valentino, ScuolaOggi
31.3.2009
Una prima distinzione
Due considerazioni preliminari prima
di entrare nel merito di alcune questioni riguardanti i nuovi
Regolamenti dell’Istruzione Superiore.
La prima: l’operazione di Riordino (forte riduzione degli indirizzi,
riduzione del monte ore, aggiornamento e ridefinizione dei profili
in uscita individuati come fondamentali, a seguito delle
trasformazioni tecnologiche e professionali) è stata tentata negli
ultimi 10-15 anni da tutti i governi che si sono succeduti e
variamente inserita in processi di riforme più generali. Tutti i
governi erano più o meno arrivati alle stesse conclusioni di quelle
ora proposte.
La seconda: i Regolamenti fatti circolare, almeno quelli
dell’Istruzione Tecnica e Professionale, sono qualcosa di più del
semplice “riordino”. La configurazione del primo biennio e del
quinto anno, le “articolazioni” degli indirizzi del secondo biennio
(almeno per il settore tecnologico e per gli indirizzi
dell’Istruzione professionale), la proposizione della didattica
laboratoriale e dei curricoli per competenze come scelte di fondo,
esprimono un’”ambizione” di quasi-riforma.
Nell’operazione in atto è possibile distinguere poi tra:
a. scelte volte a inserire nel sistema alcune misure di natura
organizzativa (l’estensione a tutte le scuole superiori dei Comitati
Tecnico-Scientifici – CTS -, dei Dipartimenti e dell’Ufficio Tecnico
–UT -);
b. scelte destinate a incidere sul curricolo (l’articolazione del
quinquennio in due bienni e in un anno terminale; la riduzione
dell’orario a 32 ore; l’area di flessibilità fortemente accresciuta;
l’integrazione degli insegnamenti dell’area scientifica nel primo
Biennio; la presenza, almeno nel settore tecnologico, di
insegnamenti a carattere orientativo-propedeutico rispetto al
triennio successivo; “articolazioni” per alcuni settori dell’area di
specializzazione);
c. scelte strutturali (che riguardano sostanzialmente l’Istruzione
professionale).
Qui mi soffermerò sulle ultime due.
Flessibilità e opzioni
Rispetto alle scelte relative al
curricolo, quello che a prima vista colpisce di più è l’accresciuta
area di flessibilità (fino al 35% del curricolo nell’ultimo anno nei
Tecnici; fino al 40 % nei Professionali).
Comunque, per una corretta lettura delle quantità proposte per la
flessibilità, bisognerà aspettare un successivo provvedimento
ministeriale che dovrà definire “gli ambiti, i criteri e le modalità
per l’ulteriore articolazione delle aree di indirizzo …., negli
spazi di flessibilità …. “ (art. 8 del Regolamento, comma 2b -).
Al riguardo, l’interrogativo più importante penso sia il seguente:
l’area della flessibilità può diventare area delle opzioni? Cioè lo
spazio degli insegnamenti “alternativi” (per quanto circoscritti
all’area della professionalità scelta) all’interno dei quali gli
studenti possano selezionare materie che permettano curricoli
personalizzati? E, quindi, spazi di protagonismo (motivazione) e
responsabilizzazione (autonomia) dello studente? E se sì, quali
dispositivi e passaggi vanno esplicitati?
Interrogativo non di poco conto, penso.
Quanto all’orario, la sua riduzione non comporterà una diminuzione
del tempo scuola degli studenti se la durata delle lezioni ritornerà
a 60 minuti.
Sulle copresenze (tra insegnante così detto di teoria e Insegnanti
Tecnico Pratici), non sappiamo ancora come il problema verrà
affrontato nel provvedimento sugli organici. Quello che le scuole
sanno comunque è che una riduzione delle copresenze nelle materie
che prevedono laboratorio, soprattutto, ma non solo, nelle classi
del primo biennio (dove c’è anche un problema di sicurezza),
significherebbe una forte diminuzione della qualità
dell’insegnamento.
Come cambia l’Istruzione
Professionale
Per gli Istituti professionali invece
le scelte del Regolamento hanno il carattere di veri e propri
cambiamenti strutturali.
Rispetto all’impianto, le novità sono particolarmente rilevanti:
- Articolazione “allineata” agli altri ordini di scuola (2+2+1),
- scompare la Qualifica a conclusione dell’attuale primo triennio,
- le aree vengono ristrette a due (Industria e Artigianato e
Servizi),
- gli indirizzi si riducono complessivamente a sei.
E’ da richiamare anche la scomparsa della “Terza Area” nell’attuale
Biennio terminale di specializzazione. Penso che saranno in pochi
però a lamentarsene, anche se, prima di diventare quella cosa
inconsistente che è oggi, per responsabilità dei vari attori
(Regioni, Ministero, Scuole), è stata un segmento formativo
importante e intrigante
Qualche riflessione sul venir meno della Qualifica: indubbiamente
essa è servita per diversi lustri ad attrarre i più deboli e
demotivati. La sua comparsa potrebbe ancora avere però conseguenze
negative, in termini di “appeal” per un tipo di popolazione
scolastica che da una “IP con la qualifica” ha tratto motivo di
emancipazione e recupero sociale. Va però anche detto che la
stragrande maggioranza dei nostri ragazzi che consegue la qualifica,
si iscrive al Biennio terminale.
Non sto a richiamare le ragioni di tali scelte che rinviano in parte
alla riforma costituzionale del Titolo V (L.C. n. 3/2001). Può
comunque essere valutato, credo, positivamente non solo il fatto che
l’Istruzione Professionale non si sia “liquefatta” nella FP, ma
anche che non sia confluita nella Tecnica. L’allineamento al modello
2+2+1 porta poi a ricomprendere l’IP, a tutti gli effetti - e senza
problemi che l’attuale articolazione di 3+2 avrebbe potuto sollevare
- dentro i comuni processi per l’innalzamento dell’obbligo. E può
significare, per l’IP, la conquista , nel sistema nazionale, di un
posto specifico non più da cenerentola; una sorta di
ri-qualificazione.
Ma questo obiettivo deve fare i conti, oggi, con i problemi che pone
la particolare utenza di questo settore di Istruzione. Il suo
perseguimento non può infatti che essere legato ad un insieme di
misure specifiche, in cui siano coinvolti tutti i soggetti
interessati (regioni, ministero, scuole), capaci di garantire
condizioni di successo ad un settore che è diventato, nel corso
degli anni, il luogo dove svantaggio e demotivazione mordono di più.
Di questi problemi di marginalizzazione diffusa e di difficoltà
oggettive di cui gli IP soffrono – e continueranno a soffrire almeno
fino a quando non prevarrà una diversa cultura dell’orientamento (e
non solo) - la bozza di Regolamento però tace del tutto (parla
invece – e in termini piuttosto discutibili - l’Intesa di metà marzo
fa tra Formigoni, Presidente della Regione Lombardia, e il Ministro
Gelmini. Ma questa meriterebbe un approfondimento a parte).
Condizioni di fattibilità e di
successo
Mentre per il Riordino dei Licei penso
che il nuovo Regolamento prefiguri scelte molto distanti dalla
soglia minima di accettabilità (nel senso che occorrerebbe pensare
ad una sua sostanziale riscrittura), per l’Istruzione tecnica e
professionale, invece, le proposte fatte si prestano ad una diversa
valutazione, come in parte anticipato in alcuni commenti precedenti.
Ritengo cioè - anche in ragione di una istintiva disponibilità (dopo
i ripetuti insuccessi dei tanti tentativi di riforma) verso proposte
di cambiamento sensato per quanto modesto – che diverse scelte dei
due Regolamenti potrebbero ben avviare qualche significativo
processo di qualificazione del sistema Istruzione. Andrebbero però
garantite preliminarmente alcune condizioni:
● che ci sia una effettiva attenzione
ai piani di fattibilità di alcune innovazioni previste (penso in
prima battuta agli spazi di flessibilità e a dispositivi rigorosi ma
non rigidi sulla questione organici)
● che chi di dovere si faccia carico
delle preoccupazioni e delle attese del mondo della scuola - e non
solo -, relativamente ad alcuni rischi riguardanti soprattutto
l’unitarietà del sistema e l’uguaglianza delle opportunità degli
studenti.
In altri termini, perché l’operazione
Riordino non si riduca a semplice per quanto necessaria
razionalizzazione dell’esistente, è fondamentale abbandonare una
logica di puro risparmio. Le innovazioni di un qualche peso, proprio
come i matrimoni del famoso detto popolare, non si possono fare coi
fichi secchi.
Volendo comunque individuare delle priorità tra i possibili campi di
attenzione e di approfondimento, volte a dare all’operazione
“Riordino” un respiro riformatore, indicherei le seguenti:
- Rivendicare garanzie su copresenze e coordinamento delle attività
laboratoriali;
- Attivare percorsi formativi molto mirati sulle competenze
professionali considerate strategiche;
- Dare maggiore “consistenza” (concretezza ed evidenza), attraverso
opportune misure o specificazioni, a quegli elementi che
garantiscono qualità e valore all’operazione in atto.
Mi riferiscono soprattutto
● all’area comune a tutti gli
indirizzi, soprattutto nel primo Biennio (nella consapevolezza che
una comune e intelligente cultura generale, seppure diversamente
declinata, crea coesione e positiva identità nazionale),
● alla propedeuticità del primo
Biennio rispetto al Triennio,
● alle scienze integrate (di cui vanno
sciolte le ambiguità dell’ultima versione che ripropongono di fatto
una sorta di “spacchettamento” delle discipline integrate),
● ai “Poli tecnico professionali”,
● all’area dell’opzionalità (secondo
le linee di lavoro prima sommariamente accennate a proposito degli
spazi di flessibilità),
● Rendere operativo il provvedimento
sull’innalzamento dell’obbligo scolastico (DM 139/2007), da assumere
come vero e proprio “cavallo di battaglia”, soprattutto per i suoi
richiami alle competenze chiave di cittadinanza.
Va comunque richiamato e sottolineato che, se si vuol dare un futuro
alla Istruzione superiore di questo paese, una logica di puro
risparmio non tiene. Va benissimo la lotta agli sprechi, ma non si
pensi che senza investimenti (nel nostro caso, reinvestimenti), si
possano fare passi in avanti.
Il ministro Tremonti lo sa. Probabilmente anche la ministra Gelmini.
Ma l’impressione che si ha è che anche questa volta la sfida sarà
rinviata a tempo indeterminato.
Potremo comunque sempre consolarci con i corsi di recupero e le
iniziative ministeriali contro il bullismo. Vuoi mettere?