Integrazione: tornare indietro
non è accettabile
Con la convinzione che la storia
dell'integrazione scolastica degli alunni con disabilità abbia dato
il via ad un processo per sua natura irreversibile, appare però
quanto mai necessario un impegno sempre più consistente, che veda
collaborare concretamente gli insegnanti e le associazioni delle
famiglie di alunni con disabilità. Troppi, infatti, sono gli
elementi di preoccupazione, in una situazione instabile e con
"nostalgie per il passato" che spesso si riaffacciano. Un'ampia
analisi dedicata al presente dell'integrazione e destinata anche a
far discutere
di Evelina Chiocca* da
Superando,
29.3.2009
Riforma e cambiamento
sono le parole che hanno caratterizzato questi ultimi anni, e la
scuola, più di altre realtà, è stata oggetto e destinataria di
modifiche, anche radicali. Fino ad oggi, il processo di integrazione
è uscito indenne dai ritocchi via via approvati e tuttavia, in
quest'ultimo periodo, le modifiche apportate alla scuola pubblica,
senza confronto né dibattito con gli operatori
scolastici e con i rappresentanti della società civile, inducono a
maggiore cautela e ad assumere un atteggiamento di difensiva, perché
qualcosa "non quadra".
Infatti, se la normativa sull'integrazione resta vigente (Legge
104/92, sentenze, decreti ecc.), alcune "correzioni",
all'apparenza lievi, introducono elementi di preoccupazione.
Si taglia e si aumenta: i "meno" e i
"più"
La riforma scolastica - che fra l'altro riporta il "maestro
unico" nelle aule della scuola primaria e ripristina la valutazione
in "decimi" - è stata imposta da questioni di carattere puramente
economico: infatti, la parola d'ordine è stata ed è
"tagliare", senza alcuna alternativa.
I "meno"
I tagli - ovvero i "meno" - interessano àmbiti diversi: dal
numero degli insegnanti, destinato a ridursi di circa
90.000 unità nei prossimi tre anni, al numero dei plessi,
con il preventivato accorpamento (slittato di un anno); dal
numero delle scuole "soppresse" quale conseguenza dell'aumento
del numero degli alunni in ogni classe alla riduzione delle ore
di lezione, per i tagli al tempo-scuola; fino ai tagli alle
classi di concorso, con l'accorpamento di alcune discipline o
ambiti disciplinari.
Non si salva nemmeno il tempo pieno, tanto caro
alla tradizione italiana, per altro garantito a tutte le famiglie
che ne faranno richiesta: nella pratica, però, esso non sarà
fruibile da tutti, perché destinato a scontrarsi, da un
punto di vista organizzativo, con le indicazioni contenute nella
legge stessa.
I "più"
Gli aumenti - ovvero i "più" - riguardano in particolare il
numero degli alunni per classe: dal ritoccato e
aumentato numero "minimo" fino alla liberalizzazione del numero di
alunni con disabilità per classe, arrivando in tal
modo ad "intaccare" quello spazio, fino a ieri rispettato, destinato
all'integrazione scolastica.
È risaputo, infatti, che un elevato numero di alunni nelle singole
classi costituisce un ostacolo al processo di inclusione:
aumentare significa tralasciare, far slittare, rinunciare, abdicare,
se non delegare l'integrazione al solo insegnante di sostegno o
all'assistente di turno (impropriamente utilizzato). Significa non
offrire possibilità e opportunità. Significa, in sintesi, "chiudere"
un'esperienza per aprirne una completamente diversa, di
fatto opposta.
Anche i tentativi per condurre il Ministro su una strada più
ragionevole, con l'invito a limitare i danni fissando almeno dei
tetti al numero degli alunni disabili per classe, orientano
l'integrazione verso prospettive, a nostro avviso,
peggiorative. Perché, come abbiamo ribadito più volte,
quando si parla di integrazione, non si può fare riferimento alla
logica dei numeri, che mai rispondono al
riconoscimento dei bisogni del singolo. L'alunno con disabilità dev'essere
destinatario di risorse e provvedimenti che gli siano utili e
necessari: per lui, non per le medie
numeriche o per ragioni di puro calcolo economico.
Aumentano, infine, anche gli "affidi" a personale educativo (assistenti
alla comunicazione, ad personam ecc.) sovente non
adeguatamente preparato e in ogni caso destinato ad «azioni
educative e di autonomia»: a questo personale vengono richieste
prestazioni didattiche con interventi che, spesso, si traducono in
"surroghe" dell'attività degli insegnanti stessi.
La divisione-esclusione
In molte scuole italiane stanno aumentando alcune
iniziative, salutate con entusiasmo: si tratta di
"contenitori" destinati ai soli alunni con disabilità,
spacciati come "laboratori esclusivi" e dai presupposti innovativi.
In realtà sono spazi che contribuiscono alla divisione, in quanto
"separano" l'alunno con disabilità dal resto della classe,
vanificando ogni presupposto di inclusione.
Viene da chiedersi se tutto questo non sia il preludio per
un ritorno alle classi speciali, visto anche che,
ultimamente, i "ritorni" sono in auge...
Purtroppo non sono poche le scuole in cui, accanto alle classi
ordinarie, si sono "creati" spazi denominati di volta in volta
nucleo potenziato o classe speciale, quando non
stanza del sorriso o stanza delle autonomie, aula
delle buone prassi o altri fantasiosi appellativi. Realtà che
le scuole presentano sempre all'insegna dell'innovazione e quale
buona prassi: di fatto, però, con l'allontanamento degli alunni con
disabilità dalla classe di appartenenza, questi luoghi
contribuiscono al fallimento del processo di inclusione.
Altre situazioni - analoghe nel principio - riguardano alcuni Centri
di Formazione Professionale, titolati all'assolvimento dell'obbligo
formativo, che, in alcune Regioni, si sono visti imporre precise
restrizioni in merito all'utenza: possono infatti accogliere
soltanto studenti certificati in conformità alla Legge 104/92
o accompagnati da una relazione socio-sanitaria.
Si paventa inoltre la possibilità di istituire scuole-polo,
presso le quali gli insegnanti di sostegno acquisirebbero la
titolarità: da qui "partirebbero", destinati alle sedi dove sono
presenti alunni con specifiche patologie o sindromi, per le quali
sono stati preparati. Una visione, questa, che come
CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno) - proprio
perché crediamo fortemente nel processo di inclusione e in una
dimensione onnicomprensiva della persona destinataria degli
interventi educativo-didattici - ricusiamo con
determinazione. E ricusiamo anche ogni tentativo che vuole
insegnanti vestiti da infermieri, camuffati da
specialisti sanitari, utilizzati come task-force per "curare la
patologia".
E d'altra parte, come vogliamo chiamare queste "nuove" realtà? Come
vogliamo definire i nuclei potenziati, le scuole-polo, le classi
speciali? E le esperienze di "separazione" dal gruppo-classe degli
alunni con disabilità "raccolti" in aule a loro riservate?
Tutto ciò fa pensare e non poco. Ma di fronte a questa
prospettiva il nostro Coordinamento oppone la più ferma resistenza:
l'integrazione scolastica non si tocca. Per questo
è importante che gli insegnanti si mantengano in contatto fra loro,
si coordinino e cooperino attivamente con le associazioni
delle famiglie degli alunni con disabilità: perché nulla
dev'essere fatto, deciso e scelto "senza e contro di loro" (famiglie
e studenti).
Il segno "uguale"
Le nostre classi, specchio della società attuale, si
caratterizzano sempre più per la complessità dovuta all'eterogeneità
dei bisogni formativi ed educativi (alunni con DSA - Disturbi
Specifici dell'Apprendimento -, alunni non-italofoni, alunni con
certificazione di disabilità, alunni con disagio socio-economico,
alunni adottati o affidati, minori maltrattati ecc.), che richiedono
agli insegnanti competenze e professionalità diversificate
e, al tempo stesso, specifiche.
Alla complessità, di fatto, occorre rispondere non differenziando e
separando, ma formando e integrando. E tuttavia sulla
formazione riguardante le tematiche dell'inclusione
scolastica degli alunni con disabilità - che a nostro avviso deve
necessariamente essere rivolta a tutti gli insegnanti,
da quelli in servizio (curricolari e di sostegno) agli aspiranti in
formazione - permane, immutato, il segno "uguale".
Sulla formazione docente, utile all'integrazione, nessuno scommette
e nessun Ministro ha osato od osa porvi mano. E così, dopo più di
trent'anni di storia dell'integrazione, ci troviamo ancora di fronte
a due percorsi formativi: uno per l'nsegnante
curricolare, l'altro, con l'aggiunta di un pacchetto-ore, per
l'insegnante specializzato per le attività di sostegno. Gli
insegnanti vengono formati come se dovessero andare ad operare
in contesti in cui gli alunni sono fra loro "separati"
e al tempo stesso si chiede loro di promuovere e farsi promotori di
integrazione e socializzazione. Come dire: provvedete voi alla
quadratura del cerchio! Ma come può realizzarsi l'inclusione
se gli insegnanti stessi, fra loro, parlano linguaggi diversi?
Se l'integrazione è compito di tutti, allora la formazione
specifica dev'essere assicurata a ciascuno: è quanto, da anni, come
Associazione di Insegnanti di Sostegno sosteniamo e chiediamo.
Chiediamo che venga predisposto un percorso formativo completo,
comprensivo anche delle tematiche dell'inclusione, affinché
l'insegnante curricolare sappia come interagire nella classe
complessa in presenza di alunni con disabilità e perché
si riduca (anzi, si elimini) la pratica della delega
dell'integrazione all'insegnante di sostegno e, infine,
perché questi sappia interloquire con ogni collega. Su questo tema i
ministri di turno glissano, nessun linguaggio funziona, nemmeno i
segnali di fumo!
E se la persona con disabilità
apprende?
A fronte di una situazione così instabile, con nostalgie che si
riaffacciano e con il ricorso a metodiche ormai accantonate,
pedagogicamente superate, viene da chiedersi se esista ancora la
convinzione che la strada intrapresa, quella dell'inclusione delle
persone con disabilità, sia la strada giusta oppure
se si debba ripensare all'integrazione, cercando altri percorsi.
Per riflettere su tale questione, è opportuno partire da una
constatazione fondamentale, quella dell'educabilità e delle
capacità di apprendimento: in altre parole, la persona con
disabilità intellettiva apprende? Se ci crediamo,
se crediamo cioè che le persone con disabilità possano apprendere,
allora l'unica risposta possibile, perché altre non ne esistono, è
che non solo devono frequentare la scuola, ma devono avere
accesso a tutti i percorsi formativi in atto. E il processo
deve avvenire nelle classi comuni, con compagni
della stessa età, sostenuti e accompagnati da insegnanti preparati
sia sotto il profilo pedagogico-didattico, che culturale. Insegnanti
che sappiano parlare un linguaggio comune, condiviso
e che sappiano guardare oltre la patologia e la sindrome,
arrivando direttamente all'alunno nella sua interezza, in quanto
persona con bisogni specifici, dotato di proprie potenzialità, che
cresce all'interno della comunità scolastica.
Siamo convinti che la storia dell'integrazione scolastica degli
alunni con disabilità abbia dato il via a un processo, per sua
natura, irreversibile: tornare indietro non è
immaginabile. Per questo il futuro richiede un impegno ancor più
consistente.
Innanzitutto è necessario superare la logica dei numeri
(dei "più", dei "meno", delle "divisioni"),
moltiplicando, invece, gli sforzi, per far sì che
l'esperienza dell'integrazione esca ancor più rafforzata di fronte
alle difficoltà che nel tempo si presentano.
Per farcela, poi, oltre alla determinazione è importante attivare
forme di collaborazione e di cooperazione fra
coloro che sono impegnati in questo settore: insegnanti,
famiglie, associazioni e istituzioni. In
particolare, dev'essere accentuata l'attenzione verso gli alunni con
disabilità, garantendo e assicurando diritti riconosciuti: perché,
ed è bene ricordarlo, quando si parla di inclusione scolastica e
sociale, nulla è generalizzabile, se non i diritti del
singolo alunno.
P.S.: Ritorna la serie dei
numeri...
Si segnala anche, come novità, l'estensione
del DPCM
185/06, fino a ieri lasciato alla discrezionalità delle singole
Regioni. Tale Decreto, fissando i criteri per l'individuazione
«dell'alunno in situazione di handicap», introduce nuovi elementi
organizzativi: stabilisce infatti che PDF [Profilo Dinamico
Funzionale, N.d.R.] e PEI [Piano Educativo
Individualizzato, N.d.R.] debbano essere redatti entro
il 30 luglio e che nel PEI si indichino le risorse
necessarie per l'alunno (ore di sostegno didattico, eventuali altri
interventi, deroghe ecc.). E questo nonostante non siano ancora
state definite le modalità per garantire la continuità
educativo-didattica.
A ciò si aggiunga che lo Schema di
Regolamento sulle norme per la riorganizzazione della rete
scolastica, all'articolo 10, comma 7, prevede, a partire dal
prossimo anno scolastico, l'attivazione degli "spezzoni di cattedra"
anche per la scuola primaria e per i posti di sostegno. Ma non è
stato detto a più riprese che il rapporto assicurato doveva essere
1:2, ovvero di un insegnante di sostegno ogni due alunni con
disabilità?... Ritorna dunque la serie dei numeri!...
*CIIS
(Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno)