SCUOLA

Perché mai si dovrebbe gioire
per i tanti 5 in condotta?

Gianni Mereghetti, il Sussidiario 3.3.2009

Il Ministero della Pubblica Istruzione ha reso noto i risultati del primo quadrimestre. Si tratta di risultati che destano grande preoccupazione, sia dal punto di vista del profitto (tre studenti su quattro hanno almeno una insufficienza e le lingue straniere e la matematica sono ai primi due posti della classifica delle materie più disastrose), sia dal punto di vista della condotta, dato che ben 34.311 studenti hanno riportato come voto quadrimestrale il cinque; come ben si sa, una valutazione che nel secondo quadrimestre porterebbe direttamente alla bocciatura.

Il commento pressoché unanime è che la scuola è tornata ad essere severa, abbandonando finalmente la strada del buonismo che l’aveva ridotta ad un servizio assistenziale. C’è quindi molta soddisfazione, sia da parte degli operatori scolastici, sia da parte dei commentatori, che vedono in questa severità ritrovata una svolta decisiva a rimettere la scuola nei giusti binari. Sarà pur vero che la scuola ha fatto un bagno di severità; ma è forse questo il suo problema vero? Quello di scegliere tra severità e buonismo? Il numero elevato di insufficienze nel profitto e i tanti cinque in condotta in realtà segnalano una questione più decisiva: portano alla conoscenza di tutti quello che per anni si è voluto nascondere, ossia la presenza di una generazione di giovani che fatica ad impegnarsi con la realtà, tanto che è recalcitrante ad avviare un percorso di conoscenza, che pur è in grado di fare, e non è interessata ad entrare in rapporto con gli adulti che ha davanti. E’ questo il dato allarmante: che tanti giovani non sono appassionati ad imparare, a conoscere, a vivere rapporti veri!

E’ giusto che uno studente si meriti l’insufficienza, quando non si impegna nel lavoro scolastico; è altrettanto giusto che gli venga dato cinque in condotta se si rende responsabile di atti gravi contro compagni o insegnanti; ma basterà questo per rifare della scuola un luogo in cui conoscere e farlo insieme diventerà un’esperienza appassionante?

Chi pensi che questa sia la strada per restituire alla scuola la dignità perduta sta di fatto nutrendosi nell’ennesima utopia, quella secondo la quale delle regole osservate e fatte osservare producano cultura e amore alla vita. Chi vive dentro la scuola sa che, come non è stato il buonismo, così non sarà la nuova era della severità a ridestare il cuore e la ragione dei giovani. È di adulti appassionati alla vita che i giovani hanno bisogno, di adulti nei quali vedano quanto sia bello conoscere e stare con gli altri.

Per questo c’è una domanda che noi insegnanti dobbiamo porci di fronte ai dati disastrosi che il Ministero ci ha reso noti. Tutti noi pensiamo di sapere che cosa uno studente debba fare per prendere la sufficienza nella materia che insegniamo e per meritarsi un voto in condotta positivo; quello che invece dovremmo chiederci è che cosa possiamo fare noi insegnanti perché uno studente si possa appassionare allo studio e possa incominciare a stimare il valore dell’altro.

La questione della scuola è che si riparta non da regole, ma da un rapporto. Tant’è che dove questo avviene - e i casi sono molti e da lì si dovrebbe imparare - non c’è più né buonismo né severità, ma il fascino di un cammino in cui cresce l’umano. E questa è finalmente scuola!