Nei primi due mesi del 2009 rallentano del 23%.
Coinvolte anche le lauree "forti"
Dal 2001 scesi del 6,1 gli occupati. Un terzo resta ingabbiato in
contratti atipici
Laureati sotto l'effetto recessione
crollano le richieste delle imprese
I risultati del Rapporto Almalaurea su 300 mila
usciti dagli atenei
Federico Pace, la
Repubblica 10.3.2009
La crisi stringe il cerchio. Dentro ci
sono tutti. Anche loro. Anche i laureati. C'era da immaginarselo.
Una spia significativa di questo fenomeno arriva da uno dei "polmoni
di lavoro" più moderni dell'università. Sono infatti sempre meno le
imprese che si rivolgono alla
banca dati di Almalaurea, il consorzio universitario che
coinvolge 52 atenei italiani, dove sono contenuti i curriculum di un
milione e duecentomila laureati. Un grande bacino di talenti che in
un anno ha ceduto alle imprese ben 460 mila profili di studenti
usciti dalle aule universitarie. Il dato acquista rilievo
particolare perché sono proprio le università il canale che le
imprese, negli ultimi anni, hanno mostrato di privilegiare quando
devono entrare in contatto con le migliori risorse.
A gennaio e febbraio 2009, rispetto
all'anno scorso, le necessità dei direttori del personale sono scese
di un corposo 23 per cento. E a vedere diminuire la richiesta sono
tutti. Anche quei laureati che sono considerati da sempre la punta
di diamante, quelli che le imprese vedono come più preparati e
adatti a fare il loro ingresso in azienda. I laureati del gruppo
economico statistico hanno subito una flessione del 35 per cento
mentre la domanda di ragazzi e ragazze con studi di ingegneria alle
spalle è scesa del 24 per cento.
La lunga discesa degli occupati.
I dati sono quelli di Almalaurea che verranno presentati a Bari il
12 marzo insieme all'undicesimo Rapporto 2009 sulla condizione
occupazionale dei laureati che ha coinvolto 300 mila laureati di 47
università italiane di cui 140 mila laureati post-riforma. "Ciò che
deve essere scongiurato - dice Andrea Cammelli, direttore del
consorzio - è che una preziosa e qualificata risorsa rischi di
essere schiacciata fra un sistema produttivo che non assume e un
mondo della ricerca priva di mezzi".
Se il dato relativo alla banca dati è una sorta di istantanea di
quel che sta accadendo in questo preciso momento, le cose non
migliorano di molto se si cerca di andare a capire qualcosa di più
nel medio periodo. Negli ultimi sette anni, dicono gli autori del
Rapporto, la percentuale dei laureati (del vecchio ordinamento) che
ha trovato impiego, ad un anno dal conseguimento del titolo, si è
contratta di oltre sei punti percentuali passando dal 57,5 per cento
del 2001 al 51,4 per cento del 2008 (vedi
tabella). Il tasso di disoccupazione nell'ultimo anno è
poi aumentato di tre punti percentuali. Ed è immaginabile che nel
prossimo anno i valori saranno ancora più critici.
Essere atipici. Anche adesso che
tutti abbiamo fatto il callo alla precarietà, sorprende il dato
relativo alla persistenza della natura atipica dei contratti di
lavoro che legano i laureati alle imprese. Si dice che la condizione
"precaria" soprattutto per i laureati, per i giovani, sia una
condizione temporanea e di passaggio. Ma così non è. E ancora una
volta, purtroppo, ne è arrivata una prova. Più di un quarto (il 26,8
per cento) di quelli che lavorano da cinque anni si ritrova in mano
solo un contratto atipico (vedi
tabella). E se è vero che nel tempo si riduce tale quota
(a un anno dal conseguimento è quasi il doppio), è però innegabile
che la proporzione di quelli che rimangono intrappolati tra
contratti di collaborazione e rapporti a tempo sembra essere al di
sopra di quanto sopportabile da una società che vuole crescere e
offrire occasioni ai suoi cittadini.
Gli stipendi più leggeri. Negli
ultimi quattro anni il guadagno mensile netto, rivalutato ai valori
attuali, è sceso del sei per cento. Nel 2005 quelli che si erano
laureati cinque anni prima, guadagnavano 1.428 euro in un mese, dopo
tre anni si sono dovuti accontentare di 1.343 euro (vedi
tabella) con una perdita del potere d'acquisto pari al 6 per
cento. Per quanto riguarda le differenze territoriali, lo stipendio
netto di chi lavora al nord Italia si attesta a 1.392 euro mentre
nelle regioni centrali scende a 1.314 euro e al Sud scivola a 1.118
euro. Disparità però che, al netto del diverso costo della vita
territoriale, sono pari al 2 per cento.
Quelli del 3+2 e i "triennali".
Il rapporto di Almalaurea ne ha coinvolti poco più di 30 mila. E,
pure se sono tra coloro che mostrano le migliori performance di
studio (un voto medio di 109 su 110) e molti di loro trovano
impiego, si deve constatare che solo il 28 per cento di loro ha un
posto stabile mentre il 49 per cento fa i conti con un contratto
atipico.
Difficile comprendere a fondo i dati dei neolaureati di primo
livello, ovvero quelli della laurea triennale (un campione pari a
105 mila laureati). Soprattutto in considerazione del fatto che
molti di loro proseguono il corso di studi. Se si escludono quelli
che continuano a studiare, si scopre che il 69% per cento di chi
consegue il titolo trova un impiego entro un anno. Ma il 47 per
cento di loro ha un contratto precario e solo il 40 per cento riesce
ad approdare alle spiagge sicure (e remote) della stabilità.
Accesso al credito e al capitale umano.
Per rilanciare e tornare a dare un'occasione ai migliori talenti
italiani, dicono gli autori della ricerca, è necessario "favorire
l'accesso delle imprese, incluse quelle piccole e medie, alle
risorse umane più giovani e di qualità formatesi all'università". In
questo modo, in un quadro nazionale in cui le risorse destinate
all'istruzione e alla ricerca sono da tempo insufficienti, il
capitale umano di alto livello rimane ancora ridotto e prevalgono le
piccole e piccolissime imprese, il governo potrebbe perseguire il
duplice obiettivo di "sostenere l'iniezione di risorse umane di più
elevata qualità nel sistema produttivo, e assicurare alle nuove
generazioni, quelle più capaci e preparate, un futuro lavorativo
incoraggiante nel proprio Paese".