Centro Studi  Gilda

Intervista a Giorgio Israel*

 Contro il disastro educativo, ripartiamo dai programmi e dai contenuti

a cura di Fabrizio Reberschegg, dal Centro Studi della Gilda 16.3.2009

Si parla e si straparla di metodi e di questioni organizzative, legislative e normative mentre non ci si preoccupa del fatto che vengono trasmessi contenuti di livello sempre più basso e autentici errori da matita blu. Iniziamo quindi a occuparci di nuovo e soprattutto di programmi e contenuti. La valutazione è sempre una questione di contenuti e, come tale, contiene un forte elemento soggettivo. Ridurla a tecniche puramente oggettive è una illusione senza senso. Formule come la “misurazione delle qualità” sono un ossimoro che serve soltanto a giustificare la professione di qualcuno. Quel che conta è la probità nel giudizio. Non esistono i tecnici dell’insegnamento e gli “esperti” al disopra della funzione dell’insegnamento. Ho conosciuto alcuni di questi esperti e mi hanno destato la massima diffidenza: si tratta troppo spesso di persone che non sanno cosa sia insegnare ma credono di saperlo perché hanno appreso librescamente una serie di precetti.

 

1) Professor Israel,  l’idea dell’ insegnante come animatore o come “mediatore culturale” è ormai diffusa.  Qual è il suo parere in merito? 

Ritengo che sia diffusa soprattutto tra i cosiddetti “esperti” di questioni scolastiche – che talvolta sono persone che non hanno mai insegnato in vita loro – e che sia molto meno diffusa nei fatti tra gli insegnanti. E quando dico “nei fatti” intendo che quasi nessuno di coloro che pratica effettivamente l’insegnamento riesce ad aderire ai precetti cervellotici del “cooperative learning” e di analoghe escogitazioni. Del resto, raccolgo continuamente testimonianze negative di insegnanti che hanno partecipato a seminari che introducono a queste pratiche e visioni. Coloro che difendono questa visione dell’insegnamento sono proprio coloro che più hanno bisogno di predicarla attraverso lezioni ex-cathedra in modo da renderla esente dalle critiche e farla passare come una sorta di dogmatica. 

2) Si va verso una standardizzazione dell’ insegnamento con l’ idea, forse, di predisporre moduli oggettivi che uniformino i vari livelli di insegnamento. Tutti facciano le stesse cose in modo che gli allievi raggiungano gli stessi livelli. Lei ha già espresso un parere critico  in merito. Perché? 

Per il semplice motivo che la cultura non è un fatto egualitario. Non siamo tutti uguali, non lo saremo mai e l’unico modo per fa raggiungere a tutti lo stesso livello è prescrivere come livello comune il livello minimo. È esattamente quel che sta avvenendo e il degrado della scuola è in parte dovuto a tale visione sciagurata che produce il contrario di quel che vuole ottenere: ovvero una scuola classista che penalizza coloro che hanno maggiori difficoltà personali e familiari. Gli altri se la cavano comunque. Occorre dare a tutti le medesime opportunità – in questo e soltanto in questo deve intervenire la democrazia – dopodichè occorre individuare come traguardo da raggiungere per tutti il livello più alto e non il più basso, in modo da stimolare anche coloro che sono in difficoltà attraverso la competizione e il premio al merito. 

3) Parliamo di valutazione. La scuola è ormai sottoposta a processi valutativi continui. Lei ritiene che siano efficaci, che servano o che, al limite, siano  addirittura negativi? 

Non mi è chiaro, in verità, se vi sia un quadro organico dei processi valutativi cui è sottoposta la scuola. Sento parlare soltanto di sondaggi, analisi statistiche o test. Non contesto l’utilità di questi strumenti, ma ritengo che possano servire, tutt’al più, a dare un’idea degli aspetti critici che investono la scuola, ma non a fare un’analisi raffinata di qualsiasi tipo, tantomeno a un livello micro, ovvero d’istituto. A mio avviso, l’unico sistema di valutazione serio è qualitativo, ovvero basato su ispezioni, sul modello dell’Ofsted inglese o di analoghi sistemi utilizzati in Francia. Ma occorre sempre ricordare che il criterio di una buona valutazione è l’imparzialità mentre il mito dell’oggettività assoluta è privo di senso. La valutazione è sempre una questione di contenuti e, come tale, contiene un forte elemento soggettivo. Ridurla a tecniche puramente oggettive è una illusione senza senso. Formule come la “misurazione delle qualità” sono un ossimoro che serve soltanto a giustificare la professione di qualcuno. Quel che conta è la probità nel giudizio. 

4) Si parla sempre più insistentemente di sistemi di valutazione delle scuole anche con l'apporto di "agenzie terze". Cosa ne pensa e quali modalità dovrebbe tale valutazione? 

Sono contento che si parli sempre di più di questi sistemi perché sono gli unici affidabili e sensati. Tuttavia, bisogna stare molto attenti a cosa vuol dire “terze”. Se significa quanto più sia possibile indipendenti dalla scuola valutata, siamo perfettamente d’accordo: anzi, questo è il requisito essenziale. Se significa invece affidare il sistema delle ispezioni a “esperti” scolastici, a “tecnici” dell’insegnamento, sono in totale disaccordo. Non esistono i tecnici dell’insegnamento e gli “esperti” al disopra della funzione dell’insegnamento. Ho conosciuto alcuni di questi esperti e mi hanno destato la massima diffidenza: si tratta troppo spesso di persone che non sanno cosa sia insegnare ma credono di saperlo perché hanno appreso librescamente una serie di precetti. Non vorrei che si ripetesse qui l’errore commesso nel sistema sanitario, dando troppo potere ad amministrativi e manager che non capiscono nulla di questioni mediche. Solo chi ha insegnato o insegna può giudicare. Pertanto la valutazione deve essere affidata a organismi, enti o agenzie composte dagli stessi insegnanti, beninteso provenienti da realtà diverse, diciamo pure “sghembe” rispetto a quelle valutate. Una buona idea è di fare largo ricorso agli insegnanti in pensione che danno il massimo di garanzie in termini di imparzialità.  

5) Su quali elementi punterebbe per uscire da quello che Lei ha definito il  “ disastro educativo” dei nostri giorni? 

In primo luogo su una revisione profonda, radicale dei programmi: si dice che i “programmi” non esistono più, ma chi abbia letto le indicazioni della legge Moratti o quelle Fioroni sa benissimo che i programmi esistono e come, e quando non esistono li fanno le case editrici. Una buona parte del degrado della nostra scuola deriva dalle proposizioni deliranti – non trovo altro termine – contenute nelle leggi o indicazioni citate e dalla diffusione di certi libri di testo scandalosi. Per esempio, in questi giorni mi sono imbattuto di nuovo nella cosiddetta “legge dissociativa” dell’addizione, sempre più diffusa nei testi di matematica e che è la manifestazione di un’ignoranza vergognosa. Ho dovuto discutere con un’ insegnante per convincerla che utilizzare la proprietà commutativa dell’addizione come metodo di verifica che due numeri sono stati sommati correttamente (così come è suggerito da certi libri) è un’autentica aberrazione partorita dalla mente di una persona che non avrebbe mai dovuto neppure superare la maturità. Come possiamo pensare di uscire dalla crisi se continuiamo a insegnare scempiaggini simili? Si parla e si straparla di metodi e di questioni organizzative, legislative e normative mentre non ci si preoccupa del fatto che vengono trasmessi contenuti di livello sempre più basso e autentici errori da matita blu. Iniziamo quindi a occuparci di nuovo e soprattutto di programmi e contenuti.

 

* Professore ordinario di Matematiche complementari presso l’ Università di Roma “ La Sapienza”. Membro dell’ Acadèmie Internationale d’ Histoire des Sciences ed è stato professore presso l’ Ècole des Hautes Ètudes en Sciences Sociales di Parigi e autore di più di duecento articoli scientifici e di una ventina di libri tra cui “ Chi sono i nemici della scienza” Lindau. Attualmente coordina il Gruppo di lavoro ministeriale per la Formazione degli Insegnanti.