Scuola Primaria:
via lo specialista, tutti insegnanti di inglese

Gianni Gandola, ScuolaOggi 17.5.2009

Oltre alla reintroduzione del maestro unico la riforma Gelmini prevede un altro aspetto sul quale forse poco ci si è soffermati - per gli effetti e le ricadute che comporta:  la generalizzazione dell’insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria.

Già una legge finanziaria di qualche anno fa (2005) prevedeva la formazione linguistica per tutti i docenti della scuola primaria con la progressiva eliminazione/scomparsa di una figura professionale come l’insegnante specialista di lingua straniera. Ora il Piano programmatico del settembre 2008 (lo “schema” attuativo dell’art.64 del DL n.112/2008, convertito in legge, n.133/2008) stabilisce che “l’insegnamento della lingua inglese sia affidato ad un insegnante di classe opportunamente specializzato. Si dovrà prevedere pertanto – si precisa – un piano di formazione linguistica obbligatoria della durata di 150-200 ore attraverso l’utilizzo, come formatori, di docenti specializzati e di docenti di lingua della scuola secondaria di I grado.”

In altri termini: tutti i docenti della scuola elementare dovranno essere in grado, dopo un corso di formazione accelerato, di insegnare inglese nelle proprie classi.  Questa, a nostro avviso, è una pia illusione o, meglio ancora, una scelta profondamente sbagliata, in linea con la filosofia del maestro unico, tuttologo e onnicomprensivo.  Una scelta che ha subito ora un’accelerazione, dopo l’enfasi propagandistica già posta nel periodo della Moratti (come non ricordare le TRE I, “più inglese per tutti” ed altri slogan simili?) per evidenti ragioni di risparmio di spesa.

 

L’insegnante specializzato e l’insegnante specialista

Ma partiamo da lontano. O meglio, dall’inizio. L’insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare (sperimentazioni a parte) ha formalmente avvio con la legge di riforma n.148 del 1990. Questa all’art.10 rinvia espressamente, per quanto riguarda i criteri per la scelta della lingua e le modalità di utilizzazione dei docenti, ad un successivo decreto ministeriale. E’ infatti il DM 28 giugno 1991 “Insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare” a dettare modalità e condizioni. Sottolineiamo, en passant, che l’insegnamento della lingua straniera riguardava, allora, le quattro lingue più diffuse, vale a dire non solo l’inglese ma anche il francese, lo spagnolo e il tedesco.

L’insegnamento della lingua straniera, secondo il DM del 1991, doveva essere affidato ad un insegnante elementare specializzato  in possesso di competenze specifiche e inserito nel modulo organizzativo e didattico di cui all’art.5 della legge n.148/90, pertanto contitolare del modulo stesso” (art.4).  L’obiettivo finale quindi era che ciascun modulo didattico avesse al proprio interno un docente specializzato (in altre parole, che in ciascun modulo uno dei tre docenti del team fosse in grado di insegnare anche una lingua straniera, sulla base di competenze specifiche acquisite, accanto ad altre discipline del curricolo).

Nella fase di transizione l’insegnamento della lingua straniera veniva affidato ad un insegnante elementare specialista, vale a dire ad un docente che insegna solo LS in più classi della scuola (classi di annualità e moduli diversi) sulla base di titoli specifici e che assume la contitolarità delle classi assegnate (in via generale sei, massimo sette) come insegnante “aggiunto”.

Per l’insegnamento della lingua straniera si prevedeva comunque, a regime, un docente dotato di preparazione specifica - l’insegnante “specializzato”, appunto - quale articolazione interna della funzione docente”. E’ da notare che si tratta in questo caso di una figura a metà tra l’insegnante specialista (insegna solo LS) e l’insegnante generalista (tutti insegnano anche LS). Lo sbocco finale non era, in ogni caso, che tutti i maestri elementari dovessero insegnare lingua straniera.,

Nel corso degli anni la “transizione” si è protratta a lungo, la diffusione dell’insegnamento di lingue straniere è stata fortemente disomogenea sul territorio nazionale e di fatto, a causa della scarsità di docenti abilitati, é stata confermata nelle classi la figura dello specialista, che è risultata in molte scuole per anni come prevalente sullo stesso “specializzato”. O meglio: lo specializzato non ha mai sostituito del tutto lo specialista.

 

Inglese per tutti. All’acqua di rose.

Ora cambiano le carte in tavola.  Con il passare del tempo l’abito si è ristretto: dalle lingue straniere si è passati alla lingua straniera (inglese) come unica lingua obbligatoria. Ma soprattutto ha preso quota l’idea che tutti i docenti di classe, indistintamente, possano insegnarla.

E infatti, in quest’ottica, la relazione tecnico-finanziaria di accompagnamento al Piano programmatico (Ministro dell’Istruzione di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze) prevede esplicitamente la graduale eliminazione dei posti di specialista di lingua inglese nella scuola primaria (11.200 posti in tre anni, con la seguente sequenza: 4000 unità per il primo anno, 3900 per il secondo, 3300 unità nel terzo anno).  In provincia di Milano i tagli sono già iniziati vistosamente in organico di diritto a.s. 2009/10 (170 posti di lingua inglese in meno).

A regime niente più insegnanti specialisti, quindi, ma tutti i docenti di scuola elementare in grado di insegnare inglese (e tutti maestri unici?). E’ esattamente questa prospettiva che ci preoccupa e che consideriamo un grave abbassamento della qualità dell’offerta formativa della nostra scuola di base.

Già alcuni anni fa (nell’aprile del 2005)  un gruppo di docenti specialisti di lingua straniera della scuola primaria aveva lanciato un grido di allarme, inviando un appello al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’Istruzione. Non si trattava di una difesa corporativa della categoria e del proprio status, ma di una giusta segnalazione e rivendicazione.

Occorre ricordare – come si sottolineava in quell’appello - che l’insegnante specialista è una figura professionale che si è “formata” dopo anni di studio universitari, post-universitari, anni di frequenza a corsi di specializzazione, di aggiornamento continuo, di esperienza, di sperimentazione e di ricerca-azione. La “specializzazione” di una disciplina da parte di personale qualificato e fortemente motivato ha garantito (e garantisce, secondo noi) la qualità dell’insegnamento con una positiva ed efficace ricaduta nel processo di insegnamento-apprendimento

Ora si pensa di poter fare a meno di questa figura, di questa risorsa professionale trasferendo a tutti quanti – non più quindi su base volontaria ma obbligatoria – la “competenza” dell’insegnamento dell’inglese.

Tutti gli insegnanti elementari, per il solo fatto di aver frequentato un corso di 150-200 ore (sic) dovranno essere in grado di insegnare questa disciplina. Ci sembra francamente un’ipotesi ridicola, o comunque una scelta fortemente riduttiva: quella di un insegnamento generalizzato quanto generico e superficiale, su basi approssimative e minimaliste.

 

Ma le competenze?

L’insegnamento dell’inglese (o di qualsivoglia lingua straniera) presuppone fondamentalmente tre cose:

a)  una buona conoscenza della lingua, della sua struttura lessicale

b)  la padronanza del suo uso, la correttezza della pronuncia (acquisibile magari con soggiorni, viaggi di istruzione, ecc. nello stesso paese madrelingua)

c)  la capacità didattica, educativo-relazionale. Il padroneggiare cioè le metodologie e le strategie didattiche per insegnarla, nel caso della scuola elementare, ai bambini (non a caso il DM del 1991 precisava che la preparazione specifica deve essere particolarmente mirata in relazione alla fascia di età ed alle conseguenti capacità di apprendimento dei discenti”).

Concetti analoghi sono contenuti nel Documento sulle competenze del docente di lingue in Europa predisposto dallo stesso Consiglio europeo. Ci sembra alquanto improbabile che nel giro di tre-quattro anni, a rotazione, e con un piano di formazione così ridotto tutti gli insegnanti elementari possano acquisire tali competenze.

Lo scenario che si prospetta è piuttosto quello di una dequalificazione dell’insegnamento (e degli insegnanti) della lingua straniera e di uno scadimento ulteriore, sul piano pedagogico e culturale, della scuola pubblica italiana.