Cosa c’è dietro il rinvio del decollo Fiorella Farinelli, ScuolaOggi 3.5.2009 Se c’é un’attività dei CTP che riscuote apprezzamento dentro e fuori il mondo dell’educazione, questa è senza dubbio la formazione linguistica e socio-culturale degli immigrati. Un impegno diffuso (il 42% degli allievi), di indiscutibile valore civile, e anche sempre meglio qualificato dal punto di vista didattico. Sono tanti i docenti che hanno imparato ad insegnare l’italiano come lingua seconda. Sono molti i Centri Territoriali, da soli o in rete con attori istituzionali e sociali, che hanno messo in campo buoni strumenti di orientamento e di accoglienza e che, utilizzando dispositivi predisposti da università ed istituti specialistici, sono diventati sedi di certificazione delle competenze linguistiche. Nelle regioni del Nord, capita che ci siano aziende che, talora con la mediazione dei Comuni, si rivolgono ai CTP per la prima formazione linguistica dei lavoratori stranieri. Qua e là ci sono esperienze eccellenti di collaborazione con le scuole secondarie per il supporto linguistico agli studenti stranieri dei corsi diurni e serali. Una risorsa importante, dunque, che anche il decreto Fioroni per la riorganizzazione dei CTP in CPIA ( che pure riconduce l’educazione degli adulti nell’ambito esclusivo dell’istruzione formale) ha correttamente incluso nelle tipologie di offerta formativa dei nuovi Centri. Ma – sempre che siano attendibili le anticipazioni del nuovo regolamento dei CPIA che circolano in questi giorni – gli orientamenti del Ministero sembrano smentire questa scelta. I percorsi di apprendimento linguistico degli stranieri sembrano infatti destinati a venire riassorbiti nei corsi di istruzione di primo livello, cui viene assegnata una durata complessiva di 400 ore: come se gli allievi stranieri, in parecchi casi già diplomati o laureati, dovessero per forza frequentare un intero corso finalizzato al conseguimento di un titolo di studi formale per poter usufruire nella scuola pubblica dell’ insegnamento dell’italiano come seconda lingua. Una svista? O la precisa volontà di escludere dalle scuole pubbliche per adulti chi con tutta probabilità non ha interesse, o non può permettersi, di seguire per tutto un anno scolastico un corso lungo, strutturato,impegnativo? E, nel caso fosse la seconda l’ipotesi più verosimile, dobbiamo interpretarla solo come uno dei tanti deplorevoli effetti del nuovo vangelo di riduzione ad ogni costo della spesa statale per l’istruzione, o piuttosto come l’intenzionale liquidazione di una delle poche politiche pubbliche mirate all’integrazione degli stranieri, alla coesione sociale, alla formazione di nuova cittadinanza? Non meraviglierebbe, tra i rischi pendenti di trasformazione delle istituzioni scolastiche in servizi di polizia contro l’immigrazione irregolare, le mozioni parlamentari sulle “classi-ponte”, le continue grida sulla presunta insostenibilità delle classi in cui i ragazzini di origine straniera (anche i nati in Italia? anche chi l’italiano lo impara fin dall’asilo nido?) superano una certa quota. Ma c’è dell’altro, e altrettanto inquietante, in quel che trapela dai lavori ministeriali per la definizione del nuovo regolamento e da altre decisioni. Era stato in verità evidente da subito, cioè fin dalla decisione di dar luogo a CPIA che comprendessero anche i percorsi per adulti delle scuole secondarie superiori, che la riorganizzazione non sarebbe stata una passeggiata. Perché i corsi serali dei tecnici e dei professionali sono solitamente lontani anni luce dal mix tra informale e formale, e dalle caratteristiche della didattica e dall’idea stessa di insegnamento tipiche dei migliori CTP (e tipiche, più in generale, del lifelong learning, come illustra ad abundantiam ogni indicazione ed esperienza europea). Perché in molti serali la preoccupazione dominante per la tenuta degli organici, unita alla resistenza professionale a dismettere il tradizionale disciplinarismo, ha diffusamente impedito il ricorso a una flessibilità organizzativa e didattica basata sul riconoscimento delle competenze e sull’attenzione ai bisogni e alle caratteristiche di un’utenza adulta. Di qui la diffusa replica nei serali del modello della scuola “del mattino”, appena riveduta e corretta da qualche riduzione oraria e da qualche accelerazione di passaggio da una classe all’altra. La realizzazione quasi sempre parziale degli spazi aperti dalle sperimentazioni Sirio e Aliforti. Lo straordinario scarto, in un paese con un enorme bacino di giovani adulti privi di diploma e di qualificazione professionale, tra i 400.000 iscritti annuali ai CTP e le poche decine di migliaia di iscritti (su cinque classi) ai corsi serali. I disperanti tassi di dispersione e la riduzione dei corsi serali, in non pochi istituti superiori, ad un’offerta che trova le sue ragioni più nei vincoli numerici dell’autonomia e nella conservazione delle cattedre che nelle finalità dell’istruzione per adulti. Un contesto che consigliava – e tuttora consiglia – l’attivazione di sperimentazioni guidate, e sostenute da un’apposita formazione dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, in grado di trovare ed indicare nuove piste di lavoro. Ci fu un tentativo in questo senso, nel 2007, ed era quello di far diventare base di un piano nazionale di sperimentazione il progetto POLIS dell’area piemontese, che deve il suo consolidato successo all’integrazione tra scuola di base, formazione professionale, scuola secondaria superiore, all’adozione di misure di forte flessibilizzazione dell’offerta, all’estensione anche ai livelli secondari della metodologie che connotano la didattica per adulti. Un piano che però, per le imperscrutabili inerzie dell’amministrazione scolastica, non ebbe allora la possibilità di decollare. E ora, a due anni di distanza dal decreto Fioroni, quali sono le soluzioni, o almeno le proposte di lavoro che si prospettano? Una cosa è certa: ed è che sebbene l’ultima tornata del dimensionamento abbia dato luogo in più aree regionali a una nuova mappa di istituzioni scolastiche finalmente dedicate alla sola istruzione degli adulti, ci troviamo di fronte a un ulteriore rinvio al 2010-2011 del decollo dei CPIA . Quanto al resto dei problemi, gli orientamenti del ministero sembrano al momento ispirarsi più a un’applicazione a tutti i percorsi di istruzione degli adulti, di primo e di secondo livello, del modello di istruzione per adulti dei serali, che non si può proprio definire di successo, che a una ragionevole contaminazione di tutta l’EDA da parte delle innovazioni più promettenti sperimentate dai CTP. L’offerta formativa dei nuovi Centri, strutturata in percorsi di I e di II livello, dovrebbe articolarsi in sequenze strettamente vincolate al conseguimento dei titoli conclusivi del primo e del secondo ciclo o delle certificazioni intermedie correlate con la prevista articolazione (2+2+1) degli istituti scolastici superiori. Nel I livello ricadono due “periodi didattici”, uno – di 400 ore – per ottenere il titolo conclusivo del primo ciclo, l’altro – di durata inferiore, forse del 30%, a quella prevista dal prossimo ordinamento dei tecnici e dei professionali – per il conseguimento delle competenze relative al nono e decimo anno dell’obbligo di istruzione. Replica puntuale nel percorso di II livello, tranne che qui i “periodi didattici” sono tre: il primo (che in verità si sovrappone al secondo periodo del I livello) per la certificazione necessaria all’ammissione al secondo biennio; il secondo per la certificazione necessaria all’ammissione al quinto anno; il terzo per il conseguimento del diploma. Quanto alle caratteristiche innovative del modello, non ci si può sbagliare. L’unica è la riduzione oraria (il passe-partout di questa stagione di contrazione della spesa), con una durata dei percorsi/periodi pari al 70% di quella prevista dagli ordinamenti degli istituti tecnici e professionali. E tutto il resto, a partire dall’integrazione con la formazione professionale che non dovrebbe mancare almeno nei professionali deprivati dal ciclo triennale? Affidato, come sempre, all’autonomia degli istituti scolastici. Chiude l’uggioso elenco, la previsione di organico (questa volta “funzionale“): fatto di 10 docenti ogni 120 allievi nel I livello e di 1 docente ogni 12 allievi nel II livello. Tutto questo tempo, dal decreto Fioroni del 2007, per questo capolavoro di innovazione creativa ? Difficile non concluderne – anche tenendo conto dei tagli di organico che in diverse città vanno a colpire sia CTP che corsi serali “veri” – che dietro tutto ciò ci sia sopratutto una caduta verticale di interesse per l’istruzione/educazione degli adulti. Che si voglia ignorare la priorità per il paese rappresentata dal numero imponente di giovani adulti privi di diplomi e di qualifiche professionali. Che si cerchi di utilizzare la trasformazione in CPIA dei CTP per tagliare anziché per sviluppare e qualificare. Che il vero fuoco dell’operazione sia non preoccupare troppo i dirigenti scolastici e gli insegnanti delle superiori che vedono un loro possibile impegno nei CPIA come una degradante caduta negli inferi. Ovviamente si può ancora sperare che il diavolo non sia così brutto come viene dipinto; e, anzi, che non ci sia nessun diavolo. Ma occorrerebbe, e a breve, qualche cambio di passo. Per esempio, in questo anno che manca al decollo, un robusto piano di sperimentazione guidata, e sostenuta da attività puntuali di formazione. E’, ancora una volta, troppo tardi? |