Allarme razzismo a scuola
ma l'integrazione procede

Sondaggio tra gli insegnanti: molti genitori sono xenofobi. Uno studio commissionato dall'assessorato all'Istruzione della Regione sull'integrazione dei bambini stranieri. I motivi degli abbandoni: scarsa motivazione allo studio, insufficiente attenzione delle famiglie all'istruzione del figlio

di Stefano Parola, la Repubblica di Torino 23.5.2009

Oltre che falso e cortese, il piemontese si scopre pure un po' razzista. Almeno stando a quanto dicono gli insegnanti: uno su quattro segnala come dietro alle difficoltà di integrazione degli studenti stranieri ci siano condizionamenti da parte delle famiglie italiane. Certo, anche i ragazzi provenienti da oltreconfine ci mettono del loro, visto che il 51 per cento dei docenti indica la loro tendenza all'autoisolamento come causa dei problemi di inserimento, mentre il 32 per cento rileva criticità nel far rispettare regole che non fanno parte della loro cultura.

Sono i dati che emergono da una ricerca commissionata dall'assessorato all'Istruzione della Regione Piemonte ed eseguita dalla cooperativa Solaris su oltre 400 professori e maestri. Quello sul razzismo fa riflettere soprattutto per un motivo: la metà dei docenti interpellati insegna alle elementari. Come dire che il seme della xenofobia germina sin da subito.

Una macchia in un mole di dati dalla quale emergere come in generale il processo di integrazione stia comunque funzionando, pur tra tante criticità. Perché il 96 per cento dei docenti intervistati afferma che la propria scuola ha messo in pratica degli interventi specifici per superare le difficoltà. Azioni che il 44 per cento di loro giudica buone, il 46 sufficienti e solo il 6 per cento non le reputa adatte.

Per gli insegnanti, del resto, non è facile avere a che fare con studenti stranieri. Lo scoglio più grosso è la lingua, ma creano problemi anche le differenze culturali e il fatto che il ragazzo arrivi in Italia con qualche carenza accumulata negli anni scolastici trascorsi nel proprio paese d'origine. Qualcuno, poi, non ce la fa a terminare gli studi e li abbandona. I motivi? In ordine di importanza: la scarsa motivazione allo studio, l'insufficiente attenzione delle famiglie alla scolarizzazione del figlio, l'utilizzo da parte dei genitori nelle loro attività lavorative e la necessità di trovare un impiego per mancanza di reddito.

Insomma, come sostiene Roberto Cardaci, il sociologo che ha formulato lo studio, «la scuola è un crogiolo in cui ci sono molte problematicità, ma anche una grande operosità creativa degli insegnanti». La maggior parte dei docenti opta per lavori di gruppo misti tra italiani e stranieri (il 62 per cento degli interpellati) e per la creazione di un laboratorio linguistico per imparare l'italiano (64 per cento).

Tanti problemi, ma del resto lavorare sull'integrazione degli studenti stranieri è necessario, perché il loro numero è in aumento costante. Lo scorso anno scolastico in Piemonte erano 55.543, cioè il 14,4 per cento in più dell'anno prima e sei volte in più rispetto al 1997. Vengono da 70 nazioni diverse, da tutti i continenti. Circa 28 mila di loro vive in provincia di Torino, anche se le province in cui la presenza è maggiore rispetto al numero complessivo di alunni sono Asti e Alessandria, dove non è italiano uno studente su sette.

Per favorire l'integrazione l'Ufficio scolastico regionale e l'assessorato all'Istruzione hanno finora messo sul piatto 1,5 milioni di euro, di cui due terzi di provenienza ministeriale e un terzo regionale. Per indirizzare al meglio le risorse è stato commissionato all'Ansas Piemonte (l'Agenzia per lo sviluppo dell'autonomia scolastica) un monitoraggio delle scuole della Regione. Dai dati emerge come l'82,5 per cento degli istituti dichiari di avere istituito una commissione di accoglienza per promuovere l'inserimento degli studenti stranieri. Ancora, il 72 per cento delle scuole realizza dei test per valutare il grado di conoscenza della lingua, l'84 per cento ha attivato corsi di alfabetizzazione. Ma scuole e insegnanti vorrebbero qualcosa in più: serve maggiore formazione sugli elementi dei sistemi scolastici dei paesi di provenienza degli alunni, occorrono più mezzi per gli studenti di seconda generazione.

Soprattutto occorrono più risorse, soprattutto in termini di personale dedicato.