Quei nostalgici esempi
di servitori dello Stato

Francesco Merlo, la Repubblica 29.5.2009

Il guaio dei presidi italiani non è solo quello d'essere diventati i protagonisti, sia pure sfortunati, d'una delle imprese più coraggiose, anzi disperate, ma anche più ripetute e decisive in questa nostra Italia: amministrare senza soldi. Hanno anche la disgrazia d'essere stati ridotti a reliquie di un mondo perduto. Ultimi eredi dell'aristocrazia culturale italiana, sono stati lasciati soli a contrapporre le aule scolastiche alle alcove ministeriali, e a difendere la scuola come studium, che vuol dire amore, passione e dunque vita contro una ministra che ama i libri (solo) contabili e crede che la modernità significhi tagliare, chiudere, umiliare e cacciare via.

Eppure da molti anni, i presidi italiani avevano smesso di insegnare, di essere i più imponenti e i più autorevoli degli insegnanti. Erano appunto diventati manager, anche se di un tipo davvero speciale, perché mai dovevano perdere di vista che la scuola è il luogo del sapere depositato e della vecchia, cara contestazione libro contro libro, figli contro padri, professori anziani contro professori giovani. I presidi devono insomma esibire un ventaglio di virtù che l'avvocato Gelmini non capirà mai. Non solo amministrare l'aziendascuola senza più soldi neppure per i detersivi e per la carta igienica, ma anche occuparsi di sesso maltrattato e di videotelefonini. E poi trovare le parole giuste per lenire le frustrazioni del professore ridotto da un salario da poveraccio a travet sformato e malinconico. E ancora affrontare le denunzie penali dei genitori, prassi quotidiana e devastante spauracchio della scuola italiana.

È il preside che deve impedire al professore di litigare con gli allievi che non capisce, fosse solo per ragioni anagrafiche. Ma il preside deve anche mettere pace tra gli insegnanti, e poi intercettare minacce, scoprire e persino coprire reati in un mondo dove, da tempo, non si vive più solo di Promessi Sposi ma anche di tracotanze.

È un manager, certo, avvocato Gelmini, ma anche un direttore d'orchestra nel clima avvelenato e illiberale che dalla politica arriva sino alla scuola. Un pastore d'anime, ma sempre laico, e dunque in grado di controbattere i toni esasperati dei clericali e degli anticlericali, e al tempo stesso fare a meno - per mancanza di fondi - della carta per fotocopie come ormai accade anche nei più prestigiosi licei di Roma e di Milano.

Ebbene, deve essere molto forte per questi uomini che tutti si gloriano di mettere nel sacco - dagli studenti ai ministri - la tentazione di dare retta all'avvocato Gelmini e andarsene davvero tutti a casa e lasciarla sola a finire di sfasciare la scuola con i ragionieri del suo ministero o, magari, con la polizia inviata dal suo collega Maroni.

Feriti nell'orgoglio da questa ministra, che manca loro di rispetto e non "presiede" i processi formativi ma li raggira, i presidi rimangono invece al loro posto malgrado la crisi, i salari scandalosamente più bassi d'Europa, il bullismo, le devastazioni politiche, gli insulti, le minacce. Ormai hanno capito che a ogni nuova provocazione la Gelmini sempre più mostra la sua estraneità al mondo della scuola, a quegli insegnanti e a quegli studenti del liceo scientifico Majorana, per esempio, che quando vedono passare il preside Giuseppe Moncada inconsapevolmente ma subito fiutano in lui, nella sua borsa di cuoio gonfia di misteriosi documenti, nel suo portamento e nella sua composta discrezione, nella stessa foggia dei suoi abiti ispirata più a decoro che a eleganza, l'erede naturale di quei "Servitori della Cosa Pubblica" di cui, nel governo, si è purtroppo perso il seme, ma di cui serbiamo tutti un'accorata nostalgia.

Pare insomma che di stupefacenti e tonitruanti amministratori senza soldi l'Italia di oggi sia piena. Ma i presidi nutriti di buone lettere e di vera indulgenza, se una volta erano i pochi che diventavano sempre di più, ebbene oggi sono i pochi che diventano sempre di meno. Ma, diavolo!, di indulgente saggezza debbono averne davvero tanta se resistono, con l'abituale compostezza e gravità, alle corbellerie che sta facendo e dicendo questa nostra benedetta ministra.