Professori gratis
I tagli del governo limitano le spese degli
atenei:
aumentano i docenti che accettano di lavorare senza stipendio
Flavia Amabile, La
Stampa 16.5.2009
Non
appaiono ancora nelle statistiche ufficiali ma sono
sempre di più i volontari in cattedra nelle università italiane. Non
parliamo dei ricercatori mandati a lavorare in nero al posto dei
docenti, ma di veri e propri titolari ufficiali dei corsi. Più si
riducono i fondi assegnati alle università più aumenta il plotone di
coloro che accettano di insegnare anche senza vedere un solo euro in
cambio. E’ uno scambio di favori tra università e docenti e avviene
con i professori a contratto, i free-lance degli atenei, come tutti
i free-lance abituati a vivere in una giungla dove tutto è
possibile.
Il mese scorso Lorenzo Massobrio, preside
della facoltà di Lettere dell’Università di Torino ha organizzato
una riunione con i 50 professori a contratto della facoltà. Ha
spiegato che la crisi rende necessario tagliare le spese. e quindi,
chi vuole lavorare deve farlo gratis. I professori di ruolo non
possono avere riduzioni di stipendio, ricercatori e associati
nemmeno, e quindi tocca a loro. «Molti mi hanno comunicato di essere
disposti a accogliere la mia richiesta», ha spiegato Massobrio.
Lo stesso accade in molti atenei italiani.
All’Università di Firenze o in quella di Siena, ad esempio, alle
prese con bilanci in rosso profondo. Oppure all’Università di
Messina dove oltre al danno di lavorare gratis i nuovi docenti
devono subire anche la beffa di sapere che c’è chi nel frattempo di
stipendi ne prende addirittura due. L’Università, infatti, ha
bandito nelle scorse settimane concorsi per l’assunzione di 11
docenti a contratto, ed era specificato che si trattava di contratti
«a titolo gratuito, in quanto volti all’arricchimento delle
competenze professionali degli aspiranti». Una decisione presa
perché docenti di ruolo hanno rinunciato per andare a fare lezione
altrove, ovviamente pagati.
La tentazione di trasformare il più
possibile in free-lance i docenti è forte in tutt’Italia e le
possibilità di riuscirci sono ampie perché i potenziali volontari
sono più numerosi di quelli di ruolo. Nel 2007 i professori ordinari
erano 19.625 e gli associati 18.733, molti ma molti di meno dei
docenti a contratto che erano 52.051.
Ed infatti le università ne approfittano. E’
stato il senatore Giuseppe Valditara del Pdl a effettuare alcuni
calcoli da cui risulta ad usarne senza troppi scrupoli sono tante:
il Politecnico di Torino (18 studenti per ogni docente a contratto),
l’Università dell’Insubria (15,3), Milano Bicocca (18,7), Pavia
(14,6), Verona (18,3), Venezia Iuav (16,9), Ferrara (11,5), Siena
(18,5). Per non parlare delle università libere dove le percentuali
scendono ancora di più. Ad esempio a Bolzano si arriva a 3,5
studenti per ogni docente a contratto, e a Milano Unitel siamo sui 3
studenti, a Roma Europea sui 4,3.
Ma che qualcosa non vada negli stipendi
percepiti da quest’esercito di volontari lo si capisce andando oltre
queste cifre, e calcolando quanto spendono queste università per i
free-lance a contratto rispetto ai docenti di ruolo. Al Politecnico
di Torino, ad esempio, si spende oltre tre volte di più per i
docenti di ruolo che per quelli a contratto visto che si elargiscono
53.845.276 euro per 875 tra docenti di ruolo e associati e
ricercatori e 2.623.394 euro per 1341 docenti a contratto. Oppure a
Bari, dove per ogni docente di ruolo si spendono 60.417 euro e per i
docenti a contratto 16.618.
Come è possibile che accada questo?
Basta andare a vedere le tabelle dei contratti di docenza di
un’università come quella di Genova, facoltà di Giurisprudenza: su
105 contratti stipulati per il 2007/08, quasi uno su tre prevedeva
50 euro di compenso lordo annuale. «Tutto in effetti è deciso da una
contrattazione fra il precario, lo sponsor, e il
dipartimento-facoltà, e i regolamenti ministeriali e degli atenei
sono solo gusci vuoti dove si può adattare tutto e il contrario di
tutto», spiega Francesco Cerisoli, presidente dell’Apri,
associazione precari della ricerca italiani.
«In alcune università
i corsi a contratto sono più del 50%, è normale che sia così: ogni
anno i fondi si riducono e quindi ci sono poche alternative se si
vuole continuare a mantenere aperti degli insegnamenti», spiega
Luigi Valbonesi, una pluriennale esperienza da contrattista al
Politecnico di Milano. «Anche quando si ha la fortuna come me di
essere pagati siamo gli unici a veder diminuire il nostro stipendio
di anno in anno. In ogni caso un bel giochino è raffrontare quanto
viene pagato un corso a contratto (il che in una qualche misura ne
indica il valore che ad esso viene dato dall'università) con
l'impegno in termini di ore di lavoro per vedere quanto queste siano
pagate: i corsi meglio pagati arrivano al prestigioso livello di
essere pagati quanto viene pagata una collaboratrice domestica».
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A leggere il curriculum
di Marco Mondini ci si imbatte in una sfilza di pubblicazioni e
incarichi in università di prestigio come storico contemporaneo. Gli
vai a parlare e si scopre che vive con un assegno di ricerca della
Normale di Pisa e che per quattro anni ha insegnato gratis
all’università di Padova. E che «solo per caso» non è ancora
iniziato il quinto anno di volontariato: nello statuto
dell’università di Padova è apparsa una norma che prevede
l’incompatibilità tra assegnisti e docenti. «Ho scelto l’assegno ma
quando terminerà riprenderò a lavorare a Padova».
Gratis?
«Di sicuro, senza avere nemmeno un euro».
E le conviene?
«Certo, si tratta di quello che noi chiamiamo
‘mantenere il posto in fila’. Bisogna avere un piede sempre dentro
l’università se si vuole sperare di andare avanti».
Avanti, dove?
«Esistono alcune regole non scritte in questo mondo. Se io mi
presentassi a un concorso senza avere mantenuto il mio piede dentro,
non avrei alcuna speranza di poterlo vincere. Lo stesso se ci si
vuole presentare a delle selezioni all’estero. Lì non ha alcun peso
che io abbia percepito dei soldi oppure no per il mio insegnamento:
conta il titolo».
Conta poter scrivere docente sul
biglietto da visita?
«In università come Medicina o Giurisprudenza i docenti a
contratto sono professionisti che sanno molto bene di poter chiedere
parcelle più alte proprio per il titolo acquistato anche se
lavorando gratis. E nel mio caso non sono un borsista qualsiasi ma
un docente: ci ho guadagnato moltissimo in contatti, in credibilità.
E’ uno scambio alla pari: ci guadagno io e ci guadagna la mia
università. Infatti è una pratica molto diffusa».
Come gliel’hanno chiesto?
Il mio professore di riferimento andava via per un anno sabbatico,
il suo insegnamento sarebbe stato soppresso. Ho chiesto di prenderlo
io al suo posto. Mi hanno risposto di sì, a patto che lo facessi
gratis.
Non c’erano soldi?
«No, perché i soldi che un dipartimento ha vengono spesi
per gli insegnamenti fondamentali. I complementari vengono affidati
alla buona volontà dei docenti. Per me è iniziata così, un corso di
30 ore. E non avessi tenuto in piedi quel corso l’offerta
dell’ateneo si sarebbe impoverita».