NEL POLMONE MULTIETNICO DI BROOKLYN New York, dove la scuola viene prima di tutto Negli Stati Uniti nessuno chiede permessi di soggiorno agli studenti La Stampa 6.5.2009
CORRISPONDENTE DA
NEW YORK Basta guardare chi scende dalla lunga fila di scuolabus gialli che si fermano davanti all’entrata per accorgersi della forte presenza di cinesi in un’area dove storicamente le minoranze più numerose e visibili sono gli italiani e gli ebrei. «E’ un fenomeno che registriamo in crescita da alcuni anni - spiega Joe Rizzi, titolare del doposcuola "Beacon" - ed ha portato ad un drastico cambiamento della popolazione scolastica». Anche perché le leggi dello Stato di New York obbligano ogni scuola dove «più di venti alunni parlano una identica lingua straniera» a offrirgli lezioni nel loro idioma d’origine. E’ stato questo l’inizio dello sbarco di insegnanti bilingue, in cinese e inglese, che tengono oramai numerose classi aiutando gli alunni stranieri ad un progressivo inserimento fra i coetanei americani. Il punto è che nessuno è in grado di dire quanti di questi studenti cinesi siano legali o no. I regolamenti applicati dalla preside Denise Lewinsky non prevedono infatti la verifica dello status di legalità delle famiglie degli alunni. «Quando i genitori vengono da noi a iscrivere i figli - spiega Joe Rizzi - gli chiediamo un documento qualsiasi che attesti il domicilio nell’area urbana vicino alla scuola, e può essere anche solo una bolletta della luce pagata di recente, il certificato di nascita e i documenti della scuola di provenienza, dunque non ci interessa se i ragazzi siano figli di clandestini o no». E lo stesso avviene nelle altre scuole dello Stato di New York e del Paese. Il risultato è che la «Seth Low» al mattino e il doposcuola «Beacon» al pomeriggio consentono a alunni compresi fra i 10 e 18 anni di mischiarsi fra loro indipenden-temente dalla validità o no dei documenti di permanenza negli Stati Uniti delle rispettive famiglie. Fra i genitori che accompagnano i figli di fronte al portone al numero 99 il tema dei «figli dei clandestini» non è troppo sentito. «A me ciò che interessa è soprattutto di avere degli insegnanti capaci proprio come chiede il presidente Obama» assicura una mamma trentenne afroamericana, che scende da un Suv e dice di «non far caso» al gran numero di ragazzi cinesi «perché a Brooklyn si vive così, senza prestare troppa attenzione a chi abbiamo seduto vicino al cinema o sul bus». Ciò che colpisce è come, fra i genitori che accompagnano i figli al mattino, padri e madri cinesi quasi non ci siano. I ragazzi con gli occhi a mandorla arrivano tutti ordinatamente a bordo degli scuolabus che li vanno a prendere lungo un percorso che attraversa Bensonhurst e dunque percorre le zone dove molti immigrati illegali risiedono. Ma la polizia di New York, che pure dà una caccia senza quartiere ai clandestini, si guarda bene dal tentare di sfruttare le informazioni in possesso della scuola per risalire a dove abitano famiglie di illegali. «Questa è solamente una scuola e le leggi dello Stato di New York come del governo federale - osserva una maestra di inglese che chiede l’anonimato - ci obbligano esclusivamente a fare del nostro meglio per educare i ragazzi che si iscrivono» senza peraltro pagare nulla perché si tratta di istituti pubblici. Il risultato dell’integrazione multietnica lo si vede soprattutto quando, alle 14,45, inizia il doposcuola perché gli oltre mille ragazzi si mischiano fra loro nella mensa per consumare gli «snack» come anche nella palestra e in grandi sale per fare i compiti assistiti da un team di insegnanti pomeridiane, fra le quali molte sono di lingua inglese proprio per andare incontro alle esigenze degli stranieri. E se qualcuno dubita dell’efficacia di questo modello la preside Lewinsky è pronta a rispondere facendo uscire dal cassetto della scrivania i riultati del sondaggio appena terminato fra le famiglie sulle «attese accademiche dell’anno scolastico»: il 55,6 per cento afferma che i risultati sono stati superiori alle previsioni. |