Vicenza e i dirigenti scolastici:
una mozione quanto meno discutibile
di Gianni Gandola, da
ScuolaOggi 24.7.2009
Non c’é dubbio che se si guarda la vicenda della mozione bipartisan
Pdl e Pd del consiglio provinciale di Vicenza sullo stop ai presidi
del Sud sotto il profilo amministrativo o “legalitario” (vale a dire
del rispetto delle norme) le considerazioni di Federico Niccoli non
fanno una piega.
Come scrive Federico, nei concorsi a dirigente scolastico è stato
recentemente introdotto il criterio della regionalizzazione per cui
ogni regione dovrebbe bandire un concorso per un certo numero di
posti, aumentabile solo fino al 10% degli idonei.
“Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana,… si sono attenuti al
criterio stabilito dalla legge. Al sud, invece, il 10% è divenuto
una mera ipotesi di lavoro, una variabile indipendente benedetta da
alcuni TAR delle rispettive regioni. E così al Nord le graduatorie
si sono esaurite immediatamente, mentre al Sud gli idonei
proliferano e coprono tutti i posti vacanti (per pensionamento,
dimissioni, …) dell’intera Repubblica.”
Ma lui stesso ricorda, qualche riga prima, che “i concorsi a
“preside” si svolgevano a livello nazionale. Tutti gli aspiranti
svolgevano le prove scritte e orali a Roma e, al termine della
procedura, si formava un’unica graduatoria dei vincitori e degli
idonei, che venivano inizialmente e successivamente destinati alle
sedi vacanti nel territorio nazionale. In quel caso, i posti
venivano coperti senza problemi da settentrionali-meridionali in
base al punteggio assegnato nell’unica graduatoria e non si sono mai
verificati problemi di sorta.”
Proprio qui sta il punto, sempre sul piano amministrativo. Non si
capisce proprio perché questo criterio, seguito per decenni, è stato
modificato (in peggio). Se il sistema d’istruzione è un sistema
nazionale unitario chi fa il concorso per svolgere la funzione di
dirigente scolastico deve sapere che la sede di servizio è sul
territorio nazionale. Punto e basta. Così infatti era una volta.
Ricordo bene di amici e colleghi che, negli anni ’80, da Milano o
Piacenza, ove erano residenti, hanno dovuto scegliere come prima
sede di servizio una sede lontana, come la Sardegna. E senza alcuna
selezione o discriminazione territoriale (meridionali-settentrionali)
di sorta, ma semplicemente in base al punteggio ottenuto in una
graduatoria nazionale. Appunto.
Semmai, dal punto di vista della scuola, della gestione degli
istituti scolastici, il problema vero era (ed è) quello di evitare
il continuo cambio e avvicendamento del dirigente. Perché questo
nuoce al buon funzionamento della scuola, che richiede un minimo di
continuità, la conoscenza dei problemi, dell’ambiente scolastico,
della specificità del territorio, ecc. In questo senso allora ha
ragione Valentina Aprea quando sostiene che “basterebbe introdurre
l’obbligo della permanenza dei presidi nella sede per alcuni anni”
(La Repubblica, 24 luglio). Diciamo almeno un triennio? Ma la
permanenza per alcuni anni nella stessa sede, in linea ordinaria,
non era prevista nello stesso contratto e nell’incarico conferito
dai direttori regionali?
Francamente non capisco invece il senso di questa “regionalizzazione
a metà”, peraltro non osservata in maniera omogenea sul territorio
nazionale. E ancor meno capirei “il dirigente scolastico del
territorio” quasi fosse il vigile di quartiere o il rappresentante
di una particolare etnìa. Almeno fino a quando il sistema di
istruzione nel nostro paese è nazionale e unitario. Se poi si pensa
ad un federalismo alla Bossi, alla scuola padana e ad altre ipotesi
consimili, è chiaro che le cose cambiano.
Ma quello che Niccoli forse sottovaluta, nella difesa o
giustificazione della mozione bipartisan, è a mio avviso l’impatto
simbolico che questa determina. Mi sembra evidente che nell’attuale
contesto politico e sociale (derive razziste e antimeridionalistiche
in atto) e nell’immaginario della gente questa presa di posizione
finisce inevitabilmente per suonare come un rifiuto nei confronti di
dirigenti scolastici che vengono dal meridione. In questo senso ha
ragione Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, a considerare
questa mozione “pericolosa”. Non ci sorprende, a questo punto, il
Pdl. Rientra nella cultura o sottocultura di alcune sue componenti,
Lega in primis. Ci sorprende ancora una volta il Pd. Ma forse il
dibattito congressuale potrà essere l’occasione per sciogliere anche
questi nodi, in tema di federalismo, decentramento e funzioni dello
Stato nazionale per quanto concerne il sistema di istruzione.
Ammesso che anche la scuola pubblica e l’istruzione siano al centro
del dibattito politico e non, come quasi sempre, una questione di
fatto marginale e secondaria.