Maturità e dintorni di Roberto Bertoni, Articolo 21, 13.7.2009 Come ogni anno, di questi tempi, tengono banco le notizie riguardanti gli esami di Maturità. Il “partito del merito” gongola visto che, stando ai dati forniti dal ministero della Pubblica Istruzione, i non ammessi alle medie e i rimandati alle superiori sarebbero cresciuti in percentuale rispetto agli anni precedenti. Cosa ci sia di positivo in tutto questo non è dato saperlo, ma i soliti “intellettuali meritevoli” ci vengono in soccorso. Sentite, ad esempio, cosa afferma Mario Giordano (direttore di quell’esempio di imparzialità e buon giornalismo che è “il Giornale”) in un articolo sulla rivista “A”: “Maturità più giusta e più severa dunque. È la strada da seguire. Ma siamo solo all’inizio. E per continuare su questa strada, se ci è concesso un consiglio da grilli parlanti, sarebbe ora di smetterla con tutti questi vip intervistati in vista della maturità che raccontano pieni di nostalgia la loro notte prima degli esami, finendo come sempre per sottolineare con orgoglio quanto erano asini a scuola. Come a lasciar passare il messaggio: solo chi è asino può avere successo nella vita”. Gli fa eco l’esimio Giorgio Israel su “Il Messaggero”: “È sorprendente la diffusa resistenza a verificare programmi e contenuti dell’insegnamento”. E ancora: “Cosa è più urgente fare? Proviamo a dirlo in pillole. Occorre riqualificare la funzione dell’insegnante introducendo una progressione di carriera e un sistema di formazione e reclutamento basati sul merito (ovvero su prove e verifiche). Occorre ricondurre gli attori della scuola ai loro ruoli: niente più famiglie sindacati dei figli e studenti che comandano a scuola (da questo punto di vista la vicenda dei tabelloni del Liceo Berchet di Milano con i voti dati dai docenti agli studenti accanto a quelli dati dagli studenti ai docenti è un episodio di squallida demagogia). La valutazione delle scuole va effettuata da commissioni ispettive “umane” composte da insegnanti esterni o anche in pensione. Occorre procedere a un riesame a fondo di curricula e programmi mettendo al bando fumisterie e metodologie vacui e procedendo a una rigorosa riqualificazione disciplinare. Infine, occorre un esame della questione dei libri di testo: troppi e non sempre di buona qualità; davvero troppi e spesso pessimi alle elementari, probabilmente come conseguenza della loro gratuità”. Riflettiamo un momento sui tratti citati di questi due articoli e anche sui loro titoli. Cosa vogliono dire Giordano e Israel? Sarebbe bello saperlo, ma temo che non lo sappiano neanche loro. Il titolo scelto da Giordano è: “Un po’ più maturi (anche al ministero), ed è seguito da un panegirico iniziale che elogia i “compiti precisi” con “tracce belle, novità e tradizione, uso abbondante di foto e poi Cicerone, il social network e la riscoperta dell’amore. In attesa di ridurre il numero degli asini nella scuola italiana, si è cominciato con il ridurre quelli al ministero della Pubblica Istruzione. È già un ottimo risultato, non vi pare?”. Di sicuro, è andata meglio rispetto agli errori grossolani e inammissibili che abbiamo visto lo scorso anno, quando a decidere le tracce e le seconde prove furono gli “esperti” nominati da Fioroni, ma anche quest’anno gli “esperti” della Gelmini non hanno scherzato, attribuendo una sonata di Beethoven a Haydn e omettendo le ultime tre pagine del documento destinato agli sfortunati studenti del liceo musicale. Ed è straordinaria anche la giustificazione dell’“esperto” scelto dalla Gelmini, il professor Bruno Carioti (direttore del Conservatorio dell’Aquila): “Si è trattato di una differenza tra la prima pagina, che spiegava al candidato cosa fare, e le fotocopie della partitura da analizzare, allegate. Due mesi fa ero stato incaricato dal ministero dell'Istruzione e avevo scelto due opere, una di Haydn e l'altra di Beethoven; intestazioni e partiture sono state scambiate. Non so dire adesso se sono stato io stesso a commettere l'errore o altri. Mi hanno telefonato dal ministero per avvisarmi dell'accaduto”. Non soddisfatto, ha aggiunto pure: “Certo, conoscere il nome dell'autore di un brano sicuramente è utile per sapere il periodo storico e lo stile, ma il lavoro tecnico di analisi armonica di una partitura è possibile, a prescindere dal fatto che si sappia o meno chi l'ha scritta”. Già, nella scuola dei quizzoni e delle crocette, non serve a niente conoscere chi abbia scritto un’opera, in quale periodo sia vissuto, in quale contesto storico abbia operato poiché è bene che i ragazzi non imparino a fare troppi collegamenti, altrimenti potrebbero accorgersi degli ingloriosi parallelismi che esistono tra certe epoche del passato e quella attuale, con un Premier il cui entourage ricorda quello della corte neroniana, tra scandali, lusso sfrenato, ritorsioni e la più assoluta mancanza di libertà d’espressione. Premetto ai lettori che anch’io, quest’anno, sono stato tra i maturandi, ho svolto il mio esame e, lo dico con molto orgoglio e senza vanagloria, ho ottenuto un risultato superiore alle mie aspettative. Ebbene, anch’io ho svolto il tema di italiano (per l’esattezza, quello storico-politico sulla cultura giovanile in cui erano riportate foto che andavano dai “Beatles” a Facebook) e ho constatato un piccolo miglioramento nei contenuti, pur rimanendo assai scettico sull’analisi del testo e su altre tracce, buone nelle intenzioni ma, a parer mio, spiegate male e con richieste difficili da decifrare per gli studenti. Tuttavia, non è di questo che intendo occuparmi. La lunga introduzione, corredata dai sublimi pensieri dei nostri commentatori, è servita a chiarire meglio a chi legge come non deve essere la scuola. Per essere valida, seria e al tempo stesso umana e comprensiva, la scuola deve essere esattamente l’opposto di ciò che teorizzano i vari Giordano e Israel sparsi per i quotidiani. Vi racconto, invece, come si è svolta la mia Maturità e quale penso debba essere il clima in un esame così complesso e impegnativo. Nessuno ci ha regalato nulla, ma le prove si sono svolte in un’atmosfera cordiale e gradevole, con insegnanti che passavano tra i banchi e si sinceravano che andasse tutto bene, confortavano chi era in difficoltà, lo incitavano a concentrarsi, a dare il meglio di sé e a considerare l’esame un crocevia importante per il proprio futuro. Inoltre, se serviva un’informazione, un consiglio su una forma grammaticale, un suggerimento su una data (insomma: tutti aspetti secondari ma comunque significativi), nessuno negava il proprio aiuto poiché tutti sapevano che il livello di preparazione non si valuta certo in base ad una data, ad una citazione o ad un riferimento storico. Allo stesso modo, anche durante la seconda prova, nessuno si è scandalizzato se il compagno più bravo suggeriva all’altro un verbo o una costruzione poiché, pure in questo caso, chi sa tradurre e chi meno non si stabilisce certo in base ad una parola o ad una correzione di carattere stilistico. L’idea che chi è capace debba eccellere e gli altri vadano lasciati indietro, senza alcun sostegno perché sennò si falsa la regolarità dell’esame, è propria dell’autoritarismo di questo governo, il cui Presidente del Consiglio ha inanellato una serie di figuracce (tipo Romolo e Remolo) così lunga da aver perso il conto. Chi brilla deve emergere, per carità, ma consentendo anche a chi sta indietro di venire avanti, non schiacciando i più deboli. È questo il concetto basilare che intendo affermare in questo articolo: le persone in gamba vanno sì valorizzate, ma come punti di riferimento, come esempi, come fari per costruire una società più aperta e tollerante, non come vessilli da esibire per umiliare chi vale di meno, che in questa maniera si intristisce e si lascia andare. Per questo, sono sempre stato contrario allo pseudo-rigore della riforma Fioroni e per questo sono oggi ancora più contrario alle norme della Gelmini, come l’obbligo di avere sei in tutte le materie per essere ammesso agli esami. Questo falso rigore, imbevuto di disprezzo per i secondi e di profondo classismo, non è certo riconducibile a quel principio di “Aurea mediocritas” (“Ottimale moderatezza”) che mi ha insegnato la professoressa di latino e greco quando abbiamo studiato Orazio. Non è certo un modo di rendere la scuola più efficiente e formativa; è solo un insieme di crudeltà, vessazioni e leggi sbagliate che stanno impedendo anche ai buoni insegnanti (la stragrande maggioranza) di svolgere al meglio il proprio mestiere. Mentre studiavo, e in certi giorni sono stato sui libri quasi venti ore, la stanchezza cresceva di minuto in minuto e in certi istanti diventava insopportabile, costringendomi a lasciar perdere per alcuni minuti e inducendomi alla tentazione di smettere e andare un po’ a riposarmi. In quei momenti, però, scattava dentro di me una molla. Mi tornava in mente una frase della mia professoressa di matematica, che un giorno mi spiegò perché avesse scelto questo mestiere e lo svolgesse con tanta passione: “Non mi dà “, disse più o meno, “né gloria né fama né ricchezza, ma mi regala la soddisfazione più grande: stare tra i giovani, capire meglio le nuove generazioni, costruire attraverso il mio impegno, in cui credo e per cui mi batto, una società e un Paese migliori”. Non avrei mai potuto deluderla, e mollare mi sembrava un insulto nei suoi confronti; pertanto, sia pur ormai allo stremo, mi rimettevo a studiare con grinta e mi immergevo in quelle formule matematiche, in quei concetti della fisica così ostici eppure così importanti da comprendere in una società complicata e in costante evoluzione come quella attuale. Mano a mano la fatica svaniva, e quando mi trovavo a leggere le pagine di un Seneca, di un Tacito o di un Plutarco, mi accorgevo di non stare solo preparando un esame ma di stare costruendo il futuro mio e del contesto sociale in cui mi collocherò. Grazie ai miei insegnanti, ho compreso l’importanza e il valore della scuola, intesa come promozione sociale e culturale della persona e non come vuota istituzione in cui l’alunno viene vessato con lo stupido nozionismo tanto caro al “partito del merito” e ad alcuni esponenti della nostra classe politica. Sempre grazie a loro, ho imparato ad accettare i miei limiti, e in particolare le sconfitte, col sorriso sulle labbra, poiché non ci vuole nulla ad essere euforici dopo una vittoria ma non c’è niente di più difficile che perdere con dignità. I voti, di solito, sono stati dalla mia parte, ma ci sono stati pure giorni bui, con versioni di cui non comprendevo il significato, esercizi di matematica che non venivano, addirittura interrogazioni in italiano in cui andavo bene ma non come avrei voluto. Eppure, non mi sono mai sentito giudicato, non sono mai state messe in discussione le mie capacità e ogni insuccesso mi è servito come monito per non commettere gli stessi sbagli in futuro. Ho sbagliato molto in questi tredici anni di scuola, e soprattutto in questi cinque anni di liceo, ma sempre con onestà, mai in conto terzi, assumendomi le mie responsabilità e andando avanti, animato e rinfrancato dagli insegnamenti che ricevevo da professori che sacrificherebbero qualunque cosa per i propri ragazzi. “Io questa classe la sento già mia” esordì la professoressa di matematica il primo giorno di liceo, a dimostrazione di un attaccamento straordinario al proprio mestiere e di un amore sincero nei confronti di noi giovani. Non dimenticherò mai il giorno dell’orale, con i professori interni umani e comprensivi e gli esterni che capivano al volo le qualità di ciascuno studente. Non dimenticherò mai la professoressa di matematica accanto ad ognuno di noi nel momento più importante, con gli occhi sempre fissi su chi stava sostenendo l’interrogazione per incoraggiarlo ed evitare che si facesse sopraffare dalla tensione e dalla paura di sbagliare. Non dimenticherò mai quest’ambiente così dolce, confortevole e familiare che mi ha reso un uomo libero, in grado di giudicare criticamente ogni vicenda e di ragionare con la propria testa: un ambiente, dunque, che mi ha reso un cittadino e non un suddito, un amante nella democrazia ed un nemico giurato di ogni forma di tirannide.
Mi sono lasciato andare ad una descrizione così lunga delle mie
questioni personali non per narcisismo, ma perché sono certo che tra
i giovani lettori di questa rubrica la maggior parte si riconoscerà
in questo racconto, rivedrà nella mia esperienza la propria e
proverà molta nostalgia per un modo di fare che andrebbe esportato
al di là delle mura scolastiche. Senza dubbio, andrebbe riformata in numerosi aspetti (a cominciare dai programmi ormai obsoleti), ma la struttura è ottima, chi vi lavora sono per lo più persone che credono nel proprio lavoro e si impegnano ogni giorno per costruire un futuro più giusto ed una società più libera. Giordano e altri si beano della disumanità delle nuove riforme, dato che a loro non importa nulla della scuola; anzi, la temono, visto che è un luogo dove c’è ancora qualcuno che insegna faticosamente a pensare e a distinguere le menti libere da coloro che pagherebbero per vendersi (per dirla con Victor Hugo). Per troppo tempo, le istituzioni hanno avuto timore della scuola e il risultato è sotto i nostri occhi: la gente ha paura delle istituzioni, non se ne fida più e dilagano l’antipolitica, il berlusconismo più becero, il velinismo, il servilismo e tutti gli altri mali che stanno minando le fondamenta dell’Italia.
Una scuola libera e ben valorizzata è l’unica possibilità che un Paese
ha di crescere, e se oggi siamo fermi è soprattutto perché le
pessime riforme degli ultimi quindici anni (sia di destra che di
sinistra) hanno paralizzato la scuola, imbrigliandola in maglie
burocratiche d’ogni sorta, fino a trasformare chi vi lavora in un
semplice funzionario. Per quel che riguarda alcuni “opinionisti” e i loro affiliati, nessuno può impedire a certe menti di esprimere le proprie convinzioni; basta leggerle con attenzione e poi ricordarsi di ciò che diceva Montanelli: “La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”. |