Che ne è della storia nelle scuole di Andrea Muni, Pavone Risorse 6.6.2009 Nel 1962 è la volta di Bruno Ciari con il suo Il fanciullo e la storia, seguito nel 1967 da Per studiare storia, che ora si trovano all’interno di un lavoro più ampio coordinato da Alberto Alberti, attualmente ispettore tecnico del ministero della pubblica istruzione, che Raffaele Iosa nel suo libro L’educazione contro il declino riconosce come suo “padre pedagogico” insieme con Sergio Neri. Nei suoi scritti del 1962 e del 1967 sulla didattica della storia troviamo alcune tesi di fondo di Ciari, perfettamente inserite all’interno delle tesi condivise all’interno del Movimento di Cooperazione Educativa di cui Lodi è socio. Queste tesi di Ciari, condivide dal MCE, sono che si debba insegnare “i concetti fondamentali o unificatori” grazie a cui il bambino “interpreta se stesso e la civiltà del nostro tempo”, partendo “sempre e comunque dal presente, cioè da una conoscenza e da una rappresentazione dell’ambiente nei suoi aspetti naturali, economici, sociali e umani, così com’è indicato dagli schemi presentati da Mario Lodi e dal gruppo torinese”, dove “l’opera più efficace del maestro è quella di mettere il ragazzo in condizione di “fare senza il maestro”, considerando questo un punto d’arrivo e non di partenza”. Io qui osservo che Ciari, mentre da una parte indica che la didattica della storia ha a che fare col momento in cui “ci si chiede il “perché” di un fatto storico; quando si cerca d’individuare le ragioni di una conquista umana”, non spiega in che modo ciascun bambino possa esser messo in condizione di sentire il bisogno cognitivo di chiedersi quel perché o di cercare d’individuare quelle ragioni, né come possa arrivare a costruirsi quelle spiegazioni, a partire da quale tipo di informazioni, attraverso quale tipo di mediazione didattica, e per mezzo di quali operazioni e processi di pensiero. Si limita semplicemente a indicare il cuore della didattica della storia nelle domande sul “perché” di un fatto, senza però mostrare come l’insegnante possa aiutare ciascun bambino ad entrare in quel “perché”. Potremmo sospettare che quel “perché” resti nella mente dell’insegnante, e non sia presente in quella del bambino. Analogamente a quanto si può fare leggendo Dewey. (*) questo saggio sull'insegnamento della storia comprende 4 capitoli dedicati rispettivamente a: Dewey, Cousinet, Ciari e Petter |