Si apre il grande gioco
per ripulire gli atenei

Mario Pirani, la Repubblica 22.6.2009

Preoccupano i ripetuti rinvii del disegno di legge sull'università, da tempo annunciato da Mariastella Gelmini. Appare probabile che resistenze oblique siano all'opera per depotenziare il punto più importante: la introduzione di un concorso unico - l'abilitazione scientifica nazionale -, suddiviso per ruoli (ordinario, associato, ricercatore) per ottenere l'idoneità all'insegnamento universitario, così da disseccare alla radice la mala pianta del clientelismo locale e della parentopoli accademica. Con un primato negativo che ha visto per ognuno dei quindici maggiori atenei, la percentuale dei docenti nati nello stesso comune o nella stessa provincia dove l'istituto ha sede, raggiungere livelli strabilianti: alla Sapienza di Roma il 55,5, alla Federico II di Napoli il 66,9, a Milano il 50,9, a Bologna il 38,6, a Palermo 66,8, a Bari il 59, a Catania il 66,5, a Torino il 56, e via elencando. «È difficile evitare la conclusione che questi atenei sono principalmente dei datori di lavoro per le élite locali, più che dei luoghi dove cercare di fare la migliore ricerca possibile» (Roberto Perotti, «L'università truccata», ed. Einaudi).

Il venir meno del criterio di concorrenza meritocratica ha provocato altri fenomeni degenerativi. Le statistiche evidenziano come il 22% dei professori universitari abbia più di 60 anni e come ben il 57% ne abbia più di 50. L'invecchiamento è stato prodotto dal fatto che i concorsi locali sono stati quasi esclusivamente motivati dall'esigenza di promuovere un docente interno, già individuato in partenza, per una cattedra di ordinario o associato. Si sono così chiuse le porte alle giovani generazioni di ricercatori, che rappresentano solo il 35% del personale universitario.

Il disegno di legge delega fissa, dunque, un criterio selettivo per titoli affidato ad una commissione nazionale, eletta a scrutinio segreto. Un'ottima cosa ma, ciò detto, già si intravedono alcuni pertugi per assicurare qualche possibilità di clientelismo. Ad esempio, si affaccia una scappatoia pericolosissima laddove si legge: «Qualunque sia il sistema di reclutamento prescelto... appare opportuno aprire uno spazio alla sperimentazione di forme di reclutamento diverse da quelle generali da parte delle scuole ad ordinamento speciale e delle università libere... perché possano procedere a chiamate dirette di studiosi non necessariamente in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale, prevedendo che i docenti così assunti possano essere inseriti nell'organico nazionale, una volta conseguita in un secondo momento l'abilitazione». Insomma si predisporrebbe in partenza una entrata di sicurezza per gli amici degli amici. Un'altra facilitazione potrebbe aprirsi con il mantenimento di una selezione a livello locale, sia pure di candidati che abbiano ottenuto l'abilitazione, la quale, però, non prevedendo classifiche, si presta ad interessate «interpretazioni» da parte delle lobby accademiche e politiche locali. La scommessa che approderà presto in Parlamenti è, quindi, grossa e non va abbandonata alle vecchie confraternite.
 

PS. All'Università di Bari, di cui mi sono già occupato («Linea di confine», 1 giugno) i rappresentanti degli studenti chiedevano il blocco della possibilità dei vecchi professori di restare in servizio fino a 72 anni (e non a 70). Largo ai giovani va bene, ma... «con juicio». Come dimostra le decisione del Rettore, Corrado Petrocelli, di ammettere il prolungamento del rapporto solo per comprovate esigenze didattiche o per l'alta ed elevata produttività scientifica del richiedente. Un giusto principio selettivo. Il Rettore mi ha anche inviato una abbondante documentazione sui successi conseguiti per superare gli effetti negativi degli scandali che avevano coinvolto quel grande ateneo. Dall'avviato rientro da una situazione di deficit insostenibile, con una ripresa dell'attività di ricerca, alla assunzione di giovani studiosi che ha invertito il rapporto tra ordinari e ricercatori. Una indicazione per tutti gli atenei.