Flessibilità: quote crescenti…
...di incertezza

di Anna Maria Bellesia La Tecnica della Scuola, 8.6.2009

Sul riordino degli istituti tecnici e professionali, si sta facendo strada un nuovo concetto di flessibilità per le aree di indirizzo, intesa come quota aggiuntiva a quella dell’autonomia. Oltre al 20% dei curricoli, gli istituti avranno ulteriori “ampi spazi di flessibilità” per valorizzare settori produttivi importanti per l’economia.

Come specificato nello Schema di regolamento approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri del 28/5/2009, i tecnici avranno il 30% nel secondo biennio e il 35% nel quinto anno, mentre i professionali il 25% nel primo biennio, il 35% nel secondo biennio, per arrivare al 40%nel quinto anno.

Queste quote di flessibilità servono ad articolare le aree di indirizzo in opzioni e ad introdurre insegnamenti alternativi inclusi in un elenco nazionale, che sarà definito successivamente con decreto ministeriale, in modo da “rispondere a particolari esigenze del mondo del lavoro e delle professioni, senza incorrere in una dispendiosa proliferazione e frammentazione di indirizzi”(comunicato stampa del 28/5/2009).

Ricondurre l’intero sistema dell’istruzione tecnico-professionale ad una semplificazione, che era l’obiettivo fondamentale, non sembra dunque così facile da raggiungere. Del resto, il prof. Alberto Felice De Toni, presidente della Commissione ministeriale di studio, lo aveva detto: trovare una soluzione è stato un po’ come far quadrare il cerchio, tra i vincoli del Titolo V della Costituzione da un lato, le disposizioni della legge 40/2007 dall’altro, e in più le pressioni da parte degli innumerevoli portatori di interesse. Non a caso la precedente riforma Moratti, per il sistema dell’istruzione e formazione professionale di competenza regionale, si limitava a dettare i livelli essenziali delle prestazioni, come stabilisce la Costituzione a garanzia dell’unitarietà nazionale, mentre la legge 40, voluta da Fioroni, riportagli istituti tecnici e professionali nell’istruzione secondaria superiore di competenza statale,ma prevede necessariamente l’emanazione di apposite linee guida per realizzare “organici raccordi” tra i diversi percorsi, nonché la costituzione dei poli tecnico-professionali, rendendo meno lineare il processo e allungando i tempi. Il tutto, ad onor del vero, “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, come dire che per la scuola la musica non è mai cambiata.

Ritornando al concetto di flessibilità, nei documenti finali redatti dalla Commissione De Toni (novembre 2008) e nella prima bozza di regolamento (dicembre 2008), non si evince la recente interpretazione di quota aggiuntiva, ma si parla di più ampi “livelli di autonomia didattica”. Molte perplessità in proposito sono state immediata-mente manifestate dai sindacati, che nell’eccesso di articolazione dei curricoli vedono un rischio di frammentazione dei percorsi.

Viene dunque da chiedersi quali siano le motivazioni. Una prima risposta può essere che la flessibilità organizzativa e didattica, intesa come previsto nel Dpr 275/1999, in realtà non ha mai funzionato (anche per mancanza di incentivi economici, che dipendono dalle magre risorse dei fondi di istituto, generalmente oggetto di contrattazione secondo altre priorità). Quindi si è decisa una gestione a livello nazionale per gli indirizzi, i profili e i risultati di apprendimento, mentre gli istituti che sapranno utilizzare il proprio 20% di autonomia avranno una possibilità in più.

Una seconda considerazione è riconducibile al ruolo determinante delle Regioni,titolari di compiti di primo piano in materia di programmazione della rete scolastica (già attribuiti con il D.L.vo del 31/3/1998, n. 112), a cui si aggiungono la potestà legislativa e la governance complessiva del sistema a livello territoriale, compresa la gestione del personale (v. Conferenza Regioni del 9/10/2008). La situazione è ancora in fase evolutiva, ma bisognerà comunque arrivare ad una concertazione finale.

L’incertezza attuale è inoltre alimentata dal fatto che molte questioni cruciali non sono affatto definite nel regolamento di riordino, bensì demandate a successivi decreti ministeriali. Dovrà, fra l’altro, essere costituito il Comitato nazionale per l’istruzione tecnica e professionale, col compito dell’innovazione permanente dei percorsi e del costante monitoraggio. Ma soprattutto restano da definire “gli ambiti, i criteri e le modalità per l’ulteriore articolazione delle aree di indirizzo negli spazi di flessibilità in un numero contenuto di opzioni, inclusi in un apposito elenco nazionale”. Quindi al momento la riforma è ancora un contenitore vuoto. L’unica certezza è che all’attuazione si provvede “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Si osserva infine che le bozze di regolamento cambiano praticamente di mese in mese. Forse proprio per questo il documento ufficiale tarda ad essere pubblicato. Stando ai testi trasmessi dal Ministero ai sindacati negli incontri ad hoc, pare che l’ultima versione di maggio abbia introdotto altre modifiche rispetto a quella di aprile, inviata al Cnpi. Cambia, ad esempio,la riorganizzazione oraria per le classi quarte e quinte dei professionali, che in un primo momento era portata a 32 ore settimanali comprensive dell’area di professionalizzazione fin dall’anno scolastico 2010/2011. 

La più recente modifica parla invece di “sostituzione dell’area di professionalizzazione, limitatamente ai percorsi surrogatori realizzati in assenza di specifiche intese con le regioni, con complessive 132 ore di attività in alternanza scuola-lavoro” sino alla messa a regime del nuovo ordinamento.