La politica scolastica di Gian Carlo Sacchi Educazione & Scuola 3.6.2009 La crisi finanziaria e i vincoli imposti dal patto di stabilità hanno fatto esplodere le contraddizioni da tempo sottese alla composizione della spesa per i servizi formativi. Da una parte lo stato taglia in modo unilaterale i finanziamenti e gli enti locali non riescono a far fronte alla domanda sociale. La stragrande maggioranza delle risorse è di competenza statale, mentre la richiesta dell’utenza si rivolge principalmente alle autorità presenti sul territorio. Ed anche le istituzioni scolastiche, se disponessero di reale autonomia, potrebbero intervenire in modo più funzionale nei confronti delle reali necessità formative, invece chi deve erogare il servizio alla base si trova con sempre meno strumenti e chi gestisce il bilancio a livello centrale tende al risparmio. Un’operazione oltre che drammatica ormai grottesca, nella quale non si riesce a mettere le mani se non operando sulla leva finanziaria ed in modo uniforme: calano i docenti dove crescono gli alunni, diminuisce il tempo scuola dove c’è maggiore sviluppo e piena occupazione. Si parla di federalismo fiscale, ma per ora non si creano le condizioni perché davvero si possa coniugare investimenti e qualità dei servizi, perequazione sociale e responsabilità nell’assicurare vera parità dei diritti. Questa situazione insostenibile sta entrando nel pieno della campagna elettorale amministrativa, in maniera trasversale. Da un lato si tende a minimizzare, pensando magari a qualche soluzione estiva, mentre dall’altro si pensa di non avere le forze per fare supplenza allo stato: gli enti locali tendono a chiamarsi fuori. La popolazione scolastica è in crescita nel nostro Paese, soprattutto al nord, tanti sono gli immigrati, ma le esigenze che vengono espresse dalle famiglie sono qualitativamente molto superiori che in passato e la formazione interessa l’individuo lungo tutto l’arco della vita. Non siamo più di fronte alla garanzia dei diritti di accesso, ma è universalmente riconosciuta la necessità di tutelare il successo, perché da esso dipende sia la conquista di un titolo di studio o di una qualifica professionale, sia l’acquisizione di competenze riconoscibili e scambiabili ormai a livello internazionale. Oggi non si tratta più solo di aiutare una persona a crescere per immetterla nella vita attiva, ma l’economia e la società si interessano direttamente al processo formativo, il che gli fa assumere il carattere dello sviluppo della stessa comunità anche ai fini della competitività. Un territorio che guarda al futuro, soprattutto in un momento di crisi quale quello che stiamo attraversando, deve investire sui giovani, sulla ricerca e l’innovazione, e quindi utilizzare la leva della formazione. E’ questa infatti che sostiene il progresso, ma promuove anche equità, coesione sociale e sostenibilità nell’ambiente. Se la crisi è globale, la ripresa non può che essere locale, ed è la valorizzazione del così detto capitale sociale l’elemento decisivo, che si costruisce nel tempo, in quella determinata realtà con il contributo determinante dell’intervento educativo ed il sostegno culturale. Le persone devono crescere in un quadro di valori condivisi, in cui le competenze per il lavoro servano a metterle in grado di gestire il cambiamento, in maniera continua, ma al fine di realizzare una cittadinanza attiva, per chi già si trova nella nostra realtà e per chi c’è venuto a vivere da poco. E’ necessario mantenere una rete di soggetti che agiscono nel campo dell’educazione per l’infanzia, dell’istruzione scolastica, della formazione professionale e degli adulti, per costruire un sistema formativo territoriale, riconosciuto e valorizzato dalla comunità stessa, come un elemento basilare per il suo progresso. Sono gli enti locali la spina dorsale di questo sistema, che promuove l’ampliamento delle opportunità, nel campo dell’edilizia scolastica e della sicurezza in diversi punti del territorio, nelle politiche per la formazione nelle diverse età, che costituiscono il riferimento per le relazioni sociali e l’acquisizione degli strumenti di lettura e intervento sulla realtà, la collaborazione tra le scuole, gli enti di formazione professionale e le imprese, per sostenere l’orientamento, contrastare la dispersione, agire per la riqualificazione sul lavoro. I risultati di tali investimenti si vedono, sia per quanto riguarda gli indici di abbandono, anche a fronte di elevate presenze di allievi immigrati, sia per le attività di alternanza tra scuole e imprese. In diversi territori si sono realizzati percorsi integrati tra istruzione e formazione professionale nel passaggio tra la scuola media e la superiore, per sostenere la motivazione e la qualità degli apprendimenti, in una fase, quella dei quindicenni, che presenta le maggiori difficoltà ed i maggiori rischi di insuccesso. E questo poi non può non far risultare posizioni medio alte nelle classifiche sui risultati raggiunti nelle indagini internazionali. Per qualificare l’intero sistema occorre agire sulla qualità locale, non solo nelle zone più deboli, oggi identificate con l’istruzione e formazione professionale, ma in tutto il primo biennio del secondo ciclo, che ha visto l’innalzamento dell’obbligo di istruzione: anche nei licei, oltre ai saperi c’è da coltivare la cittadinanza, così come ci ha indicato l’UE. E’ sempre più necessario dunque un intreccio tra le prerogative gestionali dei comuni e quelle programmatiche delle province, in un auspicato, anche se ancora raro, inquadramento legislativo da parte delle regioni. Allo stato di definire le linee generali ed i livelli delle prestazioni, come indicano un po’ tutti i provvedimenti di ispirazione costituzionale. E’ solo in questa rete che si sarà in grado di agire contemporaneamente sul fronte della perequazione e della valorizzazione delle eccellenze. L’assistenzialismo deprime, ma la competizione a volte provoca solo stress; c’è bisogno di qualità diffusa, che risiede nella ricerca, nella e per la formazione, oggi riferita anche a progetti europei, oltre che cercare di avviare, al termine del secondo ciclo, l’istruzione superiore tecnico – professionale, da affiancare a quella accademica, come avviene in quasi tutti i paesi occidentali. E’, come si è detto, il sistema formativo territoriale a dover essere autonomo, non solo le singole scuole o agenzie; esso deve essere capace di autoregolarsi e di progredire, valorizzando i diversi soggetti, la qualità e l’integrazione delle loro azioni e la costruzione dell’identità del territorio medesimo. Sarà quindi favorito lo scambio con altri territori, anche a livello internazionale, il sostegno alle politiche giovanili, associative, sportive, nell’ambito della più generale programmazione dell’offerta formativa. In conclusione la formazione non è solo un punto programmatico nei servizi, ma è uno degli assi portanti dello sviluppo del territorio; occorre che in questa fase lo stato mantenga i propri impegni, ma bisogna andare al più presto verso un’assunzione e una condivisione delle responsabilità locali. |