Università/2.
Il pendolo dei concorsi

da Tuttoscuola, 12 gennaio 2009

Il pendolo dei concorsi universitari ha sempre ondeggiato, in Italia, tra due posizioni estreme: l'universalismo dei bandi nazionali, con commissioni elette da tutti i docenti di ruolo del settore disciplinare interessato, e il localismo dei concorsi banditi dalle singole sedi, con commissioni sempre elette, ma in qualche modo "governate" dalla sede e dal professore che hanno bandito il posto. In questi ultimi anni era prevalsa la seconda posizione.

Alcune recenti, o meglio rinnovate, polemiche sui concorsi universitari "truccati" o a esito (non meritocratico) scontato hanno indotto il ministro a intervenire d'urgenza sulla struttura delle commissioni, che per quattro quinti saranno costituite da docenti estratti a sorte su liste di 12 eletti dai colleghi della disciplina oggetto del concorso.

Viene così messo in discussione (non è certo la prima volta) il principio della cooptazione, cioè l'implicito diritto, riconosciuto ai docenti di ruolo, soprattutto ai più potenti (i "baroni"), di scegliere i nuovi prof, per dare continuità e sviluppo alla loro "scuola", secondo una lettura benevola del principio, o per affermare in modo arrogante e clientelare il loro potere, come dicono i critici di questo metodo di reclutamento.

Il fatto è che di per sé l'estrazione a sorte dei commissari non garantisce né dal clientelismo né dalla disfunzionalità: succederà, come si sente dire da ordinari esperti di concorsi, che "invece del pupillo di X vincerà quello di Y, miracolato dall'estrazione" (Chiara Saraceno sulla Stampa), e che le sedi che hanno bandito il concorso rischiano di trovarsi di fronte a vincitori che non possiedono le specifiche competenze che a loro servono.

Non si è avuto, per la verità né da parte della maggioranza, né da parte dell'opposizione, il coraggio di rompere davvero con il passato: di fare per esempio come nei Paesi (Stati Uniti in testa) dove sono le singole università, o meglio i dipartimenti, o i docenti di una certa area disciplinare di quella università ("Faculty"), a bandire il posto e a selezionare in forma pubblica, attraverso colloqui, e perfino seminari con la presenza degli studenti, un certo numero di candidati, tra i quali viene poi scelto più che il "vincitore" il prof che meglio risponde alle esigenze dichiarate nel bando. Da noi si direbbe che questa è una soluzione "localistica". E' vero, però è anche vero che in questo modo i "locali" si assumono per intero la responsabilità delle scelte, e che non possono permettersi di sbagliarle, perché ne risponderebbero di fronte agli stakeholders: autorità politiche e amministrative, sponsor, opinione pubblica, e soprattutto studenti.