Eurostat: di A.G. La Tecnica della Scuola, 9.1.2009 In Europa ogni Stato spende in media per la formazione il 5% del Pil; mentre noi siamo ancorati al 4,4%. Sotto al nostro Paese solo Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Grecia e Spagna. Davanti si piazzano invece tutti gli altri 20 aderenti all’Ue. Va un po’ meglio se si calcola lo ‘Standard del potere d'acquisto’, ma i dati contrastano troppo con quelli espressi dal Ministro Gelmini, secondo cui saremmo tra i primi nell'Ue ad investire in istruzione. L’Eurostat boccia le sempre più modeste politiche di investimento degli ultimi Governi italiani per la formazione dei propri alunni e studenti dando ragione alle rivendicazione dei sindacati: secondo l'istituto statistico della commissione Europea, l’Italia si colloca infatti tra le ultime posizioni in Europa per investimenti nell’istruzione. Peggio del nostro Paese, in quanto a spesa per l’istruzione rispetto al Pil, si posizionano solo Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Grecia e Spagna. Davanti si piazzano invece tutti gli altri 20 aderenti all’Ue. I dati, che si riferiscono al 2005, indicano che in Europa ogni Stato spende in media per la formazione il 5% del Pil; mentre noi siamo ancorati al 4,4%. E il record negativo della Romania (3,5%) non può essere certo un riferimento per dire che il ‘bicchiere è mezzo pieno’: quelle dell’Eurostat sono infatti indicazioni da non prendere sottogamba. Il calcolo nazionale comprende più voci e parametri. Gli statistici e gli economisti dell’ Eurostat hanno infatti preso in considerazione tutti i livelli di spesa pubblica: a livello locale, regionale e nazionale. E non si sono fermati allo studio delle scuole ed università pubbliche, ma anche di tutte le altre istituzioni impegnate nel sistema formativo nazionale: come i vari ministeri, i dipartimenti della pubblica istruzione e la ricerca. I dati emersi sono quindi sicuramente indicativi. Basti pensare che l’organismo sovranazionale raccoglie ed elabora dati dell'Ue a fini statistici anche per la definizione di dati macroeconomici per supportare decisioni fondamentali per i destini del vecchio Continente. Ad iniziare da quelle che intraprende la Banca centrale Europea. Il nostro Paese si posiziona meglio, invece, quando il calcolo riguarda la spesa affrontata per ogni alunno o studente sulla base ‘Standard del potere d'acquisto’ derivante dai diversi livelli di costo della vita: con una spesa media individuale pari a 5.908 ‘spa’, l'Italia stavolta si posiziona infatti, sempre nella graduatoria Ue, in quattordicesima posizione. Più o meno a metà. Ma comunque non certo in linea con quanto riportato più volte dallo stesso Ministro Mariastella Gelmini, secondo cui il problema dell’istruzione italiana è che si spende troppo (“siamo tra i primi d'Europa") e male. Se sul primo punto i dati dell’Eurostat sembrano dare torto al Ministro italiano, sul secondo ci sono margini decisamente maggiori che abbia invece ragione. Una mano in questo senso ce la dà il Libro Bianco presentato un anno e mezzo fa alla presenza dell’allora Ministro Giuseppe Fioroni: in base a quello studio comparativo si rilevò che ad esempio nella scuola primaria in Italia vi sono 9,3 docenti ogni 100 studenti contro una media nei Paesi Ocse pari al 5,9; alle medie le cose migliorano ma non di molto (9,7 Italia e 7,3 Ocse); ed anche alle superiori superiamo, seppure di poco, la media Ocse (8,7 da noi e 7,9 fuori). Tutti dati inequivocabili che lo stesso Libro fece risalire ad alcune peculiarità nostrane: l’impegno orario eccessivo da parte degli alunni, in particolare alla primaria, l’orario di lavoro ‘frontale’ dei docenti con i discenti eccessivamente ridotto, ed infine ad un esiguo numero di studenti per classe (18,4 alla primaria contro una media di Ocse 21,4 oppure 20,9 nelle medie del nostro Paese contro una media Ocse di 24,1).
Ebbene, ora sappiamo che a questi
certo poco rassicuranti dati del Libro Bianco, più volte dibattuti
ed in buona parte ripresi anche dal Ministero e dal Governo per
giustificare i forti tagli programmati in vista del prossimo
triennio, vanno aggiunti i modesti investimenti che lo Stato opera
per l’istruzione italiana. Un ‘cocktail’ davvero poco edificante e
di cui avremmo francamente voluto fare a meno. |