La lunga marcia (scolastica)
delle persone con disabilità
È molto importante l'apporto della famiglia con
disabilità per un processo di integrazione scolastica di qualità e
quanto più grave è la disabilità - fisica, intellettiva o
relazionale che sia - tanto più tale apporto è essenziale. Solo così
si può provare a costruire e a portare a termine un percorso assai
difficile, come quello degli studi secondari superiori di una
persona con disabilità gravissima
di
Giorgio Genta* da
Superando,
15.1.2009
Costruire e portare a termine con
successo gli studi secondari superiori di una ragazza con
disabilità gravissima che per le sue condizioni di salute
non aveva mai frequentato la scuola prima e non avrebbe potuto
frequentarla con costanza neppure adesso: è stata questa la
nostra ragione di vita degli ultimi cinque anni e in questo
momento l’unico termine che ci viene in mente per definirla è
"faticosa".
Si è trattato di un percorso in cui ci siamo inventati
l’insegnamento "anche domiciliare", slegato dalla
condizione del ricovero ospedaliero, urtando in molte
incomprensioni, sia da parte della Direzione Scolastica Regionale
che di amici “integratori”. Solo che gli amici, essendo sinceramente
tali, hanno poi riconosciuto l’infondatezza dei loro pregiudizi,
mentre la Direzione Regionale…
Parlavamo di “fatica”. Ma la fatica - o meglio, il lavoro faticoso -
deve rendere, deve produrre dei risultati. Se no,
come dice anche il proverbio, “è fatica sprecata”. Che cosa ha
prodotto dunque la fatica della famiglia con disabilità?
Non c’è video o testo che possa raccontare sino in fondo le
condizioni che hanno reso possibile il successo di questo percorso.
Proviamo perciò a sintetizzare, cercando di dare un’idea almeno per
sommi capi.
Alla base di tutto vi è stata da una parte la determinazione
"assoluta" della famiglia, dall’altra l'incontro
fortunato con dirigenti aperti e collaborativi, con docenti
preparati e umani, con un insegnante di sostegno e un’assistente
alla comunicazione validissimi, con un Ufficio Scolastico
Provinciale che ha fatto bene il suo mestiere, un Assessorato
Provinciale solerte nei suoi compiti e uno Regionale che ha supplito
splendidamente alle carenze dello Stato.
Naturalmente abbiamo incontrato anche dirigenti
menefreghisti, docenti demotivati e alcuni veramente
negativi sotto tutti gli aspetti: fortunatamente, però, sono stati
solo una minoranza e non sono riusciti ad inficiare il risultato
finale.
Non è di loro, quindi, che vogliamo parlare qui. Vogliamo parlare,
invece, di quanto sia importante l'apporto della famiglia
con disabilità al processo di integrazione scolastica di
qualità.
Più grave è la disabilità - non importa se fisica, intellettiva o
relazionale - più tale apporto è essenziale. È un
rapporto che va costruito, possibilmente bene e fin dall’inizio, un
rapporto ambivalente, spesso difficile, da seguire costantemente,
chiarire, migliorare. È un rapporto che dev’essere
frequente, aggiornato, decisamente sincero.
Se non funziona questo, si costruisce poco, ma quando questo
rapporto c’è, si possono ottenere risultati splendidi
e non solo nell’interesse di chi nella scuola e per la scuola lavora
o di chi scrive di queste cose e nemmeno solo della famiglia.
Nell’interesse invece di quello che è il vero "primo attore"
di quest'opera, che non è né tragedia né commedia, ma "la
miglior vita possibile" per lo studente con disabilità
grave. Come nel caso di Silvia. O in quello di Lorenzo - che oggi è
all’università - di Federica e di tanti altri ancora.
Sono tutte storie da conservare, che presto racconteremo in un libro
pubblicato da Erickson. Sarà un racconto a più mani
- ma sempre le mani di genitori e studenti con disabilità - ove si
narrerà di un percorso così lungo da far sembrare una passeggiata la
“lunga marcia” di Mao o l’Anabasi di Senofonte: quello della
trasformazione (ancora ampiamente incompiuta) dell’integrazione
scolastica italiana da diritto astratto a realtà oggettiva,
ben funzionante e facilmente fruibile.
*
Federazione Italiana
ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).