Federalismo fiscale e sistema formativo di Gian Carlo Sacchi, Educazione & Scuola 23.1.2009 E’ iniziata in Parlamento la discussione sul “federalismo fiscale”, una svolta nei rapporti centro – periferia, che va oltre all’idea di decentramento delle competenze statali, facendo ripartire il sistema nazionale dal basso, trattenendo sui territori gran parte della fiscalità sulla base della ricchezza prodotta per essere reinvestita e finanziare lo sviluppo. Aspetto fondamentale del dibattito è il ruolo di quei servizi che devono assicurare il rispetto dei diritti di cittadinanza a livello nazionale, e tra questi non c’è dubbio vi sia quello dell’istruzione/formazione/educazione. Garantire l’uguaglianza degli interventi essenziali vuol dire che ogni cittadino deve partecipare al finanziamento dei servizi pubblici sulla base della sua capacità contributiva. In tale ambito emerge subito che deve trattarsi di federalismo cooperativo e non competitivo e che la questione economica venga dopo la modalità di governo del sistema. Recenti studi mettono in risalto il rischio che in Italia, dove sembra non esistano ragioni di tipo potremmo dire antropologico – culturale, si possa trattare di egoismo finanziario, mentre i cittadini elettori, soprattutto in questo periodo di crisi, fanno frequente riferimento all’intervento dello Stato. Insomma non può trattarsi di “devoluzione”, già bocciata da un referendum popolare, ma di riorganizzazione delle competenze tra il livello statale e quello periferico, e non è ancora ben chiaro se la gestione debba essere affidata ad un sistema di enti territoriali e/o ad un’interazione, che va sotto il nome di sussidiarietà, tra pubblico e privato. Ci sono due corni del problema: uno relativo al sistema di governo e l’altro al calcolo dei costi del servizio, in modo, come si diceva, di garantire i diritti di tutti, sulla base degli standard di fruizione da parte di ciascuno. Nel primo caso c’è già il nuovo titolo quinto della Costituzione che attende applicazione, nel quale è “fatta salva” dalla nuova attribuzione di competenze alle Regioni l’autonomia delle istituzioni scolastiche, nell’altro si rischia di effettuare un conteggio, basato sulla spesa dello stato, che sottostima il costo reale del servizio. Si pensi ad esempio che il recente rapporto sul sistema formativo dell’Emilia Romagna mette in evidenza un intervento delle realtà locali, a cominciare dalla Regione, oltre ai costi statali, superiore al 30%, mentre risulta poco credibile che la tanto declamata sussidiarietà vada oltre al finanziamento pubblico, richiedendone però una diversa modalità di gestione. Nella proposta di trasformazione delle scuole in fondazioni si propone che i finanziamenti seguano le richieste delle famiglie, per garantire una maggiore libertà di educazione, ma si tratta pur sempre di soldi pubblici, quelli che vengono tuttora reclamati per le scuole così dette paritarie. D’altro canto una maggiore autonomia di tutte le scuole, anche per sollecitare la loro capacità di costruire dei sistemi formativi territoriali, in collaborazione con altre agenzie, potrebbe migliorare la qualità stessa del servizio a condizione che non sfoci nella privatizzazione e nella selezione sociale, ma si mantenga in pur rinnovate modalità di organizzazione della pubblicità del servizio. E’ da tutta la legislazione dell’ultimo decennio del secolo scorso sulla riforma della pubblica amministrazione che ricaviamo una maggiore autonomia delle scelte da parte della società civile entro un’ottica di indirizzo e di controllo dello Stato. Il suddetto titolo quinto ha dato dignità costituzionale a tutto ciò, ma il federalismo fiscale sembra non curarsene e passa oltre. Se dunque si vogliono definire costi standard da trasferire in sede fiscale occorre prima chiarire le competenze, in modo da avere un quadro completo delle necessità di tutto il servizio per applicare adeguati parametri finanziari. Nel pdl Aprea si parla di “quota capitaria” che si riferisce ad un’offerta declinabile in base ai territori ed alla qualità del sevizio stesso. Prendiamo ad esempio il sistema integrato di servizi per l’infanzia dell’Emilia Romagna, il così detto 0 – 6, costituito da scuole statali, comunali e paritarie, oltre ai nidi ed alle strutture formative nei piccoli comuni, nei condomini, ecc. Come sarà il calcolo ? E nelle altre regioni in cui questo non c’è, come si dovrà operare per garantire gli standard sull’intero territorio nazionale? Senza aver dunque chiarito bene le competenze e definiti i livelli essenziali delle prestazioni c’è il pericolo che i finanziamenti previsti per il settore siano addirittura ridotti e sicuramente sperequati. In linea di principio dunque la materia rientra nel dibattito sul federalismo fiscale, ma la sua realizzazione deve seguire l’applicazione del più volte citato titolo quinto. Nel prosieguo andranno poste in relazione le assegnazioni finanziarie con il raggiungimento ed il mantenimento degli standard di servizio. Dunque si tratta di riprendere la proposta di intesa della Conferenza delle Regioni per l’individuazione delle competenze, sulle quali basare la definizione dei livelli essenziali ed il calcolo dei costi standard. Tali competenze dovranno quindi sollecitare le Regioni stesse a legiferare in materia in modo da avere un sistema di governo, che assicuri da un lato i diritti di tutti i cittadini e, dall’altro, le funzioni dei diversi territori, compresa la gestione del personale, come richiesto da una sentenza della Corte Costituzionale. Se queste ultime non saranno in grado di adempiere allora scatterà la sussidiarietà verticale, cioè l’intervento dello Stato. Su questo tema, come sul reinquadramento del ruolo delle autonomie locali, interviene al Senato un disegno di legge delega del PD, che ha come primo firmatario Mariangela Bastico, che riprendendo una serie di questioni aventi a che fare con l’azione degli enti locali, a partire dalla riforma del 1990, indica che le Regioni debbano spogliarsi di funzioni amministrative dirette, anche attraverso agenzie o enti settoriali, per acquisire una capacità di legiferare e di programmare azioni strategiche di riferimento per lo sviluppo delle autonomie territoriali, alle quali spettano, com’è noto, dalla recente riforma costituzionale, le funzioni amministrative, fatta salva, come si è detto, l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Allo Stato una competenza “residua” o soltanto funzioni in cui è necessario assicurare l’unitarietà di esercizio, cose di cui aveva già trattato il più volte citato titolo quinto. Il dato politico riguarda l’approvazione di alcune leggi regionali, poche purtroppo, che pur provenendo da maggioranze politiche diverse hanno evidenziato una sintonia nel cammino federalista, senza forti opposizioni nelle rispettive assemblee legislative, ma impugnate dalle opposte maggioranze al governo centrale, alle quali però la Corte Costituzionale ha dimostrato un orientamento favorevole. Prima di aver risolto dunque una nuova distribuzione dei poteri e delle competenze viene richiesto di produrre dei costi standard, difficile sia per la varietà della composizione del servizio, sia per l’ammodernamento delle modalità di calcolo. I tagli che il governo ha posto alle attuali risorse mostrano proprio il limite di una riorganizzazione qualitativa della spesa. A ciò aggiungasi una politica del personale sempre più distante dai territori. Fin dal 1948 mancano al nostro sistema le “norme generali” e nessun governo intende andare nella direzione della liberalizzazione del servizio, anche le fondazioni non potrebbero sopravvivere senza un finanziamento pubblico di base, in quanto i livelli essenziali delle prestazioni sono a tutela dei diritti di cittadinanza e non costituiscono un puro e semplice sistema premiale, come ad esempio avviene in altri Paesi sulla base dei risultati delle indagini internazionali. Tuttoscuola propone un finanziamento sulla base di “funzioni” da esercitare su tutto il territorio nazionale con modalità da individuare a livello decentrato. Fermo restando che, contemporaneamente, si devono definire le regole per l’esercizio dell’autonomia scolastica ed il governo degli istituti. Rimane ancora valida, a questo riguardo, una gestione partecipata, che ricerca l’inclusione sociale, rispetto ad una scuola che si trova a perseguire, anche per contrazione indiscriminata di soldi pubblici, la selezione, in base alla disponibilità all’autofinanziamento. Un “sistema” delle autonomie sui territori consente di considerare il privato in modo collaborativo, a costituire un già indicato servizio pubblico integrato, autonomo per funzione, ma profondamente inserito nello sviluppo del territorio stesso. L’efficacia delle politiche pubbliche è indirizzata al conseguimento degli standard, i quali a loro volta sono la risultante di un processo di partecipazione sociale, culturale e professionale, capace di indicare obiettivi di miglioramento. Nella situazione attuale il nostro sistema formativo si trova nel mezzo di tre debolezze. Il centralismo è in via di superamento: ogni realtà ha le sue esigenze, così la macchina pubblica, che non è abituata alle diverse velocità, va gradualmente arrestandosi; l’autonomia delle scuole è ancora in alto mare e con essa anche la presenza di altre scuole ed agenzie formative non statali; i sistemi locali mancano di cornice, pochissime regioni, come si è detto, hanno legiferato. Il federalismo fiscale potrebbe rinforzare il tutto mettendo a disposizione risorse economiche adeguate, per ciascuno, ma anche per tutti. |