Forse si sta dimenticando la Costituzione di Marina Boscaino, Pavone Risorse 18.1.2009
Sono stata
invitata dall’Associazione “Per la scuola della Repubblica” ad un
bel convegno che si è tenuto a Roma il 17 gennaio “Contro la scuola
di regime, per la scuola della Costituzione”: una carrellata sulle
maggiori ferite inferte dall’attuale governo (ma non solo) all’idea
di scuola licenziata dalla Carta.
Io ho proposto un
intervento sul mancato innalzamento dell’obbligo scolastico e sulla
scarsa attenzione per l’emergenza dispersione, che configurano
scelte classiste da parte del governo e sottraggono la scuola
statale alla funzione che deve avere come strumento che la
Repubblica ha in mano per “rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3,
comma 2).
Entrambe le
criticità – mancato innalzamento dell’obbligo e mancata lotta alla
dispersione – hanno una ricaduta obbligata sulle classi sociali più
deboli dal punto di vista socio-economico-culturale. La vicenda
dell’obbligo scolastico ha viaggiato sulla strumentalizzazione
dell’ambiguità semantica – apparentemente inesistente – tra obbligo
scolastico e obbligo di istruzione. Il primo atto del ministro
Moratti fu la cancellazione dell’innalzamento dell’obbligo a 15
anni, previsto da Berlinguer. Seguì la mistificazione del
diritto-dovere, criptica formula sbandierata dal ministro (e dai
media, conniventi o ignoranti) come innalzamento dell’obbligo a 18
anni, in realtà istituzionalizzazione della canalizzazione precoce
di destini socialmente determinati: i nati bene a scuola; gli
“sfigati” nei percorsi triennali di avviamento al lavoro.
“Diritto-dovere” non è obbligo e “istruzione” non è scolastico: ma
la trovata piacque pure al centro sinistra, che in Finanziaria 2007,
ignorando il programma dell’Unione, che parlava di obbligo
scolastico, prevedeva l’innalzamento dell’obbligo di istruzione a 16
da assolvere – in via transitoria – anche nei “percorsi e progetti”
della Moratti. Infine, lo scorso luglio, un emendamento al decreto 112 istituzionalizza il doppio canale, disattendendo il dettato costituzionale che prevede l’assolvimento dell’obbligo nel solo sistema scolastico che prevede scuole statali e paritarie. È evidente che, affinché l’innalzamento dell’obbligo scolastico diventi un obiettivo concretamente perseguibile, a patto che esista una volontà politica in questo senso, la scuola deve essere rinnovata in modo sostanziale, attraverso una drastica revisione del quando, del cosa, del come, del perché insegnare. Solo ponendo al centro queste problematiche e inaugurando una seria riflessione sulla relazione educativa, si potrà tentare di innalzare l’obbligo, interrompendo l’ineluttabilità di destini socialmente determinanti, frantumati per lo più in avviamento precoce al lavoro e nelle varie forme di dispersione, insuccesso, ritardo, dissipazione: gli eufemismi politicamente corretti per dire la selezione; che non a caso colpiscono pesantemente gli alunni dei professionali e dei tecnici.
E a proposito di
selezione: la “Stampa” di sabato scorso evidenziava che nelle scuole
medie di Torino, a fronte della valutazione numerica del I
quadrimestre, i bocciati sarebbero – se fosse la fine dell’anno – il
30%, contro il 6% dello stesso periodo dell’anno scorso. Che
prospettive ci rimanda un esito simile? Possiamo davvero ritenere
che il soddisfacimento di una richiesta di certezze, interpretata
banalmente e demagogicamente con il ritorno al voto numerico, possa
migliorare prestazioni, apprendimenti, socialità, cittadinanza dei
nostri alunni? Che la scuola media unica sia venuta meno alla
finalità istituzionale affidatale dall’art. 34 è evidente dai dati
degli ultimi scrutini finali: ottimo e distinto sommati non hanno
superato il totale dei sufficiente. Segno di un evidente preludio
alla divaricazione degli indirizzi operata su base sociale e
mortificata da una (finta) scelta precoce. La scuola media dell’art.
34 è la scuola della crescita e dell’inclusione. La scuola media che
abbiamo davanti canalizza i destini, viene meno alla sua funzione
orientativa, segnala le criticità solo a fine percorso, ledendo la
propria vocazione orientativa. Un biennio obbligatorio che abbia una
funzione di valore collettivo spendibile in cittadinanza e in
progresso della società deve rappresentare il prolungamento – come
accade in tutti i paesi europei, dove l’obbligo non è mai al di
sotto dei 15 anni, spesso fino a 18 anni – della scuola media quale
quella configurata dall’art. 34. Ma siamo ancora molto lontani dal
raggiungere l’obiettivo. |