LE CLASSI MULTIETNICHE. ROMA
Contro la deriva xenofoba Francesca Schianchi La Stampa 16.1.2009
ROMA Non è così soddisfatta Katia, mamma di un bambino di quarta elementare: «Gli immigrati? Nella sua classe sono pochi: per fortuna, perché se no loro non parlano bene l’italiano e imparano male anche i nostri», giudica. «Viene qui perché abitiamo nel quartiere, ma alle medie se ci saranno molti stranieri non verrà più». La scuola Di Donato fa infatti parte dell’istituto comprensivo Manin: secondo dati pubblicati dal ministero, nel 2006 l’elementare raccoglieva oltre 270 bambini, di cui più di 100 stranieri di 16 etnie diverse; alla media Manin, su 129 alunni solo 28 erano italiani.
Giulia Rossi
accoglie le sue due bimbe, 8 e 10 anni, una massa di ricci e pelle
scura: «Mio marito è senegalese», dice, e, ogni tanto, le capita di
vivere qualche problema: «Come una volta che ero in giro con mio
marito e ci hanno urlato "Forza Juve!". Stamattina un bimbo
filippino ha chiamato mia figlia “sporca negra”», aggiunge con un
sorriso amaro. «Mia figlia qui sta bene, gli amichetti li conosce
dalla materna», ricorda Elvira Cacciotti, ex allieva e oggi mamma di
una bimba di 7 anni. «Più difficile è creare un rapporto tra
genitori: spesso perché gli stranieri lavorano tanto, non hanno
tempo. E poi è difficile il rapporto casa-casa: se non possono
contraccambiare spesso non accettano gli inviti. L’associazione dei
genitori gestisce i sotterranei: c’è un’aula per i compleanni, e
quando li festeggiamo qui c’è più affluenza di bambini immigrati».
Organizzano anche corsi pomeridiani: dalla capoeria alla break dance
all’arabo, che l’anno scorso teneva la madre di un allievo. Il
cortile, a poco a poco, si svuota; una mamma e un bimbo di colore
escono parlando italiano: maldestro quello di lei, romaneggiante
quello di lui. Mentre aspetta la figlia di 7 anni e mezzo, Carmela
Buccomino mostra le foto scattate in Senegal: sono appena tornate,
insieme, dal gemellaggio con una scuola africana. Gli immigrati in
classe? «E’ bellissimo, i nostri figli hanno il mondo in una
stanza». |