Università, concorsi e "ricatti" Paolo Bertinetti *, La Stampa 30.12.2008 Diceva Wittgenstein che su ciò che non si conosce sarebbe opportuno tacere. Gran parte dei politici che hanno fustigato l’università hanno parlato di cose che non conoscono. La «scandalosa» proliferazione dei corsi di laurea (fermo restando che quelli davvero superflui devono essere chiusi), è dovuta principalmente alla riforma del 3+2: prima c’era un unico corso di 4 anni, ora lo stesso corso compare nella laurea triennale e viene ripreso e concluso nella successiva biennale, per cui il raddoppio è determinato dalla legge, non dalle università. La proliferazione degli Atenei non è opera degli universitari, ma dei ministri e dei politici locali: dal 2000 al 2005 le università sono passate da 70 a 95. In 4 di quegli anni era ministro la Moratti, che approvò la costituzione di non poche università private ad personam. Grande occasione di scandalo è la fuga dei cervelli. Se parecchi nostri giovani sono stati assunti all’estero è perché la bistrattata università italiana ha fornito loro una preparazione di eccellenza. Colpevolmente i nostri Atenei molti se li sono lasciati scappare; l’università, tuttavia, non poteva assumerli tutti, né pagarli più di quel poco che stabilisce la legge. Ma non li ha assorbiti neppure l’impresa, come invece avviene altrove. Uno scandalo è che l’Italia sia agli ultimi posti per i finanziamenti a Università e ricerca. Mentre sarebbe logico deciderne un aumento, sono giunti invece i tagli. Più scandalosa ancora è la questione dei concorsi locali. Da tempo i Rettori si erano espressi a favore dei concorsi nazionali. La Moratti li aveva previsti nella legge di riforma, ma non aveva emanato i decreti per poterli attuare. Il ministro Mussi aveva consentito un’ultima tornata di concorsi locali (da bandire entro giugno), con un solo vincitore, anziché con i «famigerati» due vincitori. Con un emendamento approvato da tutti i parlamentari i vincitori tornarono a essere due; e con un provvedimento della Gelmini il termine fu prorogato fino a fine luglio. Il recente decreto del ministro mantiene i due vincitori, ma stabilisce che i concorsi saranno svolti con nuove modalità (un parziale sorteggio). Per legge qualsiasi concorso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale deve essere espletato in base alle modalità vigenti al momento della pubblicazione, per cui i concorsi già pubblicati verrebbero bloccati dai ricorsi dei candidati. E infatti il ministero di fatto «ricatta» le Università, «invitandole» a bandire di nuovo gli stessi concorsi, che quindi sarebbero pubblicati sulla Gazzetta in data successiva a quella del decreto. Questo significa solo spostare in avanti il momento dei ricorsi: il nuovo bando consentirebbe a nuovi candidati di presentarsi al concorso e se uno di loro risultasse vincitore i «vecchi» candidati farebbero verosimilmente ricorso. Se la politica vuole gettare ulteriore discreto sull’Università questa è certamente la strada migliore. Sarebbe invece più responsabile, da parte del Parlamento, e come chiede la stessa Associazione Nazionale Docenti Universitari, lasciare cadere l’articolo del decreto relativo ai concorsi, in modo che questi (e che sia davvero l’ultima volta) si svolgano con le vecchie norme in vigore alla data della pubblicazione. A quel punto si tratterà di procedere finalmente, con la dovuta serietà e rapidità, al varo delle nuove norme per attivare quei contratti nazionali previsti da una legge varata da ormai quasi quattro anni e mai messa in condizione di essere applicata.
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