Chi è straniero? di Giancarlo Cavinato, Pavone Risorse 17.1.2009 Nella Carta europea dei diritti fondamentali, approvata a Nizza nel 2000, base di lavoro per l’elaborazione della Costituzione europea, l’art. 14 recita: “Ogni individuo ha diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale continua; tale diritto comporta la possibilità di accedere ..." ‘A ogni individuo’ si dice, non ‘a ogni cittadino dell’unione’. L’istruzione non è un esercizio di uno status già posseduto, ma strumento per acquisire tale status (un prerequisito). ‘Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno’ (art. 2 protocollo addizionale Convenzione dei diritti umani’). L’impegno per i 43 stati dell’attuale Consiglio d’Europa è di assumere l’istruzione all’interno del paniere dei diritti in grado di connotare la persona umana. Lo Stato ha il dovere di garantire tali diritti attraverso il complesso di compiti, funzioni e norme cui si dà il nome di ‘Stato sociale’. E’ il modello di Stato sociale a dirci se un particolare diritto sociale, un diritto di cittadinanza, è tutelato. La scuola è il sistema attraverso cui l’affermazione del diritto all’istruzione si traduce in effettività. Ne discendono due condizioni:
I destinatari del diritto non sono solo coloro che sono già cittadini: l’istruzione è un diritto di cittadinanza nel senso che porta ad essa, la costruisce. Come per altri diritti sociali, l’istruzione è rivolta a chi è in un luogo indipendentemente dalla qualità formale della sua appartenenza. Non riguarda più solo il CITIZEN, ma il DENIZEN, chi E’ in un luogo. Chi abita un luogo ha diritto di apprendere e comprendere in quel luogo. I diritti un tempo patrimonio dei cittadini diventano patrimonio di tutti coloro che si trovano in un territorio: essi hanno diritto in virtù della loro presenza a essere istruiti e curati, a conoscere, parlare, lavorare. Questo ampliamento non può risolversi restrittivamente in una inclusione dell’altro nel proprio sistema, incorporandolo all’interno di una comunità culturalmente chiusa: ciò costituirebbe una negazione dei soggetti; deve pertanto riconoscere le specificità e le necessità di coloro cui si rivolge. Richiede il riconoscimento delle culture di cui chi viene da altri luoghi è portatore, di rinunciare ad alcuni aspetti della propria per favorire l’incontro con l’altro; per crescere nel confronto con altri modi di rapportarsi ai processi di conoscenza, con altre tradizioni, con altre espressioni. La dimensione interculturale dell’insegnamento non è uno dei tanti progetti, è la dimensione necessaria e normale dei processi di comunicazione oggi, centrale per la comprensione e la costruzione di senso. Proclamare il diritto verso i denizen apre a una positiva visione di rapporti culturali non etnocentrati e alla costruzione di identità non difensive, e a una dimensione globale non separata dalla costruzione di significati condivisi. Occorre puntare a una comprensione del presente, a chiarirci, ognuno di noi sul nostro essere ‘meticci’, attraversati da culture – musica, arte, oggetti di vita quotidiana, forme linguistiche, cibo, vestiti,…- un tempo molto distanti e ormai prossime. Si è ‘migranti’ anche quando si è fermi in un luogo in quanto inseriti in un flusso globale di comunicazione che ci de-localizza, ci dà una diversa cognizione della nostra localizzazione. Leggendo i dati del dossier statistico della Caritas sull’immigrazione possiamo rilevare:
Su questa situazione fluida e spesso che presenta carenze sul piano della garanzia di maggiori opportunità per chi è in situazione di svantaggio si abbatte come una scure l’emendamento sulle ‘classi ponte’ o classi di ‘inserimento’. Non è così negli altri paesi di più prolungata esperienza di emigrazione. In Belgio ad esempio un logopedista, retribuito dalla municipalità, attraverso dei colloqui stabilisce la classe - comune -dove il soggetto può essere più opportunamente collocato.
Quella dell’emendamento è in ogni caso
una proposta inattuabile che alla fin fine penalizzerebbe gli stessi
ragazzi italiani. |