Il conflitto nel cuore della Palestina mentre si
attende il cessate il fuoco
Gaza, quelle bombe nella scuola dell'Onu
Guerra, morti, spesso bambini: a Gaza il fuoco
non cessa, e la tregua è ancora solo una richiesta dalle mille
sfaccettature. La prima edicola del 2009 purtroppo non può che
essere dedicata al dramma del conflitto fra Israele e Hamas, nel
cuore della Palestina.
di Franco Bomprezzi,
Vita
7.12.2009
Repubblica apre su “Gaza, strage
nella scuola” e dedica alla bomba israeliana caduta sul rifugio Onu
molte pagine. Il bilancio del raid israeliano ha causato 42 morti,
molti dei quali bambini. Cronaca soprattutto alle pagine 2 e 3. In
tutto sono oltre 600 i palestinesi uccisi dall’inizio del conflitto.
Nella scuola Onu erano ammassate circa 1000 persone. Molto
preoccupata la Croce Rossa: l’ultima notte è stata la più
«spaventosa». Un milione di abitanti della Striscia di Gaza non ha
elettricità da dieci giorni, 600mila non hanno più acqua da venerdì
sera. Le distribuzioni delle organizzazioni umanitarie sono ferme, i
magazzini vuoti.
Il ministro della difesa israeliano ha detto ieri che «le operazioni
stanno procedendo secondo i piani ma che non tutti gli obiettivi
sono stati ancora raggiunti». Grande spazio ai commenti e alle
reazioni politiche, fra le quali quella di Massimo D’Alema. L’ex
ministro degli Esteri scrive una lettera al direttore Ezio Mauro:
“Io, Hamas e la comunità ebraica”, nella quale il politico Pd
richiama un intervento dello scrittore Yehoshua e definisce
«sproporzionata la reazione israeliana». «Con gli assassini ancorché
mirati non si risolvono le questioni politiche», prosegue
sottolineando che dal fallimento della politica Hamas trae nuova
forza.
A pagina 4 Repubblica con Mario Calabresi riferisce della prima
posizione del presidente eletto: “Obama «preoccupato per i civili»”
titola il pezzo che inizia con un avvertimento di Obama: «dopo il 20
gennaio avrò molto da dire su questo conflitto». Nel frattempo
l’amministrazione Bush auspica «un cessate il fuoco durevole, che se
fosse immediato sarebbe il benvenuto». Mentre Obama promette un
impegno consistente, Al Qaeda fa sapere , con un messaggio audio su
Internet di Ayman Al Zawahiri, che l’offensiva israeliana a Gaza fa
parte della «crociata» dell’Occidente contro l’Islam e ha la
benedizione degli Usa. Nel frattempo in Europa (Giampiero Martinotti,
a pagina 6) crescono gli attacchi antisemiti, in Francia come in
Belgio: il primo altolà è di Sarkozy («non tollereremo che la
tensione internazionale si traduca in violenze fra comunità»).
Segnalo l’intervento di Adriano Sofri, dalla prima a pagina 3,
“Quelle immagini che il mondo non può ignorare”. Scrive, Sofri,
dell’uso delle immagini dei corpi straziati, della cautela
necessaria, dell’orrore. E aggiunge: «La maggioranza della
popolazione ammassata in quel fazzoletto di terra è composta di
bambini e ragazzini: un giardino d’infanzia in un miserando zoo
umano. Non c’è nessun Erode geloso a mandare aerei e carri sulla
striscia di miseria e rancore. Gli israeliani vogliono davvero
ridurre al minimo le vittime civili. Non possono essere così
disumani né così imbecilli da mirare a colpire i bambini. Ma quando
si interviene con un simile spiegamento di forza in un enorme
giardino d’infanzia, tanti (quanti?) bambini moriranno, resteranno
feriti e mutilati, e quelli che sopravviveranno non lo
dimenticheranno più, e assicureranno altre generazioni al trionfo
dell’odio e della vendetta».
Tre i commenti nella pagina degli approfondimenti (dalla prima). “La
posta in gioco” di Sandro Viola, “La piazza islamica” di Gad Lerner
e “Preghiera e libertà” di Joaquin Navarro-Vals che in sostanza non
si meraviglia ed anzi getta acqua sul fuoco delle polemiche relative
alla manifestazione islamica in Piazza Duomo a Milano e invita a
rendersi conto che «la libertà di cui l’Europa può andare fiera…
passa sempre e soltanto attraverso l’espressione della libertà
religiosa degli altri… Vedere che in Italia è permesso a dei
musulmani di praticare l’Islam, davanti a una cattedrale cattolica,
smuoverà certamente le coscienze di molti musulmani di tutto il
mondo a riconoscere almeno in parte quegli stessi diritti mai
concessi alle minoranze cristiane e islamiche».
Il Sole mette di spalla in prima
la notizia del giorno: “Gaza, strage a scuola. La svolta degli usa,
cessate il fuoco subito”. La corrispondena è firmata da Ugo
Tramballi, dal Sderot. Tramballi insiste sul fatto che la «gente
falciata dalle schegge davanti e dentro la scuola di Jabaliya si era
radunata lì obbedendo a un avviso israeliano». Da New York Marco
Platero invece racconta la svolta della diplomazia americana. La
richeista di cessate il fuoco viene dalla portavoce della Casa
Bianca Dana Perino: «durevole, sostenibile e non atempo limitato»,
queste le richieste della Casa Bianca. Invece Platero evidenzia come
Al Jazeera abbia sbeffeggiato l’atteggiamento di Obama, mettendo in
onda le immagini della sua vacanza alle Haway.
Il Corriere della Sera apre con
un editoriale di Pierluigi Battista che parla del cessate il fuoco,
universalmente invocato sia dalle autorità morali che dai capi di
stato, come di un’esigenza improrogabile. Con un nota bene: «Il
fronte della “tregua” non è privo di basi politiche, oltre che
morali. Ma è la “retorica della tregua” che rischia di renderle
fragili e destinate all’inconcludenza. Tutte le espressioni che
modulano con ripetitiva monotonia l’esigenza della tregua (...)
presuppongono una condizione fondamentale che è proprio quella
assente nell’inferno di Gaza: la tregua, perché sia tale, si fa
sempre in due. È ragionevole, è realistico, è possibile che Hamas
voglia essere una delle due parti a rispettare una tregua? Non l’ha
violata lanciando razzi Qassam sulle città israeliane per fare
espressamente vittime civili?». Battista invita quanti insistono (da
Sarkozy in poi) sulla «sproporzione» della reazione israeliana e che
però non negano la legittimità di una reazione a un evidente torto
di Hamas, a indicare quale debba essere la reazione «proporzionata»,
dovrebbe spiegare come sopperire alla «latitanza degli organismi
internazionali e come ovviare alla tragica mancanza di credibilità
dell’Onu». Parallelamente, Mussa Abu Marzuc, numero due di Hamas a
Damasco, intervistato da Lorenzo Cremonesi, nega che Hamas abbia
rifiutato di rinnovare la tregua scaduta il 19 dicembre: «Nei sei
mesi di cosidetta tregua, Israele ha compiuto più volte operazioni
militari contro di noi. Molti blitz unilaterali che nessuno ha mai
denunciato e che hanno causato una quarantina di morti palestinesi.
A ciò si aggiungano il blocco economico e il totale isolamento per
la popolazione di Gaza. Gli accordi della tregua stipulavano confini
aperti. Israele non li ha rispettati ben prima che noi rifiutassimo
di rinnovarla». Auspica poi un ruolo attivo dell’Europa, ma non
crede che Sarkozy sia l’uomo giusto, a meno che non cambi
linguaggio.
Nel frattempo le cronache parlano di stragi e bombardamenti. A pag.
2 si riporta delle scuole bombardate, la prima dell’Onu ieri mattina
con tre morti; la seconda, Fakura, sempre delle Nazioni Unite, sotto
gestione dell’agenzia per i profughi palestinesi (l’Unrwa),
letteralmente polverizzata nel pomeriggio. Dentro si erano rifugiati
«poveracci scappati dal campo di Beit Lahya». Si è trattato della
«carneficina più impressionante degli undici giorni di Piombo Fuso:
almeno 30 morti, bambini con le loro mamme, 55 feriti». Se Onu e
palestinesi rivendicano la crudeltà e l’inutilità di un simile
bombardamento, Israele sostiene invece che dalla scuola erano
partiti colpi di mortaio. Il tutto sarebbe stato registrato da un
drone, un aereo senza pilota che sorvolava la zona. Tsahal fornisce
particolari: fra le macerie sarebbero stati recuperati i cadaveri di
due cecchini, Iman e Hassan Abu Askar, «la prova che Hamas»,
sostengono gli israeliani, «ci attacca facendosi scudo di moschee,
ospedali, scuole, popolazione civile». L’episodio non è isolato: si
moltiplicano gli errori e il fuoco su obiettivi civili e sulle
strutture Onu. La situazione è peggiorata con l’invasione di terra e
l’uso degli obici sparati dai carriarmati: «armi studiate per
“coprire un territorio” e non per centrare bersagli specifici», dice
l’esperto israeliano Ron Ben Yshai. Uno studio dell’Intelligence and
Terrorism Information Center di Tel Aviv mostra come Hamas avrebbe
costruito la sua infrastruttura militare nel cuore della città per
attirare l’esercito israeliano nelle zone residenziali. Infiamma il
botta e risposta su quali possano essere definiti obiettivi
“legittimi” e quali no, ma capire cosa avvenga realmente non è
facile, anche perché la striscia è chiusa alla stampa internazionale
e sebbene la magistratura abbia riconosciuto il diritto di cronaca e
sia stata organizzata una sorta di “lotteria” fra i giornalisti
accreditati per fare sopralluoghi, «il primo pool di “fortunati
estratti” viene ogni giorno rimbalzato».
Obama rompe per la prima volta il silenzio che si è imposto in
politica estera e si impegna a risolvere il conflitto in Medio
Oriente: anche se non fornisce indicazioni specifiche, il segnale è
chiaro «dopo il 20 gennaio avrò moto da dire su questo tema».
L’uscita di Obama è una risposta alle due critiche opposte, da un
lato, di avvallare con il suo silenzio l’attacco israeliano, e
dall’altro di non esprimere il suo sostegno alla Stato di Israele.
Secondo Paul Berman, teorico liberal della «diplomazia muscolare»,
quella del neopresidente Usa è stata «una dichiarazione cauta perché
non può ancora agire». Secondo lo studioso, il problema principale
per Israele e Palestina è rappresentato dall’Iran, di cui Hamas può
essere avanguardia. Ma Obama farà ciò che Bush non è riuscito a
fare: «creare una coalizione occidentale, mondiale, che contenga
l’Iran».
Anche Avvenire apre sul
conflitto: "Bombe e razzi, Gaza nel caos". Colpiti anche istituti
sotto protezione Onu, morti 4 soldati israeliani a causa del «fuoco
amico», mentre i razzi usati da Hamas sono a gittata sempre più
lunga. Molte le pagine che il quotidiano della Cei dedica ai bambini
morti. Cronaca e commenti fra cui quello del politologo Abdul-Hadi
intervistato da Camille Eid: "Nascerà una nuova entità palestinese".
«Nel 2006 la vittoria elettorale di Hamas è stata definita come un
"terremoto politico"... E si è fatto di tutto per circoscriverlo...
Il "terremoto militare" attuale intende capovolgere questa
situazione. Ma in questo modo ci siamo ritrovati con il conflitto
arabo-palestinese che è tornato al punto di partenza». Ampio spazio
anche all'appello del Papa: "Va incoraggiato chi cerca il dialogo".
Anche ieri Benedetto XVI ha sottolineato che continua «a seguire con
viva apprensione i violenti scontri armati in atto nella Striscia di
Gaza»... e ribadito «che l'odio e il rifiuto del dialogo non portano
che alla guerra» mentre vanno incoraggiate le iniziative e gli
sforzi di quanti vogliono riprendere il dialogo.
In una breve si riferisce dell'impegno dell'associazione Giovanni
XXIII che intende portare soccorsi alla popolazione di Gaza e ha
reso noto un documento in cui condanna i razzi di Hamas (che
forniscono un «inutile alibi all'aggressione israeliana»).
Segnaliamo un reportage di Giorgio Ferrari "A Hebron l'«altra» Hamas
che si nasconde e produce". A Hebron (166mila abitanti, di cui
165mila palestinesi) si produce il 36% del Pil dei Territori, il 70%
del marmo da costruzione e il 60% di scarpe di rigorosa imitazione
italiana. Qui Hamas ha stravinto le elezioni, ma ora si nasconde:
non solo perché la Cisgiordania è protettorato di Fatah ma anche
perché appartenere ad Hamas ormai costa caro. Il cuore produttivo
insomma avrebbe voltato la faccia ad Hamas scegliendo il business...
In Agorà approfondimento su Parents Circle, associazione formata da
israeliani e palestinesi con lo scopo di elaborare il dolore delle
morti. In 10 anni sono oltre 500 le persone che hanno vissuto questa
esperienza di riconciliazione e che ovviamente dicono no alla
violenza.
“La strage degli innocenti” è il titolo di copertina del
manifesto a corredo di una
drammatica foto proveniente da Gaza, in una prima pagina che il
quotidiano dedica alla Palestina con richiami e commenti. Tommaso Di
Francesco scrive “Gaza siamo tutti noi”: «Gaza è sotto una muraglia
d’acciaio, bombardata da cielo, terra e mare, invasa da centinaia di
carri armati ultratecnologici e da migliaia di soldati. Non è un
combattimento ma una strage. E senza possibilità di fuga. Tutto alla
fine porterà ulteriore appoggio ad Hamas. Che, ricordiamolo, nel
gennaio 2006 vince democraticamente le elezioni in tutti i Territori
occupati. (...) Ora la palla passerà a Barak “Hussein” Obama. Ma già
ha pesato il suo silenzio. Perché solo gli Stati Uniti possono
invertire la rotta. (...) Guardate gli occhi sbarrati dei bambini di
Gaza. Ci dicono che non finirà con un cessate il fuoco necessario
ma, ahimé, tardivo. Chi subisce il terrore abbandonato da tutti è
destinato a riprodurlo. Così nasce l’odio, così nascono i
“terroristi”. Israele bombarda il proprio futuro(...)».
All’argomento il manifesto dedica poi le pagine 4, 5 e 6. A pagina 6
in particolare, dopo le prime due dedicate a reportage dalla
Palestina, si punta l’obiettivo sulla diplomazia e sull’azione di
Sarkozy da un lato e dall’altro sulla rottura del silenzio di Obama
«preoccupato per vittime civili». Un articolo datato Parigi racconta
di un attacco a una sinagoga. «Parigi teme il contraccolpo del
conflitto a Gaza» è il titolo dedicato all’attentato.
In copertina il Giornale titola
"Gaza, colpita una scuola Onu: strage di civili". Nell'occhiello la
sintesi della giornata di ieri "I tank israeliani assediano la
roccaforte di Hamas. Gli Usa chiedono un cessate il fuoco". Il
servizio a pagina 9 di Cristiano Gatti titola "Nel furore delle
immagini ci perdono solo i bambini" per via delle foto dei piccoli
corpi straziati che inondano i media ma servono anche alla
propaganda di una parte sola. Gatti scrive: "Gli integralisti di
Hamas sfruttano l'immagine di minori in diverse occasioni. Alle
manifestazioni i bambini sono vestiti di verde e sventolano bandiere.I
bambini feriti sono esibiti alle telecamere per suscitare la
condanna del nemico invasore. Quest'ultima di Gaza resta una guerra
così come la vogliono raccontare da dentro: con le bombe sui bambini
e mai un palestinese armato". Luciano Gulli inviato a Hebron
raccoglie alcune dichiarazioni, fra queste quella che si riferisce
al voto dato a Hamas: «Oggi non lo daremo più». Gulli scrive: «La
piega che in questi mesi ha preso Hamas non è piaciuta ai cittadini
della cittadina che è la capitale industriale e commerciale della
Cisgiordania. Non è piaciuta agli industriali, alla borghesia ma
anche al popolino che si è fatto due conti in tasca e ha visto che
quando non si spara e non c'è Intifada si campa meglio e girano
anche più palanche». Il commento di Fiamma Nirenstein a pag. 8
titola "Israele paga il prezzo di tutti i luoghi comuni dell'odio".
A pag. 10 la polemica: sabato scorso centinaia di musulmani in
piazza Duomo hanno pregato a margine della manifestazione
pro-palestinesi. Sull'accaduto l'arcivescovo di Milano ignora la
vicenda e così il Giornale titola: "La svista di Tettamanzi. Neanche
una parola sugli islamici al Duomo" e Maria Giovanna Maglie scrive:
«Sul sagrato si è consumata la sfida a un simbolo alto del
cattolicesimo italiano».
“Colpo di Mortaio su una scuola morti 40 civili” titola
La Stampa in prima pagina. Un
articolo di pura cronaca della giornata di ieri. Alla fine si sono
contati 42 cadaveri e decine di feriti. Per Ban Ki Moon segretario
generale dell’Onu, gli attacchi Israeliani contro strutture Onu sono
inaccettabili e non devono essere più ripetuti. Israele ha risposto
che da quella scuola dove si erano ammassati centinaia di soldati,
erano state sparate granate contro le forze israeliane. Un portavoce
delle Nazioni Unite ha specificato che l’edificio era chiaramente
distinguibile dall’esterno ed ha assicurato che al suo interno
c’erano solo civili. Israele invece, ribatte spiegando che i
militari hanno reagito con i mortai per neutralizzare il pericolo.
Proseguendo nella cronaca, La Stampa riporta che nella giornata di
ieri sono state colpite altre due scuole dell’Urwa aperte con altre
20 per dare ospitalità a 15 mila sfollati. Israele ha anche
rafforzato la morsa intorno attorno a Gaza. Nella zona meridionale,
le truppe hanno avanzato fra le città di Khan Yunes e rafah. Nel
settore centrale è stata bombardata Deir el Balah. Quattro militari
israeliani sono rimati uccisi in due episodi di fuoco amico. Tre
militari della brigata Golani sono morti in seguito alla cannonata
di un tank che erroneamente riteneva di avere nel proprio mirino
miliziani di Hamas. La deflagrazione ha fatto crollare un intero
edificio sui militari che si sono trovati imprigionati fra le
macerie ed esposti al fuoco di Hamas. Nel secondo episodio, un
ufficiale è stato ucciso da una cannonata. Un altro militare
israeliano è stato abbracciato da un combattente suicida che ha poi
attivato il proprio corpetto suicida. Un altro miliziano, vestito da
soldato israeliano, è stato ucciso prima che potesse aprire il
fuoco.
In una giornata di rastrellamenti i militari hanno riferito di aver
trovato moschee trasformate in bunker, con reti di tunnel scavati
alla loro basi e con quantità di armi al loro interno. Una scuola
invece, era stata trasformata nottetempo da miliziani palestinesi in
un edificio esplosivo. Hamas invece, è riuscita a lanciare 30 razzi
sul territorio palestinese. A pagina 37 Vittorio Emanuele Parsi
commenta: “La tregua possibile”. Una potenziale tregua, non
garantirebbe in modo credibile la cessazione del lancio dei missili
qassam. E’ anche irrealistico che Israele rinunci ad eliminare
completamente a presenza organizzativa di Hamas. E allora? Parsi
ripone fiducia nella politica. Esistono infatti solo due alternative
a una potenziale tregua: quella del conseguimento per via politica
di quanto militarmente non è stato possibile fare, (sulla falsariga
della crisi in Libano nel 2006), oppure quella di un consolidamento
politico di un successo militare ottenuto grazie alla supremazia
militare. In fondo Israele parte dal presupposto che non si può
tornare indietro, che Israele non ritiene accettabile il
ristabilimento del semplice status quo. Alla base di questo
convincimento sta la consapevolezza, che nel giro di due o tre
decenni, il bilancio demografico tra israeliani di religione ebraica
da un lato, e arabi di Israele e palestinesi dall’atro, segnerà un
saldo permanente e non modificabile neanche attraverso nuove quanto
improbabili ondate di immigrazione ebraica. Il semplice dato
demografico si trasforma in minaccia se si considera come il
radicalismo di matrice islamista abbia fatto e stia continuando a
fare proseliti in gran parte della Umma. Secondo Parsi, entro il
2010, l’attuale quadro della sicurezza regionale sarà insostenibile
deve perciò essere modificato nella direzione di una reciproca
accettazione tra i diversi soggetti politico-territoriali del Medio
Oriente. Affinchè ciò avvenga è però necessario indebolire le
capacità militari e la presa politica delle formazioni estremiste.
Anche se le cose, sul piano militare, dovessero volgere al meglio per
Israele, è però difficile immaginare il consolidamento politico
dell’eventuale successo in assenza di interlocutori. Quando Israele
lascerà Gaza, la tregua dovrà essere concordata con qualcuno. Una
tregua senza garanzie, riprodurrebbe esattamente quello scenario
precedente la crisi che Israele non può accettare. Diverso sarebbe
se, con la mediazione della Lega Araba ed egiziana, un terzo
soggetto si incaricasse di svolgere trattative per una tregua tra le
parti, offrendosi di vigilare sulla garanzia del suo rispetto con un
proprio contingente militare e non inviando qualche pattuglia di
osservatori.
A pagina 2 “Al Zawahiri: questi attacchi sono un regalo di Obama”. «Le
bombe di Israele sono un regalo di Obama ai palestinesi per la sua
investitura». E’ la spiegazione che offre ai fedelissimi di Al Qaeda
il numero due dell’organizzazione terroristica, Ayman Al-Zawahiri,
in un messaggio diffuso ieri sui siti internet islamici e ripreso da
AL Jazeera. «Quello che avete davanti è un anello della catena della
campagna sionista contro i musulmani e l’Islam.. La bugiarda
macchina della propaganda americana ha cercato di dipingere Obama
come un salvatore del mondo che avrebbe cambiato la politica».
Zawahiri non se la prende solo con Obama, ma anche con Mubarak che
ha definito traditore e ha chiamato gli egiziani a uno sciopero di
massa proponendo loro come esempio il soldato egiziano che nel 1985
sparò ai turisti israeliani. Per ora però mancano conferme
dell’autenticità dell’appello con la voce del numero due di Al
Qaeda.