Asini in cattedra Pasquale Almirante, da DocentINclasse 2.12.2009 Non credo che il problema sia chi lavori di più all’interno della scuola o chi meno e perché pugnalando i detrattori. Né se gli insegnanti oltre a essere fannulloni, paraculi, ignoranti, sessantottini e comunisti, siano anche truffatori e ladri perché marinano i 10 minuti di lezione a ogni sessanta di orologio. Il problema non è questo, anche perché parlare di scuola è sport nazionale e i luoghi comuni si affettano, cosicché periodicamente scoppia qualche bubbone e tutti a fasciarsi il capo e tutti a cercare rimedi o a stringere la fasciatura. Non credo quindi che il dibattito si possa trincerare dietro una difesa di ufficio per ogni cecchino che spara sugli insegnanti: mi pare puerile, anzi elementare. Il problema serio credo sia la scarsa preparazione politica e culturale di questa classe di lavoratori. Andare alla motivazione sociologica di questa ignoranza è facile, anche perché è stata descritta abbondantemente a cominciare da Gramsci e poi via via fino ai nostri giorni con sfumature e accenti variegati ma concordanti nel principio che il professore fa parte di una classe sociale in bilico fra chi comanda e chi subisce, un borghesuccio con ambizioni di guida sociale e affascinato dal potere che non solo serve con dedizione ma del cui ruolo storico ha scarso senso critico, compreso del proprio. Non è né operaio né dirigente, né impiegato né funzionario: un ibrido senza cognizione di sé e della sua funzione. Negli ultimi anni inoltre le cose si sono ulteriormente complicate perché ha smarrito persino i supporti culturali che lo avevano fatto distinguere dalla vecchia massa ignorante, e di fronte alla recente cultura di massa è diventato lui stesso un ignorante di ritorno. Uso il termine professore anche se sarebbe più giusto parlare di professoressa, vista la femminilizzazione della istruzione che ha reso ancora più rovinoso il ruolo storico e politico del docente, perché ha abbassato sia in termini culturali e sia in termini di partecipazione democratica il dibattito persino sui diritti sindacali e sui doveri professionali. E non perché le donne siano meno brave ma per il semplice fatto che è diventata una professione di ripiego per arrotondare lo stipendio del marito e per il molto tempo libero che oggettivamente concede rispetto a una operaia o a una impiegata. E allora il problema reale è quello di accaparrarsi di quel ruolo storico che tutti gli altri maestri hanno nel resto del mondo, puntando sulla qualificazione universitaria e assegnando i posti ai meritevoli: ecco il merito. Che non è solo la conoscenza della singola disciplina ma la conoscenza della cultura, dei meccanismi che reggono il mondo e di cui i ragazzi hanno estremo bisogno di possedere e comprendere. Nello stesso tempo se qualcuno non pensa in tempi brevi a programmare il reale fabbisogno di docenti, oltre a creare sacche sempre più ingombranti di precari, dequalificherà ancora di più la scuola. Non si può infatti mandare un giovane laureato in classe senza avere mai studiato neanche un pizzico di psicologia generale e dell’età evolutiva, né legislazione scolastica, né didattica: è come mandare un medico generico in sala operatoria, benché la cura dello spirito, in termini di etica e di educazione sociale, sia più importante di quella del corpo.
E non solo, ma fino a quando i docenti vedranno passare sulle loro
teste scelte capitali fatte da altri senza intervenire, senza
affermare il loro valore intellettuale e i loro diritti
professionali, senza promuoversi a machiavelliani Principi della
sapienza e della direzione stessa della società, afferrando e
interpretando i mutamenti storici e politici saranno sempre
costretti a subire le più cocenti umiliazioni; fino a quando,
vedendosi defraudare dalla ignavia e dalla inefficienza delle
istituzioni, staranno con le mani in mano in attesa del miracolo, la
scuola è condannata a essere luogo diverso da quello per cui nacque
e per il quale merita di progredire. Accusare chi accusa i
professori è solo una esercitazione e per giunta sterile ed
elementare, troppo elementare. |