SCUOLA
Israel: così gli insegnanti intervista a Giorgio Israel, il Sussidiario 25.2.2009 Reimpostare il percorso di formazione dei docenti non è certo un’operazione semplice, e chi doveva assumersi la responsabilità di cimentarsi in questa impresa avrà certo messo in conto di dover rispondere, al termine del proprio lavoro, a molte richieste di chiarimento, quando non a vere e proprie critiche.
Dopo aver messo in evidenza, in un
precedente intervento, tutti gli aspetti problematici della bozza di
Regolamento apprestata dal “Gruppo di lavoro per la formazione degli
insegnanti”, ilsussidiario.net dialoga ora con il presidente del
Gruppo stesso, il professor Giorgio Israel, dandogli così anche modo
di rispondere alle critiche.
L’aspetto principale è il recupero che
viene attuato sul piano dei contenuti. Ultimamente, infatti, eravamo
giunti a un forte squilibrio nella formazione dei docenti,
pesantemente penalizzata sul piano disciplinare. La Commissione ha
cercato di ripristinare l’equilibrio, senza però operare traumi,
evitando cioè lo scontro tra “disciplinaristi” da un lato e
pedagogisti dall’altro. Nessuno vuole infatti tornare alla scuola di
un tempo, in cui il problema di “insegnare a insegnare”, cioè della
metodologia di insegnamento, non esisteva; però, d’altro canto, oggi
ci si era sbilanciati troppo sul fronte della metodologia,
penalizzando le discipline. La Commissione ha funzionato
egregiamente, trovando un equilibrio fra queste due diverse
esigenze.
La prima carenza la si riscontrava
nella formazione dei docenti delle scuole primarie, che prevedeva
qualcosa come l’80% di discipline a carattere pedagogico. L’altro
aspetto da correggere riguardava invece la scuola secondaria di
primo grado, ed era la ben nota carenza degli insegnanti di
discipline scientifiche i quali provenivano dalle lauree più
disparate e non avevano, ad esempio, la necessaria preparazione
matematica, che alle medie è centrale. Erano due dei “buchi neri”
che era necessario risolvere, e mi pare che in entrambi i casi si
sia riusciti nell’intento. Per quanto riguarda la scuola primaria
sono stati quasi triplicati i crediti di matematica, raddoppiati
quelli di storia, ed è stata reintrodotta la geografia. Certo, è un
percorso molto rigido, ma alla fine ha trovato l’assenso anche da
parte della conferenza dei presidi di scienze della formazione.
Anche per la secondaria di primo grado, si sono colmate le carenze
senza creare traumi; non si vuole infatti ritornare al blocco per
cui solo un laureato in matematica o fisica può insegnare quelle
materie. Chiunque lo potrà fare, ma a patto che faccia un percorso
che gli permetta di colmare le lacune disciplinari.
Proprio su questo abbiamo creato
un’inversione di tendenza rispetto alle SSIS, che da questo punto di
vista (e non solo) sono state in molti casi, a detta soprattutto
degli studenti, un fallimento. Noi invece abbiamo introdotto un anno
di tirocinio (uno solo: quindi non c’è allungamento del percorso, ma
una riduzione rispetto al 3+2+2), che, a differenza delle SSIS, è
mirato principalmente all’attività in classe. C’è naturalmente anche
una componente didattico-disciplinare, e alcune materie pedagogiche;
però l’anno è dedicato principalmente alle attività di vero e
proprio tirocinio a scuola, con una fase osservativa sotto un tutor
– che è un docente della scuola stessa – e poi un’attività diretta
di insegnamento. Non è vero quindi che lo studente sta solo lì a
guardare: la maggior parte delle ore l’abilitando le passa a
insegnare. Naturalmente è guidato in questa attività, perché
altrimenti la sua sarebbe semplicemente una supplenza.
Nessuno vuole che il tirocinio sia
gestito esclusivamente dalle università; ma non sarebbe nemmeno
giusto lasciarlo esclusivamente in mano alla scuola. Dev’essere
un’operazione gestita in maniera collaborativa, in cui una buona
parte del lavoro si svolge in classe, sotto l’occhio di un
insegnante, e in cui sono poi previsti i laboratori didattici,
anch’essi alla presenza dei docenti della scuola secondaria. Quindi
si tratta di avere un’interazione tra le due componenti. Il che, a
ben guardare, è proprio il contrario delle SSIS, che erano strutture
librate in aria, dove c’erano i docenti delle università e altre
figure chiamate docenti supervisori (i quali per altro erano sempre
gli stessi, a causa anche di proroghe per lo più illegali): una
struttura autoreferenziale che non aveva rapporto né con la scuola,
né con l’università. Noi vogliamo invece che questa struttura sia
controllata da qualcuno: non dall’università in genere, ma da una
facoltà universitaria, che sia responsabile organizzativamente,
grazie all’attività di un consiglio che sarà composto anche da
docenti della secondaria. Tutto questo permetterà di attuare un
percorso da cui uscirà una figura di insegnante professionalizzata.
Innanzitutto preciso che il fatto che
l’organizzazione del tirocinio ricada interamente sulle università
significa che le università stesse si sobbarcano il tutto a costo
zero, perché questo è parte dei loro obblighi. Il ruolo della
scuola, poi, non è affatto solo consultivo, perché l’anno di
tirocinio è gestito essenzialmente da un professore tutor, e la
relazione finale del tirocinio è presentata dal tutor stesso, il
quale ha sostanzialmente la funzione del docente relatore della tesi
di laurea. È il professore della scuola che dà il giudizio su come
quello studente ha operato, e questo giudizio viene poi trasmesso a
una commissione composta da docenti universitari, da rappresentanti
del ministero e da docenti tutor.
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