Iscrizioni sub judice

di Marina Boscaino, Pavone Risorse 24.2.2009

L’avvocato Corrado Mauceri insieme ad altri legali di diverse realtà dell’Associazione Per la scuola della Repubblica si stanno occupando di organizzare un ricorso collettivo contro la circolare ministeriale n. 4/09 sulle iscrizioni, che può essere inoltrato entro il 15 marzo al Tar del Lazio. Si tratta di un’azione significativa, che sottolinea una serie di incoerenze che – nel bombardamento mediatico di (dis)informazione al quale siamo stati sottoposti – rischiano di passare sotto silenzio. Innanzitutto la famosa circolare sulle iscrizioni (che quest’anno, come è noto, sono state posticipate di un mese) è stata emanata prima ancora dei pareri (obbligatori, sebbene non vincolanti nell’iter dei regolamenti) della Conferenza Stato Regioni e del Consiglio di Stato: dunque si è trattato di una circolare applicativa di regolamenti non ancora esistenti. Come a dire: qualunque fossero stati i pareri, essi sarebbero stati considerati ininfluenti.

Come stabilisce il DPR 275/99, le iscrizioni devono essere fatte in base al Piano dell’Offerta Formativa in vigore e regolarmente approvato. L’amministrazione può esclusivamente intervenire rispetto ai tempi della presentazione della domanda, ma non a modelli didattici non ancora in vigore secondo la normativa vigente. La circolare, invece, preannuncia l’organizzazione dell’attività didattica e la determinazione degli organici sulla base dei regolamenti delle leggi 133 e 169, ancora da emanare. Un modo corretto e legittimo di presentare la domanda è perciò quello conforme esclusivamente al POF in vigore.

I soggetti legittimati al ricorso sono molteplici: genitori e studenti; docenti (coinvolti dalle riduzioni di organico e dall’eliminazione delle compresenze); organizzazioni sindacali, e tutte le associazioni finalizzate alla tutela degli interessi degli associati o più in generale della scuola statale; le amministrazioni locali.

Entrando nel merito specifico, l’Associazione Per la Scuola della Repubblica indica alcune motivazioni che giustificherebbero il ricorso: l’operazione di distruzione della scuola pubblica italiana e le modalità attraverso le quali è stata perseguita hanno tutto il senso di una vera e propria emergenza democratica.

Tra gli elementi di violazione, alcuni si riferiscono direttamente ad articoli della Costituzione: la circolare sulle iscrizioni, infatti, va prima di tutto a violare il principio costituzionale che vincola la Repubblica ad istituire scuole per tutti gli ordini e gradi in funzione dell’art.3, comma 2 (“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale”), nonché gli artt. 33 e 34. Il fatto che lo Stato verrebbe meno a questa fondamentale funzione egualitaria, emancipante e inclusiva – attraverso la futura normativa - è peraltro rafforzato dal parere negativo del CNPI dello scorso 12 dicembre. Inoltre, la circolare prevede chiaramente un disimpegno dello Stato nella sua funzione di istituire scuole di tutti gli ordini e grado, secondo la domanda sociale, dal momento che saranno utilizzate per la scuola dell’infanzia le scuole paritarie, anche di orientamento confessionale.

Un’ulteriore violazione dell’art. 33 (relativamente al pluralismo culturale e all’autonomia della scuola) è determinata dalla illegittima invasione dell’esecutivo nella sfera didattica, di competenza degli organi scolastici.

La sconsiderata possibilità di istituire classi-ponte, tributo ai desiderata razzisti della Lega, rappresenta ancora una violazione dell’art. 3.

La decretazione d’urgenza, alla quale ha fatto ricorso il governo per imporre questa parte della cosiddetta “riforma Gelmini” deve avere – secondo l’art. 77 della Costituzione – il carattere dell’eccezionalità ed essere applicato in casi di necessità e di urgenza. Entrambi i requisiti – come è noto - mancavano all’atto dell’emissione del decreto.

Secondo l’art. 97 della Costituzione, sono stati violati – nonostante i pareri negativi di Conferenza Unificata e del CNPI, completamente ignorati – i principi della ragionevolezza e della buona amministrazione, favorendo l’intervento di razionalizzazione della scuola (i tagli alla spesa) rispetto all’efficacia didattica, sulla quale quei tagli vanno ad incidere profondamente.

Il fatto che, nella normale pratica delle iscrizioni, la richiesta da parte delle famiglie sia precedente all’individuazione dei modelli orari ha senso nella misura in cui la richiesta stessa determina gli organici; la circolare, viceversa, subordina l’accoglimento delle richieste dei differenti modelli didattici alla disponibilità dell’organico. La procedura è dunque completamente ribaltata. E la parità del trattamento sul territorio nazionale non è garantita.

È bene sottolineare che la potestà legislativa in materia di norme generali dell’istruzione – secondo gli articoli 33 e 117 della Costituzione – precluderebbe la procedura del regolamento (che delega il governo sulla materia). Nel caso specifico – attribuendo la delega al governo – si è delegificato, abbassando la legge a provvedimento amministrativo; e si è sostanzialmente concesso al governo una delega in bianco e non sottoposta ad alcun vincolo temporale su tutta la materia.

Il campione delle scuole che ho intorno è piuttosto vasto. Il numero di circolari che arrivano ed inverano realtà che – stanti questi presupposti – sono meno concrete, verosimili e legittime di quanto vogliano farci credere è esorbitante. L’esistente per il centrodestra si crea attraverso le parole e non attraverso la certezza della legge. Sarebbe ora che ci si rendesse conto di quanto pericoloso sia una simile tendenza. Le informazioni alle famiglie che devono iscrivere bambini e ragazzi è stata in molti casi erogata in maniera farraginosa, alludendo ad una normativa fantasma o - i più volenterosi - organizzando degli ammirevoli “fai da te” dell’architettura oraria, per sfuggire ai vincoli dei diktat ministeriali. I più consapevoli, però, stanno battendo la strada della ragione, dello studio, della collegialità. Opponendo all’arbitrio e all’illegittimità il richiamo alla Costituzione.

Il motivo per il quale ci stiamo rassegnando a scorribande ben più gravi di quelle cui ci aveva abituato l’era Moratti rimane misterioso. L’antipolitica, la presunzione - ormai solo teorica - che il becerume di centrodestra non potrà non essere sconfitto; il disimpegno; la programmatica sottovalutazione di quello che sta succedendo hanno allentato la vigilanza, sconfitto la partecipazione, stemperato l’indignazione, fiaccato le energie. Manca – sulla scuola come su tutto l’esistente, a parte luminose e miracolose eccezioni – una capacità di elaborare e poi di intervenire, forti dell’elaborazione, sul reale. E, ancora una volta, fatte salve le suddette eccezioni, si preferisce farsi piovere dall’alto indicazioni, direttive, idee della scuola che accettiamo passivamente, non riuscendo più a percepire il limite tra prerogative, il confine dei campi di intervento, la legittimità degli interventi.

Ci siamo rassegnati? Forse. Abbiamo però tempo fino al 15 marzo per riflettere sulle modalità violente e antidemocratiche attraverso le quali questo governo non solo falcidia posti di lavoro impoverendo la scuola; ma interviene sull’ordine scolastico che meglio funziona - la scuola primaria - in maniera spregiudicata e, a quanto pare, illegittima. Realizzando, insieme agli agognati tagli, il suo più pericoloso progetto culturale: lo smantellamento di qualunque forma di collegialità (analoga impronta verrà imposta alle scuole superiori, con l’annullamento di tutte le sperimentazioni); la smobilitazione di modelli didattici funzionanti ed efficaci; la liquidazione della scuola che risponda anche ai bisogni della società. Caratteristiche, queste, troppo pericolose, per chi nella scuola non individua i valori dell’uguaglianza, della promozione, della crescita, del progresso, dell’emancipazione, delle pari opportunità, del pluralismo, dell’accettazione del pensiero divergente. Che vanno neutralizzate: come si può, con metodi arrembanti e definitivi, in tempi rapidi. Riusciranno a buttare via tutto: sono troppo forti, nei numeri e nelle proposte (seppure scellerate), per il momento. Ma possiamo ancora tentare di mettergli i bastoni tra le ruote.

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