La proposta di legge Aprea:
un testo con poche luci e molte ombre
di Gianni Gandola e Federico Niccoli, ScuolaOggi
24.2.2009
Dopo l’approvazione del decreto 137/08
e la sua conversione in legge, dopo l’emanazione dei regolamenti
attuativi, è la volta ora del disegno di legge Aprea. Nei prossimi
giorni andrà infatti in discussione il disegno di legge n.953
“Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà
di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello
stato giuridico dei docenti”, presentato in Commissione alla
Camera il 12 maggio scorso dall’on. Aprea. Riprendiamo pertanto
alcune considerazioni su questo testo che torna di attualità.
Preliminarmente occorre riconoscere che la proposta di legge Aprea è
un documento organico che affronta in tutti i suoi aspetti le norme
di autogoverno delle istituzioni scolastiche, in collegamento
stretto con il Dpr 275 sull’autonomia, e la riforma dello stato
giuridico dei docenti. Va detto anche che nel testo si ripropongono
molti vecchi “cavalli di battaglia” dell’on. Aprea, temi già
presenti in precedenti proposte di legge presentate negli scorsi
anni.
Vedremo nel merito –e con riserva di una più approfondita
riflessione- alcuni punti specifici. Vanno subito segnalate, però,
alcune “ossessioni”, che rischiano di inficiare l’organicità della
proposta per piegarla ad esigenze ideologiche della destra
governativa:
- Modificare geneticamente la scuola da istituzione eminentemente
pubblica in istituzione a sistema misto stato-privati (con
conseguente trasformazione delle istituzioni scolastiche in
fondazioni)
- La libertà di scelta educativa delle famiglie dalle quali
dipenderebbero – prevalentemente – le risorse finanziarie da
destinare all’istruzione
- La creazione di una sorta di ordine degli insegnanti (il
cosiddetto organismo tecnico rappresentativo)
- La separazione netta delle aree contrattuali dei docenti rispetto
a quella del personale ata con un tentativo di “responsabilizzazione
professionale congiunta” dei dirigenti scolastici e dei docenti.
Su quest’ultimo punto critico è opportuna una prima riflessione. I
dirigenti scolastici non solo esercitano una funzione altra e
diversa dai docenti, così come i docenti svolgono una funzione
diversa dagli ata; ma i dirigenti hanno compiti esclusivi di
governo delle istituzioni e sono direttamente responsabili dei
risultati. Inoltre, la stessa legge istitutiva
dell’autonomia legava inestricabilmente la concessione
dell’autonomia alle scuole a 4 elementi costitutivi, che ne
declinavano il profilo giuridico-istituzionale : il conferimento
della personalità giuridica di diritto pubblico a tutte le
istituzioni scolastiche; il dimensionamento delle istituzioni da 500
a 900 alunni; il conferimento della dirigenza scolastica ai
capi di istituto; la riforma degli organi collegiali della
P.I. a livello nazionale e periferico. Inoltre i dirigenti
mantengono poteri gerarchici nei confronti sia dei docenti sia degli
ata.
Fino a quando i dirigenti erano capi di istituto poteva
giustificarsi un unico contratto, sia pure distinto per profilo. Non
ora, dopo la legge sulla dirigenza scolastica (legge n.59/1997, art.21).
Riteniamo che ancora oggi si giustifichi invece un’unica area di
contrattazione per docenti ed ata, pur senza accedere ad indebite
confusioni di ruoli e di funzioni. Sono certamente diverse e
specifiche la funzione docente rispetto alla funzione
amministrativa, tecnica ed ausiliaria. Ma è solo dall’intreccio
fecondo tra ruoli e competenze, senza ingiustificabili
“ammucchiate”, che si può centrare l’obiettivo principe
dell’autonomia scolastica, che è il successo formativo di tutti e di
ciascun alunno. Per converso una sorta di ghettizzazione del
personale ata innescherebbe meccanismi rivendicativi, già presenti
nelle scuole, che si scaricano negativamente soprattutto
sull’accoglienza e sul trattamento educativo e riabilitativo in
particolare degli alunni in situazione di handicap e di bisogni
educativi speciali.
Il ddl Aprea, conseguentemente, trova paradossale l’eventualità che
in sede RSU l’insegnante possa essere rappresentato da operatori e
da lavoratori che nulla hanno a che fare (?) con la sua professione.
In realtà la vera “contraddizione” è - come viene sottolineato anche
nella presentazione del ddl - l’esistenza stessa della RSU nella
scuola come “organismo negoziale in un contesto organizzativo che
non gode di alcuna autonomia o discrezionalità contrattale né
gestionale”, in quanto i poteri del dirigente scolastico nel
reclutamento degli operatori scolastici e nella gestione del
personale sono minuziosamente prescritti dalle ordinanze
ministeriali.
Ci sembrano condivisibili i tre obiettivi generali
dichiarati nel ddl Aprea:
- Modificare il reclutamento
- Riscrivere lo stato giuridico degli insegnanti in coerenza con il
nuovo paradigma organizzativo e didattico delle scuole
- Dare pertinenza (!) alle competenze richieste ai docenti con il
trasferimento alle scuole di nuovi poteri e funzioni tecniche,
organizzative e didattiche
La traduzione degli obiettivi generali in modalità attuative, però,
suscita molte perplessità. In effetti una vera autonomia delle
scuole non può esistere in presenza di uno stato giuridico di
carattere sostanzialmente impiegatizio se non si passa ad una figura
di professionista, capace di vera responsabilità per i risultati, ma
questo non può significare che non si tratta di “rapporto di lavoro”
e che tutto va ricondotto (non solo gli indirizzi e le norme
generali sulla funzione e sulla professione) all’esclusiva
competenza del meccanismo legislativo.
Non abbiamo mai nascosto critiche, anche pesanti, all’operato degli
stessi sindacati confederali nelle varie fasi di gestione dei
contratti collettivi dei lavoratori della scuola. Ma non pensiamo
che si possa e si debba rendere quasi pleonastico il ruolo e la
funzione del sindacato trasferendo totalmente alla riserva di legge
le modalità di esplicazione della funzione docente, tutta descritta
rigorosamente nelle norme per la definizione dello stato giuridico.
Non abbiamo mai pensato –a differenza di certe posizioni estremiste
in senso egualitario presenti nella categoria- che gli insegnanti
debbano essere todos caballeros senza alcuna possibilità di
“carriera”, se non quella di cambiare professione e concorrere per
le qualifiche di dirigente scolastico o dirigente tecnico.
Conseguentemente ci sembra utile una proposta che preveda
un’articolazione della carriera dei docenti, con retribuzioni
differenziate, in tre livelli : docente iniziale, ordinario ed
esperto senza alcuna sovra ordinazione gerarchica. Ma su questo
punto specifico e sulle modalità previste dal ddl torneremo in
seguito.
Molte perplessità suscita, invece, l’istituzione della vice
dirigenza delle istituzioni scolastiche, soprattutto perché
a tale funzione si dovrebbe accedere mediante procedure concorsuali
per titoli ed esami : in questo caso non si tratterebbe più di una
articolazione della funzione docente, ma di altra cosa (uno strano
animale pedagogico non meglio definito) che somiglia alle cosiddette
alte professionalità invocate dall’ANP.
Il fatto di affiancare il dirigente scolastico con figure
professionali di supporto nella conduzione di istituzioni
scolastiche sempre più complesse e difficili da gestire di per sé
non può che essere positivo e da incentivare (basti pensare, a
questo proposito, alle difficoltà in cui versano ad esempio molti
istituti comprensivi). Ma se il vicedirigente è una figura di
staff, non si vede perché non debba essere il dirigente
scolastico a scegliere il proprio collaboratore, con un incarico
specifico. Se invece fosse, come par di capire, un’ulteriore
articolazione della professione docente (docente esperto con titolo)
non si capisce perché non debba essere il Collegio stesso a decidere
le proprie forme di rappresentanza e di espressione. Non si ravvisa
in altre parole la necessità di altre figure intermedie
“sovraordinate gerarchicamente” che potrebbero piuttosto generare
non pochi problemi di “coesistenza” all’interno dell’istituzione
scolastica (cosa succede se dirigente e vicedirigente non “vanno
d’accordo” e non collaborano proficuamente? E se il vicedirigente,
che è pur sempre una articolazione della figura docente, non è in
sintonia con il Collegio che lo avverte come un’altra figura
“estranea”?).
Il ddl sceglie di definire “consiglio di amministrazione”,
affidandone la presidenza al dirigente scolastico, l’organo di
governo dell’istituzione scolastica. Le parole, si sa, sono cariche
di ombre, per cui la definizione può prestarsi a malevole
considerazioni, anche se, in fondo, i poteri del nuovo organismo non
sono molto più penetranti di quelli attualmente assegnati ai
consigli di circolo/istituto. Stupisce, piuttosto, l’esclusione (a
conferma della volontà di ghettizzazione del personale ata) di
qualunque rappresentanza del personale di segreteria,tecnico ed
ausiliario mentre sono presenti docenti, genitori, studenti ed enti
locali.
Opportuna sembra l’istituzione di un nucleo di valutazione del
funzionamento dell’istituto, anche se restano ancora oscuri i
meccanismi di funzionamento e gli effettivi poteri.
Curiosa appare la previsione di un organo di valutazione
professionale che dovrebbe occuparsi di standard, prestigio(!),
immagine(!), promozione (!) che dovrebbe addirittura arrivare a
catalogare ”coloro che non possono essere definiti insegnanti”.
Sulle modalità di formazione degli insegnanti occorrerà un
approfondimento della questione, anche in raccordo con le
determinazioni delle istituzioni universitarie. Non sufficientemente
fondato ci sembra l’eclettismo metodologico assicurato alla funzione
docente. Se è vero che non può esistere una metodologia di stato non
può esserci, però, indifferenza assoluta rispetto alla scelta libera
di qualsivoglia metodologia didattica.
Il “concorso di istituto” sembra una trovata
propagandistica, che, absit inuria verbis, fa il paio con il famoso
vigile di quartiere. Immaginiamo cosa potrebbe succedere se 10 mila
istituzioni scolastiche bandissero autonomi concorsi ?
Molto opportuna, invece, ci sembra la scelta coraggiosa (e in
controtendenza rispetto alle resistenze sindacali) di affidare al
dirigente scolastico la presidenza delle commissioni di valutazione
per il passaggio di livello degli insegnanti. I detrattori di questa
scelta potrebbero, però, trovare alimento in uno scivolone contenuto
nella relazione introduttiva nella quale si dice che gli attuali
collaboratori del dirigente – compreso il vice- sarebbero scelti dal
dirigente stesso senza criteri di competenza e di merito
professionali.
Una prima provvisoria conclusione : il ddl Aprea è un testo con luci
(poche) ed ombre (molte). Occorrerà seguire attentamente il
dibattito parlamentare perché, comunque, si tratta di un tentativo
organico di ridisegnare l’organizzazione complessiva delle
istituzioni scolastiche.