Alunni stranieri in classe:
paradossi e ipocrisie

di Marco Pistoi, Pavone Risorse 1.2.2009

La questione (il problema?) dell’inserimento degli alunni stranieri nelle scuole italiane sta ormai assumendo contorni paradossali, direi persino grotteschi. Peccato che in ballo ci sia il coinvolgimento di tanti bambini.

Particolarmente pittoresche appaiono le varie giustificazioni addotte per negare ciò che si vuol, semplicemente, affermare: i piccoli alunni stranieri tra i banchi di scuola non sono ben voluti.

In questo creativo esercizio linguistico ci ha sapientemente introdotti la mozione della Lega Nord in materia di accesso degli alunni stranieri alla scuola dell’obbligo: si prevedono classi separate ma , attenzione, al fine di “ridurre i rischi di esclusione”.
Ma si può fare di meglio, semanticamente parlando, ed ecco che ci pensa l’Amministrazione di centro sinistra (per non far torto a nessuno) del Comune di Vicenza stabilendo, nell'ambito del nuovo "Piano territoriale scolastico", un limite massimo di alunni stranieri per ogni classe pari al 30-35%  a partire dal prossimo anno.

Mai più di tre stranieri ogni dieci italiani nella scuola elementare. Non fraintendete, il provvedimento, rassicurano, è “pensato a tutela dei bambini” (anche se non è specificato quali). Si punta a “favorire l’integrazione, a non creare classi, o peggio ancora scuole ghetto”. Meno male.
 

Ora  potrebbe essere interessante approfondire il simpatico dibattito scaturito dall’irritazione della Lega veneta che rivendica la paternità di tale proposta, pensata quando ancora il Pd (forse sottovalutando i consensi che si potevano riscuotere tra l’opinione pubblica) si prodigava a sostenerne l’ “illegalità” …ma  credo non serva a molto.

Può essere curioso invece ricordare l’intervento del Ministro dell’Istruzione Gelmini al meeting di Rimini, contraria alla fissazione di un limite del numero degli studenti stranieri per classe: “Non servono tetti o numeri. La scuola può e deve essere l’istituzione che più favorisca l’integrazione”.  Ma eravamo a fine agosto e il gioco delle parti era solo all’inizio.
 

Forse il dibattito sarebbe meno ipocrita se il pregiudizio secondo il quale la presenza dei piccoli alunni stranieri nelle classi danneggia i bambini italiani venisse definito per quello che è.

A quel punto si potrebbe provare a spiegare, pazientemente, a tutti quei  genitori preoccupati per i propri figli italiani (rincorsi da chi cerca facili consensi) che “la scuola funziona meglio e non peggio quando in classe ci sono alunni che partono da livelli di conoscenza diversi.” Si potrebbe spiegare loro perchè uno dei più autorevoli studiosi di linguistica in Italia, Tullio De Mauro, ci ricorda che “più le classi sono eterogenee, migliori sono i risultati degli alunni. Di tutti: dei più bravi e dei peggiori.”


Si potrebbe tentare di spiegare loro perché gli insegnanti continuano a credere in una scuola aperta, accogliente e capace di includere e valorizzare le differenze.

Si potrebbe denunciare, preoccupati, come il diritto all’istruzione e la convivenza tra le differenze rischino, tra l’indifferenza generale, di essere messe in discussione.  Ma sarebbe impopolare.