Istituti comprensivi: di Gianni Gandola, ScuolaOggi 19.2.2009
E' stato recentemente pubblicato
“Un manifesto per gli istituti comprensivi – Le 10 tesi di Sestino”.
Il volume, edito dalla Regione Toscana e curato da Giancarlo Cerini,
raccoglie il senso del dibattito e i contributi del seminario tenuto
lo scorso anno, nel maggio 2007, a Sestino, in provincia di Arezzo.
Il seminario di studi si intitolava “Piccole ma buone. Le sfide
degli istituti comprensivi”. Tra gli estensori delle “tesi”, che in
realtà costituiscono altrettanti ”argomenti” a favore dei
comprensivi, oltre a Cerini, vi sono Ivana Summa, Dino Cristanini,
Giuseppe Toschi, Mariella Spinosi ed altri. L’introduzione è di
Mariangela Bastico, al tempo vicemininistro dell’istruzione. Sul piano teorico, l’istituto comprensivo aggrega infatti in una sola struttura funzionale le scuole materne, elementari e medie di uno stesso ambito territoriale e precostituisce quindi le condizioni ottimali per costruire una solida continuità didattica. Nel senso che offre la possibilità di “incontri ravvicinati” fra i docenti dei vari ordini di scuole: questi possono – all’interno della stessa istituzione scolastica – confrontarsi direttamente, scambiarsi informazioni, avere momenti di programmazione comune, lavorare per un curricolo continuo “in verticale”, mettere in comune risorse professionali, strutturali e finanziarie. Fin qui la “teoria”, vale a dire il contesto generale. Ma la pratica? In pratica, cosa è successo davvero in questi anni e qual è lo stato dell’esperienza degli I.C.?
In questo senso il Manifesto per gli
istituti comprensivi di Sestino costituisce un’ottima occasione per
riflettere su questa esperienza e fare alcune considerazioni. E’
chiaro che le osservazioni che seguono sono assolutamente parziali e
si riferiscono ad una realtà, come quella milanese, probabilmente
molto diversa da altri contesti. Vanno quindi, come si suol dire,
prese con le molle. Alla stregua, comunque, di spunti critici per la
discussione.
Ma prima di addentrarci in un’analisi
più specifica occorre fare qualche considerazione di carattere
generale, di tipo più propriamente “politico-scolastico”. E’ altrettanto indubbio che sulle motivazioni di carattere pedagogico-didattico che stavano alla base della costituzione dei comprensivi hanno indubbiamente finito per prevalere quelle spinte di tipo amministrativo (razionalizzazione della rete scolastica) che hanno pur sempre rappresentato un elemento altrettanto importante, se non determinante. Detta in altre parole. Se all’inizio si è registrato in molti casi un forte interesse da parte di genitori e insegnanti verso questa nuova organizzazione scolastica che veniva vissuta come qualcosa che poteva garantire una più efficace continuità educativa e che rappresentava una vera e propria innovazione didattica, ora il comprensivo appare più come una soluzione – di tipo amministrativo, appunto – ai problemi del dimensionamento scolastico. Non è un caso infatti che a Milano l’ultima tornata di comprensivi attuata dal Comune nell’ambito del piano di riordinamento della rete scolastica abbia incontrato non poche resistenze e qualche contrarietà proprio da parte degli organi collegiali di alcune delle scuole interessate. Non solo, ma mentre in molti piccoli comuni dell’hinterland il comprensivo ha una sua “coerenza” fisiologica aggregando la scuola dell’infanzia, quella elementare e la media di quell’ambito territoriale, diversa è la situazione nei comuni più grandi, per non dire di Milano città, ove l’ambito territoriale è più sfumato, indefinito e dove convivono insieme, nello stesso quartiere, nella stessa “zona”, più scuole elementari e più scuole medie. Qui è più difficile sentirsi “scuola di comunità” perché più complessi, più labili sono i processi di identificazione con il territorio. Non sempre, infatti, si tratta di aree territoriali omogenee, e non sempre i flussi di alunni sono lineari e continui.
Ma diamo uno sguardo critico
all’interno del comprensivo e vediamo cosa succede. Accanto ad
alcune scuole ove si è realizzato un rapporto positivo fra i docenti
dei vari ordini, una certa integrazione delle attività, ove si è
affermato dunque un “progetto educativo di scuola” come risultato di
un lavoro comune, ve ne sono diverse altre ove questa integrazione
non si è affatto realizzata e scuola elementare e media convivono
all’interno della stessa istituzione scolastica come “separati in
casa”. Di fatto. Sul piano strutturale. Abbiamo sempre sostenuto (fin dall’avvio dei comprensivi e a maggior ragione ora) che vi sono alcune condizioni indispensabili per il buon funzionamento degli I.C. Sottolineiamo di nuovo, come punti critici, alcuni “requisiti necessari”: ● dimensioni ottimali. Le dimensioni, il “numero degli alunni”, ai fini di un efficace funzionamento dell’IC, non sono una variabile irrilevante, ininfluente: la complessità dell’IC richiederebbe uno standard non superiore a 700-800 alunni. In alcune situazioni, nell’area milanese, si è superato abbondantemente il tetto dei 900 alunni previsto dal Regolamento (I.C. con 1200-1400 alunni e 130 docenti!), creando “mostri” organizzativi di difficile gestione, dalle proporzioni più simili ad aziende sanitarie locali che ad istituti scolastici. In questi casi si finisce per pregiudicare le possibilità di una efficace comunicazione inter-professionale, di relazioni positive tra i docenti e di lavoro comune. Il dato quantitativo finisce per soffocare quello “qualitativo”, di un corretto e “sostenibile” funzionamento degli istituti scolastici ● dirigenza e staff di collaboratori. La presenza, stabile, di dirigenti scolastici autorevoli e culturalmente attrezzati, affiancati e supportati da figure di staff (semiesoneri) indispensabili per garantire una gestione unitaria e l’esercizio di una “leadership diffusa” ● formazione iniziale e in servizio (aggiornamento dei docenti su temi quali la programmazione didattica, il curricolo unitario, la valutazione, il lavorare insieme, ecc.) ● organico funzionale di istituto. Occorre avere tempi e spazi per poter far lavorare insieme i docenti dei diversi ordini di scuola. Tempi per la programmazione comune (se si vuole costruire un curricolo unitario che non resti sulla carta). Possibilità di far interagire i docenti nelle classi e nei “laboratori” (il famoso “prestito professionale” per cui ad es. i docenti di ed. musicale e di ed. motoria intervengono nelle classi di scuola elementare, ma anche l’”utilizzo integrato” di docenti ad esempio nelle classi quinte, anno di saldatura, ecc.). In altri termini, l’organico funzionale non può che essere un organico arricchito, potenziato, tale da consentire di gestire in modo flessibile gli orari e le attività (disponendo di risorse professionali, quindi di ore in più e non di ore in meno – vedi ad esempio gli “spezzoni” orari e/o le famose compresenze! – in organico). Il contrario, purtroppo, di quanto si sta profilando ora all’orizzonte…
E’ evidente che se queste condizioni
non si danno il comprensivo altro non sarà che un comprensivo al
ribasso, ove ciascuno (dei due ordini di scuola) va per conto suo,
senza alcuna reale possibilità di interazione e integrazione
recipoca.
In conclusione, a me pare che – sul
piano generale – i comprensivi vivano attualmente una situazione di
stallo. Sono per così dire in mezzo al guado. Hanno perso la loro
spinta propulsiva proprio perché sono stati, in un certo senso,
lasciati a se stessi, abbastanza trascurati dalle politiche
scolastiche delle ultime amministrazioni. In termini di assegnazione
di risorse, di supporti formativi. In termini di prospettiva, di
respiro strategico. “Un manifesto per gli istituti comprensivi – Le 10 tesi di Sestino” |