Università

La cacciata dei baroni

Università con i conti in rosso, via tra le proteste
un migliaio di professori settantenni

Andrea Rossi La Stampa 23.2.2009

TORINO
Là dove nessuna riforma ha osato (o potuto) addentrarsi sono arrivati i conti in rosso. E così, un migliaio di professori universitari prossimi ai 70 anni si è visto recapitare una lettera: il 31 ottobre andrete in pensione. Stesso discorso per gli over 70 che avevano ottenuto una proroga di due anni. A casa pure loro.

Il maxi esodo dei «baroni» - e di ordinari, associati e ricercatori - in tre anni potrebbe svuotare gli atenei italiani. L’Università rischia di perdere circa 4 mila ordinari, quasi uno su quattro. Colpa dei bilanci. E di un articolo della legge Tremonti che ha smontato il meccanismo che consentiva di ottenere, a 70 anni, la proroga automatica di due anni. «Prima ci dovevamo giustificare se rifiutavamo una richiesta; ora dovremo farlo se l’accettiamo», spiega il prorettore della Statale di Milano, Dario Casati. Per evitare accuse di favoritismi, la maggior parte delle università ha deciso: tutti a casa, sull’onda dell’indicazione della Conferenza dei rettori. «Rischiamo di restare oltre il 90% nel rapporto tra stipendi e finanziamenti fino al 2017. Solo così torneremo ad assumere entro il 2011», spiega, a Trieste, il rettore Francesco Peroni. Stesso discorso a Firenze, Genova, Pisa, Bologna, Palermo, Milano e in quasi tutti i grandi atenei.

La manovra potrebbe far risparmiare 6-800 milioni di euro solo con gli ordinari. Ma negli atenei ha scatenato la rivolta. «Siamo stati discriminati, cacciati dall’oggi al domani». E giù decine di ricorsi ai Tar (Roma, Milano, Firenze): tutti bocciati. Tanti rettori la pensano più o meno allo stesso modo. E - conti permettendo - potrebbero concedere la proroga a qualcuno. Ma a chi? Alcuni hanno chiesto ai dipartimenti di indicare i “senior” considerati insostituibili. Il risultato? Tutti necessari, ovvio. Così il numero uno de La Sapienza di Roma, Luigi Frati, che potrebbe privarsi di 270 docenti, mette le mani avanti: «Ho chiesto collaborazione alle facoltà per individuare le eccellenze scientifiche. Altrimenti dovrò mandare via tutti».

Per qualcuno l’esodo è la grande occasione per svecchiare assumendo docenti e ricercatori giovani. Difficile. Il caso di Torino è emblematico: a Medicina è in atto una guerra sotterranea tra settantenni che non vogliono perdere il posto, e associati che sognano di scalzarli. A 60 anni. Il pensionamento di massa non sembra la premessa di un ricambio generazionale. La legge Gelmini ha bloccato i concorsi, compresi quelli banditi, scatenando un’ondata di ricorsi e lo stop alle assunzioni. «Dal bando di concorso a quando il posto viene assegnato passano 20 mesi. Significa che almeno per i prossimi due anni nessuna università assumerà», spiega Franco Indiveri, docente alla Facoltà di Medicina a Genova.

L’esodo dei «baroni» lascia perplessi persino i loro più accaniti avversari. Docenti come Tommaso Gastaldi, associato di Statistica a La Sapienza: «L’effetto sarebbe positivo se ci fosse un vero progetto di ringiovanimento...». E un altro irriducibile avversario del baronato, Giovanni Grasso, ordinario di Anatomia a Siena: «Tanti corsi dovranno chiudere».

Bene, direbbe qualcuno, visto che negli ultimi anni si sono moltiplicati. Troppo semplice. Paolo Gianni, docente di Chimica a Pisa e segretario del Comitato nazionale universitario, spiega che gli atenei «hanno già razionalizzato, ma sulla base di un corpo docente che ora verrà molto ridimensionato. Così salta tutto».

Tutto tranne, forse, proprio i «baroni». Che perderanno la cattedra e - per i medici - la carica di primario. Ma non alcuni privilegi, soprattutto il diritto, per due anni, a far parte delle commissioni nei concorsi, la vera fonte di potere, dove un docente di peso può decidere avanzamenti di carriera e assunzioni.