Il voto di condotta, un atto educativo

di Giuseppe Adernò, Pavone Risorse 24.2.2009

A commento della “Lettera aperta al Ministro dell'Istruzione” scritta dalla Prof.ssa Serafina Gnech (per il  Gruppo Professione Insegnante), sento il dovere di portare l’esperienza vissuta in questi giorni, avendo registrato gli scrutini del primo quadrimestre e per la prima volta con i voti in 24 anni di presidenza. Riprendendo il mio precedente intervento “Pagelle e voti” , mi soffermo sul voto in condotta, per il quale non trovo alcuna limitazione o paletto nelle disposizioni ministeriali.

Il nuovo percorso valutativo tramite voto, pur con tutte le riserve dei pedagogisti e docimologi, raggiunge in maniera diretta le famiglie e stimola gli alunni ad assumersi delle responsabilità personali in merito agli esiti  conseguiti. Se questi saranno i frutti di tale provvedimento, ben venga.

La valutazione della condotta anche se assume come discriminante per la bocciatura “il cinque” non significa che non si possano utilizzare altri voti.  Mi sembra, comunque, poco “educativo, come richiede la professoressa Gnech, invocando l’autonoma professionale, scandire e “legiferare” le pene relative alle diverse nefandezze  e stravaganze  compite da alcuni alunni, i quali sono da considerarsi “poco e per nulla studenti” A mio parere il vero educatore non dovrebbe avere bisogno di tali strumenti e l’autorevolezza professionale dovrebbe essere già sufficiente per ridimensionare alcuni comportamenti. Anche la scala ridotta che alcuni docenti  adottano per il voto di condotta, articolando la classe in tre fasce dal 7 al 9 con alcuni segni di distinzione per i meritevoli eccellenti anche nel rendimento scolastico, risponde ad una logica di differenziazione e progressività tra il primo ed il secondo quadrimestre che non prevede l’articolata elencazione della varietà di altezza dei calci  dati ai compagni o  l’intensità aggressiva  dei pugni o delle parolacce adoperate, né la quantificazione dei danni materiali arrecati all’istituzione scolastica  (7 se rompe il vetro, 6 se rompe una porta, 5 se rompe il bagno).

Ad una società ineducata, nella quale il relativismo si manifesta anche con eccessiva libertà di linguaggio e con i gesti di cattiva educazione risponde in maniera ferma e decisa una scuola che educa e istruisce, che forma cittadini onesti ed impegnati nella costruzione del proprio progetto di vita. La scuola  non dovrebbe prevedere la necessità di tali interventi sanzionatori, e dovrebbe seguire altre strade, ma spesso gli studenti reclamano solo  i diritti, garantiti dallo Statuto degli studenti e spesso  trascurano i doveri,  non tenendo conto di alcuni principi basilari del vivere civile.  Basta con il buonismo, che perpetua delle situazioni di disagio e non produce alcun effetto, mentre il “voto in condotta”  comincia a dare alcuni frutti e costituisce un efficace deterrente Ecco perché il consiglio di classe nell’assegnare  cinque in condotta dovrà essere in possesso delle necessarie motivazioni., Nulla vieta che si possa dare 2 o 3 in condotta se si ritiene,  ma tali voti hanno la stessa efficacia del cinque: la non ammissione alla classe successiva.

Lo studio della “Cittadinanza e Costituzione” sin dai primi anni di scuola, dovrà tendere anche a questo traguardo di formazione in risposta alla maleducazione imperante e diffusa.

I fatti di cronaca fanno registrare dei comportamenti ritenuti assurdi ed inconcepibili  che si verificano, purtroppo, nelle aule scolastiche. Non c’è tolleranza, ogni desiderio si trasforma in diritto; il delitto è considerato un gioco e poi si arriva ai casi estremi come quello accaduto al maestro di violino di Chioggia accoltellato alle spalle da uno studente  tredicenne a seguito di un rimprovero, o ancora, ma forse senza intaccare il voto in condotta, il caso del tredicenne  inglese divenuto papà, con i risvolti della ricerca del DNA del nascituro, perché altri ragazzi avanzano diritti di paternità sulla compagna divenuta  mamma, a quindici anni . In questi casi-limite, nei quali spesso prevale la logica del “branco” , il vuoto del piacere, le vane emozioni, le esaltanti “bravure” da inviare su “you tube”, il problema non è certamente  il voto in condotta, ma il destino di un giovane che vede già segnato il suo domani. Alle spalle del giovane studente che va in carcere o che trova strette ed inadeguate  le aule di una classe, o che deve assumersi delle responsabilità troppo grandi rispetto alla sua età, occorrerebbe una famiglia attenta e vigile che,  invece, risulta   assente o latitante ed una scuola  di professionisti educatori che sentono vivo il bisogno professionale di “non perdere nessuno di quelli che gli sono stati affidati”.

I pedagogisti di un tempo adoperavano delle regole d’oro: ragione, religione, amorevolezza, testimonianza e responsabilità. Fare un bel cocktail di queste qualità professionale è impegno di ciascun docente  e di ogni genitore e se restiamo tutti, docenti e genitori uniti e convergenti nella ricerca del vero bene dello studente- cittadino i nostri sforzi , il nostro impegno professionale  non sarà del tutto vano e non sarà necessario che il Ministro metta o tolga dei paletti.

L’autonomia scolastica e professionale come tutte le cose di valore  deve essere “amata col cervello e pensata col cuore” Pensare col cuore l’autonomia significa andare oltre la “lettera” della norma e conseguire  l’obiettivo  alto e nobile, adottando tutte le strategie funzionali e possibili, in relazione ai bisogni specifici. La regola è  certamente una guida, ma siamo noi, tutti e ciascuno che, interiorizzandola come norma, la rendiamo viva e concreta e non solo nella ratio.  Anche il voto in condotta,  come la valutazione quadrimestrale è un atto educativo e non solo burocratico e formalistico. Sta a ciascuno di noi, operatori scolastici, dare anima e vita alle cose che facciamo, perché ci crediamo. Questa non è autarchia, né risposta a quello che alcuni chiamano “neocentralismo”, ma vero servizio e attenzione allo studente-persona che cresce e diventa uomo.

La regola pedagogica del “saper guardare tutti ed osservare ciascuno” non è scritta in alcun articolo di legge,  né fa parte dei regolamenti ministeriali, ma è la vera norma di comportamento dell’educatore  di professione.