Beata ignoranza!

di Pino Patroncini, ReteScuole 13.2.2009

Qualcuno dovrebbe decidersi a insegnare la Matematica al ministro Gelmini (ed anche qualche nozione di Matematica applicata alle norme di diritto pubblico).

Il primo errore di matematica lo commise quando, per arginare le critiche sul maestro unico e sulla scuola a 24 ore settimanali, promise che il tempo pieno non solo sarebbe stato mantenuto, ma anzi sarebbe cresciuto grazie alle risorse liberate. Con una previsione di taglio di 12.000 posti, che all’epoca si faceva e che oggi è lievitata a 15.000, per garantire le circa 34.000 classi di tempo pieno sarebbe stato necessario che ben 24.000 classi (oggi 30.000) su un totale di 136.000 andassero a maestro unico e a 24 ore settimanali. Se non che, applicandosi la cosa solo sulle classi prime, che sono circa 27.000, si può ben capire che questo significava che per il 90% delle classi prime (oggi per tutte!) sarebbe stato necessario andare a maestro unico e a 24 ore, e quindi addio tempo pieno e addio moduli. Questo spiega perché le insegnanti della scuola elementare, che l’aritmetica la conoscono, non si sono lasciate ingannare. E questo, oltre alle motivazioni politiche che la ispirano , spiega anche perché la Gelmini ha dato ordine di requisire tutte le ore delle copresenze in tutti e cinque gli anni.

Il secondo errore lo ha fatto quando ha dato ordine che il voto di condotta facesse media. Un voto dato collegialmente con questa logica aritmetica ha un peso specifico diverso a seconda del numero di discipline che costituiscono un corso. Peserà esattamente il doppio in una prima liceo scientifico dove le discipline sono otto rispetto alle terze di alcuni corsi dell’istituto tecnico agrario dove le discipline sono la bellezza di quindici o sedici. Ma la cosa più divertente è che il suo rigorismo, stile “mi-spezzo-ma-non-mi-piego”, finirà a carte quarantotto quando scoprirà che per essere ammessi all’esame di stato occorre avere la media del sei (DM 40/2007) e che perciò un 10 in condotta consentirà a un ragazzo con quattro insufficienze, magari su otto discipline, di entrare all’esame, mentre un otto in condotta per un ragazzo con tre insufficienze, magari su undici discipline, significherà la non ammissione e la bocciatura.

Il terzo errore lo ha commesso nelle dichiarazioni riportate oggi su alcuni giornali per cui coloro che hanno quaranta anni di servizio saranno obbligati ad andare in pensione. Da un lato dispiace che anche stavolta il Ministro abbia sbagliato i suoi calcoli sia perché molti insegnanti sarebbero disposti ad andare in pensione anche prima dei quaranta anni ( allora perché continuare ad insistere sull’innalzamento dell’età pensionabile per tutti e per tutte?) sia perché del ricambio ne potrebbero beneficiare i precari. Ma poi si sa che in realtà l’ostentato giovanilismo del Ministro cela soprattutto l’intenzione di “cambiare il sangue” a una categoria che il Ministro ritiene pregiudizialmente troppo sessantottina. Ed allora la cosa dispiace un po’ meno.
Comunque anche stavolta il Ministro sbaglia i calcoli: uno che ha 40 anni di servizio oggi deve avere cominciato ad insegnare almeno nel 1969. Ma per lo più quella generazione si porta dietro anni di precariato ( erano mediamente 4 tra gli immessi in ruolo del 1978, 6 tra quelli del 1982-84 e 8 tra quelli del 1991: tra i precari di oggi sono incalcolabili!) e questi anni di precariato hanno per lo più versamenti all’INPS che vengono ricongiunti e calcolati solo se lo richiede l’interessato. In aggiunta o in alternativa tutti o quasi tutti gli insegnanti delle scuole medie e secondarie superiori raggiungono i 40 anni grazie al calcolo degli anni di università, ma anche per questi bisogna chiedere riscatto e calcolo. In molti casi queste operazioni ( è il caso di Milano) vengono persino fatte solo al momento della pensione. Quindi in realtà l’anzianità ufficiale di cui può disporre il Ministro riguarda oggi ed a maggior ragione nei prossimi anni solo alcuni ultrasessantacinquenni e una minoranza di docenti, per lo più diplomati, che hanno avuto la fortuna di vincere un concorso all’indomani del loro diploma e non hanno anni di precariato alle spalle. Il grosso di quelli che andranno via lo faranno di loro volontà con le ricongiunzioni e i riscatti del caso, spinti più facilmente dall’insostenibilità dello sfascio che le misure tremontesche stanno producendo nella scuola che dai diktat sul pensionamento di Gelmini.

Ma non fa un po’ ridere questa gente che a parole dice voler far incontrare offerta e domanda, (sentita appena pochi giorni fa alla presentazione di una ricerca della Fondazione Agnelli per giustificare al posto delle graduatorie albi professionali dove i capi di istituto possano “pescare” ad libitum), che prima vuole alzare la pensione a tutti e taglia i prepensionamenti e poi cerca di obbligare ad andare in pensione? Lo dicano apertamente: così come vogliono assumere e licenziare chi pare a loro, vogliono mandare in pensione chi pare a loro e tenere chi pare a loro!

Con loro lavoro e pensioni cessano di essere diritti ma diventano concessioni, premi, punizioni.

E’ per questo che vogliono cambiare la Costituzione.