Nove in condotta
e una coltellata al professore

Elena Loewenthal, La Stampa 18.2.2009

Quando si hanno soltanto tredici anni, per pugnalare alla schiena il professore di musica non basta tenere in mano un’arma: bianca sì, ma letale. Non basta essere stati ripetutamente rimproverati perché «così proprio non va». E nemmeno aver premeditato l’assalto con tale rigore da entrare in classe armati di coltello sottratto alla cucina di casa. Non basta essere stressati (fino a non molti anni fa lo stress era un privilegio degli adulti, un mal di successo) dai compiti e dalle aspettative dei genitori e dalla quantità di ore che si passano a scuola. Che sono davvero troppe a ogni ordine e grado, perché in fondo tenerli in classe è una comodità per tutti: genitori indaffarati, organico scolastico. Coscienza collettiva, appagata a quanto pare dal principio che la quantità di tempo scolastico sia una garanzia educativa.

Per aspettare che il tuo insegnante di violino si giri a riporre lo strumento nella custodia e ficcargli il coltello dentro la schiena - com’è accaduto ieri a Chioggia - ci vuole un miscuglio di odio e rabbia e incoscienza e violenza difficile da districare. Scomodo per chi se lo porta dentro, e per chi da domani dovrà occuparsi di un tredicenne ovviamente non perseguibile a termini di legge. E, non certo ultimi, per quei due genitori che non più tardi di qualche giorno fa si sono visti consegnare una pagella decorosa, con tanto di nove di condotta.

Già, la condotta: questa sconosciuta. I criteri di valutazione quest’anno sono cambiati (anche se non in tutte le scuole: alcune hanno optato per la via della conservazione). Come? Non è facile a dirsi. Le disposizioni ministeriali prescrivono che il voto di condotta sia equiparato agli altri, in scala: un nove, dunque, dovrebbe valere moltissimo. Qualche assenza scriteriata basterebbe per un otto (che fino a ieri in condotta confinava con l’inaccettabile sette). Certo, nella griglia di valutazione che molte scuole hanno allegato alla pagella (con specifico riferimento al «nuovo» che avanza in condotta), la pugnalata alla schiena del professore non è contemplata, nemmeno con la peggiore insufficienza. In compenso ci sono parametri quali «attenzione costante», «comportamento maleducato», «interazione con i compagni». Istruzioni per l’uso alla mano, il genitore dovrebbe interpretare il voto.

Al di là dello sforzo ermeneutico, questa storia del voto di condotta svela una verità triste per tutti: è sempre più difficile conoscere i nostri figli. Ogni anno, ogni giorno che passa, qualcosa ci sfugge. E di fronte a un tredicenne normalmente diligente - nonché assiduo frequentatore dei corsi pomeridiani di violino - che tenta di ammazzare il suo insegnante, non siamo tanto esterrefatti e increduli, quanto rattristati. Rassegnati forse no, ma poco ci manca. Quel ragazzino non è un mostro. Anzi, sino a ieri era un tredicenne assolutamente normale. Potrebbe diventare un delinquente, ma anche no. Forse, per evitare la prima possibilità ci vorrebbe una punizione esemplare, come si diceva una volta. Che forse non arriverà, perché il supporto psicologico, come castigo, non è poi uno spauracchio colossale.

Ma al di là del destino che attende questo scellerato tredicenne partito da casa con il coltello in cartella, lo sgomento che la storia ci provoca nasce da una consapevolezza intima e profonda, quasi inconfessabile: chissà che anche noi con i nostri figli non stiamo rischiando di vivere un incubo così. Non li conosciamo mai abbastanza, ma soprattutto non sappiamo più come fare per decifrarli, per leggere loro in faccia, nei gesti, nel rumore dei loro passi, nel modo in cui masticano la bistecca e ti guardano di sottecchi, che cosa hanno in testa e nel cuore. E non ce lo dicono.