SCUOLA
Berlinguer (Pd): intervista a Luigi Berlinguer, il Sussidiario 4.12.2009 L’appello lanciato dall’onorevole Luigi Berlinguer sulla collaborazione fra maggioranza e opposizione in tema di istruzione riguarda numerosi aspetti. Dalla governance delle università alla riforma dei licei. L’importante è, per l’eurodeputato, evitare un muro contro muro ideologico che comprometta le iniziative virtuose a favore dello sviluppo della ricerca e dell’innovazione del Paese.
Onorevole Berlinguer, lei ha lanciato un appello affinché sull’istruzione nazionale maggioranza e opposizione instaurino una virtuosa collaborazione. Qual è la sua posizione in merito alla riforma Gelmini della scuola e dell’università? In forza di quali elementi ha formulato questo suo richiamo?
Per rispondere a questa domanda devo
prima fare riferimento a quelli che sono i maggiori problemi che
affliggono l’istruzione italiana, in particolar modo l’università.
In questo momento infatti l’università e la ricerca stanno soffrendo
per via di una trasformazione che è profonda e che non tutti vivono
positivamente. Le questioni principali sono tre: prima di tutto i
finanziamenti, ma li lascio per ultimi nel mio discorso, poi due
aspetti strutturali: come sono governate le università e la
valutazione dei risultati. Diciamo che nel disegno di riforma della
Gelmini ho trovato elementi importanti di cambiamento e
miglioramento di questi tre nodi principali, elementi ai quali
sarebbe controproducente opporsi per ragioni politiche o
ideologiche. Io sono convinto che un governo ragionevole e
un’opposizione ragionevole su questi temi sarebbero d’accordo.
Appunto, il primo tema. Sono convinto
che l’università senza autonomia non possa vivere, su questo non ci
piove. Ma occorre che gli spazi concessi sulle decisioni di
governance delle università siano dotati di criteri
responsabilizzanti. L’autonomia diventa infatti, non per tutti ma
per alcuni, occasione per approfittare della propria posizione. Di
fenomeni negativi in tal senso se ne sono visti: nella spesa, nei
concorsi, nella moltiplicazione delle cattedre, nei corsi decentrati
o altro.
Tali storture nascono dal fatto che si
concepisce l’autonomia da parte di alcuni, e così è oggi nella
normativa che è venuta crescendo, come il regno di coloro che sono
dentro l’università, e i suoi organi come puramente rappresentativi
dei diversi corpi accademici. L’università è sì dei docenti, ma è
anche degli studenti, è anche della società. In questa direzione non
posso che approvare la distinzione fra Senato accademico e Consiglio
di Amministrazione prevista dalla riforma Gelmini. Posso aggiungere
che tale iniziativa c’era nelle azioni intraprese dal centrosinistra
di ieri, era anche nelle mie personali intenzioni e quindi non è
appannaggio di una sola forza politica. Portarla a compimento sarà
un’impresa durissima. Per questo occorre una collaborazione fra i
diversi schieramenti politici. È difficile che ci riesca una sola
forza politica.
Intendiamoci, non sto dicendo che
maggioranza e opposizione dovrebbero convergere su tutto il problema
dell’istruzione in Italia. Dico solo che per cambiare gli organi di
governo nelle università ci vuole un potere politico normativo forte
perché si tratta di misure impopolari che troveranno molti
dissenzienti i quali scateneranno una battaglia durissima, andranno
sui giornali, diranno che si vuole cancellare l’autonomia in toto e
non i suoi difetti. Sia poi chiaro che la convergenza invocata
richiede soprattutto uno sforzo del governo non dell’opposizione. Il
governo deve essere aperto ad una discussione preliminare con
l’opposizione su questo argomento e sollecitare l’apporto
dell’opposizione.
Se cercavamo un difetto l’abbiamo
trovato. Penso che un limite della riforma Gelmini sia quello di
delegare la moralizzazione dell’Università a una serie di strumenti
centralistici ed ispettivi che rincorrono le varie magagne del
sistema. Credo che sia una pia illusione. Bisogna affidarsi alla
fisiologia della realtà universitaria ovvero al suo mercato interno,
alla competizione fra atenei, soprattutto pubblici. In questo
discorso subentra la valutazione che dovrebbe attenersi soprattutto
al fatto che l’autonomia venga osservata continuamente per quanto
riguarda i risultati ottenuti. La valutazione deve essere sia
interna sia esterna. Io iniziai a costituire organi esterni come l’Anvur.
Ora la Gelmini lo rilancia e trovo che questo sia un processo
positivo. E a quelli del centrosinistra che se ne lamentano dico: si
tratta di uno strumento che avevamo concepito noi. È
controproducente andare contro solo perché riproposto dal
centrodestra.
Vorrei approfittarne per lanciare un
altro appello. Oggi sui finanziamenti c’è una cifra che costituisce
il simbolo del nostro fallimento. In Italia, meno dell’1 per cento
del Pil viene speso per la ricerca. La giustificazione è la crisi. I
tedeschi si trovano forse meno in crisi di noi? Non direi. Eppure
Angela Merkel ha tagliato ovunque aumentando però la spesa per la
ricerca. Sarkozy lo ha già fatto col credito di imposta. Gli Stati
Uniti stanno puntando tutto sulla ricerca. Noi oggi siamo dietro
alla Tunisia. Questa sì che è una cosa che mi fa arrossire. È vero
che ci sono sprechi, ma sono una piccola cosa. Si puniscano gli
sprechi ma non si taglino i fondi laddove servono. Fino a pochi anni
fa l’Italia ricopriva posizioni importanti nella ricerca
internazionale. Mi auguro che presto torni ai livelli di un tempo.
In effetti per il secondo ciclo non
sono uscite ancora indicazioni curriculari chiare. Tutto questo
movimento rappresenta, è vero, qualche dinamicità ma anche qualche
malessere. Si è partiti con il piede sbagliato. Si è guardato in
primo luogo al bisogno di effettuare tagli e solamente in un secondo
momento si è pensato a reinserire qualche riordino all’interno della
scuola. Il problema della riduzione dei finanziamenti inoltre non
solo è visto come riduzione di risorse ma è considerato anche come
la sottovalutazione del valore della scuola e di chi ci opera. In
questo il Governo ha sbagliato totalmente a comunicare il messaggio
della propria riforma che qualche elemento positivo lo contiene.
Direi che fino ad ora, noi tutti,
tutti i governi succedutisi, abbiamo realizzato troppe riforme di
struttura e poche di contenuto. Il bisogno delle scuole consiste
principalmente in una revisione curriculare profonda perché i
saperi, e il modo soprattutto con cui vengono trasmessi, sono
invecchiati. Oggi la cultura moderna e l’incedere del progresso
scientifico fa sì che il 70% degli apprendimenti dei ragazzi avvenga
di fatto lontano dalla scuola. Questo significa che la scuola non
risponde più alle esigenze culturali attuali. Sono del parere che il sistema scolastico debba essere unitario e che la funzione educativa è pubblica, chiunque la eserciti, anche le scuole paritarie. Ma i governi e gli apparati ministeriali non hanno attuato per nulla quella che è stata la mia azione in tal senso. Né i governi di centrodestra, che forse non hanno la cultura per attuarla fino in fondo, né quelli di centrosinistra, dove prevale la tesi che ciò che è privato è cattolico e quindi non va bene a prescindere. La priorità della natura pubblica dell’insegnamento e anche il bisogno costituzionale che lo stato assicuri scuole pubbliche non si mette in discussione, ma è anche necessario che il processo di rinnovamento di cui parlavo prima comprenda il complesso della scuola sia pubblica sia privata. La Costituzione offre delle soluzioni in questa direzione, ma non nel modo in cui è stata interpretata fino ad adesso.
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