Legge 104/92.
La realtà dietro le mistificazioni

di A. Lalomia, Orizzonte scuola 9.12.2009

Le polemiche, che vengono riportate con una certa frequenza da alcuni giornali, circa l’inconciliabilità tra la condizione di disabile e lo svolgimento di un’attività lavorativa (1) non mi sorprendono più di tanto.

Ogni volta che leggo tali notizie, devo prendere atto però che questa deformazione mentale (perché di ciò si tratta, in sostanza) rimane ancora forte, rigogliosa e ben radicata.

È triste constatare che questo Paese da anni, ormai, sta esprimendo un ‘pensiero comune’ (al di là della retorica e delle melensaggini più o meno ufficiali) che evoca scenari da Germania nazista, malgrado l’attività di associazioni (a partire da quelle collegate in vario modo alle chiese) che operano a favore di quanti rientrano nella categoria.

A quanto pare, il disabile (2) - e comunque il portatore di handicap grave (anche soltanto fisico) -, per un certo tipo di mentalità comune, dozzinale, plebea, superficiale, incolta e talvolta anche becera, squallida e calunniatrice -quella, per intenderci, di chi conduce la ‘vita estetica’, da bravo consumatore e teledipendente con la zucca vuota, che si nutre dell’effimero, dei giochi a premio, delle banalità giornalistiche, del moralismo usa e getta, dei talk show da basso impero, dell’edonismo da grande magazzino o anche griffato, dei pettegolezzi e dei ‘si dice’- è poco meno di un peso per la società, da compatire, da sopportare e forse anche da eliminare (come nella Germania di Hitler, appunto).

Vale forse la pena ricordare che uno dei più grandi uomini della Storia contemporanea, Franklin Delano Roosevelt (trentaduesimo Presidente degli Stati Uniti, dal 1933 al 1945, con il record di quattro mandati consecutivi, l’unico caso nella storia americana), era un disabile a tutti gli effetti, perché privo della possibilità di muoversi in modo autonomo, non era autosufficiente e aveva quindi bisogno di essere assistito in modo continuo (3) .

La grave limitazione non ha impedito però a questo campione della democrazia universale di imprimere al suo Paese la svolta che ha permesso agli Stati Uniti di superare la crisi del 1929 e di impegnare tutte le sue energie nella sconfitta delle dittature che avevano scatenato la seconda guerra mondiale, creando le premesse per una pace che in buona sostanza è durata per decenni.

Se Roosevelt fosse ancora vivo e si trovasse in Italia, egli sarebbe oggetto di attenzioni particolari da parte di qualche ‘micro-pensante’ o di qualche famoso uomo politico, che è male informato dai suoi stessi collaboratori, i quali gli fanno vedere impostori ovunque.

Perché sì, insomma, è chiaro: per ‘le masse’ (ma anche per certi uomini politici di primo piano) un disabile non può e non deve fare nulla, se vuole percepire le cifre ‘favolose’ che lo Stato gli riserva. O meglio: il disabile deve fare solo il disabile, cioè deve rimanere passivo, deve trasformarsi in ameba, in parassita e accettare con gratitudine l’elemosina che gli viene versata (quando gli viene versata). Altrimenti, scusate, che disabile è ?

Al di là di tutto, esistono alcuni aspetti, in questa materia, che andrebbero valutati con grande attenzione e con il dovuto rigore (4) . Cercherò di esaminarli molto brevemente, senza alcuna pretesa di completezza, sperando di poter tornare quanto prima sul tema.

1. Contrariamente a quanto si pensa di solito, la Legge 104/92 -ed altre che si collegano alla stessa (per esempio la n. 388/00)- sono rimaste in larga misura disattese e inapplicate, soprattutto nei punti che prevedono impegni finanziari per i portatori di handicap e il sostegno da parte degli enti locali (in particolare i comuni), che dovrebbero mettere a disposizione degli stessi disabili (e non lo fanno) strutture di assistenza domiciliare decorose, con personale qualificato e sensibile (non certi infermieri villani e aggressivi), nonché creare servizi di trasporto individuale a costo zero (e in ogni caso molto bassi e alla portata di tutti) per i disabili stessi e comunque per chi ha problemi di deambulazione, quantomeno per la mobilità finalizzata a motivi di lavoro.

Per non parlare degli sgravi fiscali, delle agevolazioni in materia di alloggio, di utenze domestiche (5) e soprattutto di farmaci e di terapie, agevolazioni che spesso non esistono, sono del tutto virtuali o prevedono iter burocratici lunghissimi, umilianti e che mettono a dura prova la pazienza e la salute degli interessati, i quali, ad un certo punto, logorati dal ginepraio di norme, normicchie e normiciattole, dall’incompetenza e dall’inciviltà di certi impiegati che evidentemente contano sulla mancanza di controlli nei loro confronti, gettano la spugna e preferiscono mettere mano al portafoglio e ricorrere ai privati (privandosi magari di qualche bene che potrebbe gratificarli),

E non mi sembrano certo da trascurare le barriere architettoniche ancora presenti all’interno degli stessi edifici scolastici (per limitarci soltanto a quest’ambito), privi talvolta di ascensori (se esistono, sono spesso guasti) che consentano al personale e agli allievi di raggiungere i piani superiori, dove hanno le loro classi o le loro postazioni di lavoro (se si tratta di dipendenti ATA). D’altronde, gli ascensori, in certe scuole rappresentano quasi un lusso, visto lo stato immondo, di degrado nelle sue forme più infime in cui sono ridotti certi locali, a cominciare dalle aule (malgrado le norme che sono state recentemente emanate dagli organi competenti in materia di prevenzione dell’influenza A, norme che non possono certo essere rispettate se un piccolo ambiente che al massimo può essere adibito a deposito per materiale da consegnare alla nettezza urbana viene trasformato in un’aula dove viene ‘stipata’ una ventina di allievi, i quali non hanno neanche lo spazio necessario per scrivere senza disturbare il compagno accanto).

Il personale, poi, spesso non è facilitato in alcun modo, malgrado la riduzione permanente (e talvolta assai alta) della capacità lavorativa. Una Commissione medico-legale stabilisce che la tua capacità lavorativa è ridotta in misura permanente ormai, poniamo, al 20 % ? Non importa: devi lavorare come se ti trovassi in perfette condizioni fisiche e, anzi, devi rimanere a scuola, ovviamente gratis, per almeno un paio di ore in più rispetto al tuo orario.

Io non so se tutto questo, da un punto di vista giuridico, possa essere considerato legittimo e sarebbe auspicabile anzi che le autorità scolastiche superiori vigilassero attentamente per impedire situazioni del genere (anche per evitare possibili risvolti amministrativi). Sotto il profilo logico è senz’altro una mostruosità.

Non solo: talvolta nascono controversie circa ‘l’interpretazione’ dei permessi mensili previsti dalla L. 104, permessi che per legge non devono essere sottoposti ad alcun ‘placet’, trattandosi di una norma dello Stato che deve essere tassativamente rispettata sulla base della semplice comunicazione da parte dell’interessato, preferibilmente prima dell’inizio del suo orario di servizio quotidiano (ma non è detto che ciò sia sempre possibile, visto che certe patologie manifestano i loro effetti micidiali all’improvviso). Inoltre, in alcune scuole si sostiene che i permessi non devono essere computati in giorni, ma in ore, senza però chiarire in modo univoco a quanto devono ammontare queste ore. Insomma, si cerca di fare di tutto per spingere l’interessato ad agire di conseguenza, costringendolo a ricorrere al sindacato o ad uno studio legale.

2. Le suddette leggi -in particolare la 104- prevedono (almeno sulla carta) ulteriori provvidenze (di tipo economico) per chi rientra nella categoria, provvidenze che riguardano ad esempio l’acquisto di autovetture opportunamente modificate e che consentano a chi ha incapacità motorie permanenti di spostarsi sul territorio (v. gli articoli 26-28). Tali provvidenze rappresentano un contributo modestissimo rispetto al prezzo della vettura, ma non sono da buttare e comunque costituiscono un ulteriore segno del fatto che il disabile (se può e se vuole) ha pieno diritto di evadere dal ghetto in cui le sue infermità vorrebbero relegarlo.

Ancora: sempre la medesima Legge 104 parla di “Integrazione lavorativa” dei portatori di handicap, riconoscendo nel diritto al lavoro un diritto inalienabile dello stesso soggetto (cfr. gli articoli 18-22). Pari opportunità e completa integrazione sul luogo di lavoro, dunque, con le dovute tutele relative alla diminuzione della capacità lavorativa (v. sopra).

La stessa Legge 104, insomma, dichiara esplicitamente che il disabile -e comunque chi raggiunge un certo livello di invalidità permanente- può condurre un tipo di vita difforme rispetto a quello a cui le sue patologie sembrerebbero costringerlo e soprattutto che può (se le sue condizioni fisiche glielo consentono e se lo vuole) lavorare. L’incompatibilità tra le due situazioni esiste soltanto nella mente di chi non conosce le leggi o che specula sulle disgrazie e sulle sofferenze degli altri, con un cinismo squallido che rivela la malafede, la meschinità e il razzismo di tali individui (6) .

Queste persone avrebbero bisogno di rimanere per un certo periodo in alcuni centri per la riabilitazione fisica, in modo da rendersi conto della spaventosa galleria di tragedie e di casi umani che si trovano all' interno e per capire che cosa sia veramente la sofferenza, l’angoscia straziante di chi non può neanche parlare per esprimere con la voce la sua disperazione, che lascia intuire attraverso gli occhi sbarrati per il terrore.

Sono certo che dopo una permanenza in posti del genere (dove avrebbero modo anche di constatare la superficialità, l’incompetenza, l’arroganza, il cinismo, la malvagità di certi infermieri e infermiere e di una parte del personale medico), cambierebbero idea (a meno che non siano del tutto refrattari ad ogni sentimento ed emozione, nel qual caso non dovrebbero neppure essere considerati appartenenti al genere umano).

3. Il disabile - e in ogni caso chi necessita dell’aiuto più o meno continuo di qualcuno - vive questo stesso aiuto con grande tensione, spesso con vera angoscia, proprio perché si rende conto dell’impegno supplementare (anche in termini economici) a cui devono far fronte i familiari e nel complesso le persone che gli prestano assistenza. Come tutti coloro i quali soffrono di patologie gravi, egli possiede una sensibilità particolarmente sviluppata e comunque infinitamente più acuta delle persone cosiddette normali. Sapere che chi lo assiste deve preoccuparsi di legittimare di continuo i suoi ‘benefici’, accresce ancora di più la sua ansia e la sua inquietudine, aumentandone il disagio e il dolore. Spesso è proprio per questo motivo che il disabile, se si trova nelle condizioni di farlo, cerca di lavorare. Se non può, si augura che il suo tormento -e le umiliazioni che deve subire chi lo accudisce- cessino al più presto, invocando quasi la discesa dal cielo di un angelo che lo guidi per l'ultimo viaggio, quello verso la vita eterna.

Tutto questo, è chiaro, non ha alcun peso per gli sciacalli e le iene che si divertono a parlar male di loro.

4. I ‘famosi’ tre giorni di permesso retribuito devono essere usufruiti mensilmente, mese per mese e non sono cumulabili, per cui, ad esempio, un docente che usufruisce di tali ‘benefici’ per l’assistenza ad un familiare, perde almeno nove giorni per a.s. (giugno, luglio e agosto), anche se, di fatto, almeno per la seconda metà di giugno e la prima di metà di luglio, spesso deve rimanere a disposizione della scuola.

Una situazione quasi analoga riguarda settembre, soprattutto in quelle regioni dove l’attività didattica vera e propria inizia nella seconda metà del mese. Si arriva quindi ad un totale di circa dodici giorni non usufruiti e completamente persi, in spregio ad ogni più elementare principio giuridico.

Senza contare i mesi con festività particolarmente importanti (per esempio Natale e Pasqua), che rendono inutile il ricorso a tale ‘beneficio’ e le altre occasioni in cui lo stesso docente preferisce chiamare personale paramedico privato, piuttosto che assentarsi dal lavoro. La non cumulabilità di questi permessi, rappresenta per me un vero e proprio scandalo, un insulto alla coscienza civile e morale, una vergogna nazionale, un marchio di infamia, la prova inconfutabile del grado di insensibilità di una parte almeno della nostra classe politica, qualcosa che pone l’Italia sullo stesso piano dei paesi più arretrati e squalificati sotto il profilo sociale ed etico.

Alla luce di questa situazione i soggetti che si divertono a dire che ‘i centoquattristi’ sono dei privilegiati, meriterebbero di essere messi alla gogna sulla pubblica piazza.

Così come trovo indecente il fatto che ancora non si sia provveduto a ‘normare’ in modo rigoroso ed efficace la questione relativa alle cosiddette ricevute che rilasciano, quando le rilasciano, i tassisti (lacerti cartacei con pubblicità squallide e con scarabocchi quasi sempre illeggibili, che comunque spesso non indicano né la compagnia di appartenenza, né il numero della vettura, né la data e l’orario di partenza e di arrivo, né il percorso, mentre l’importo non corrisponde alla realtà). Possibile che uno scandalo del genere non solleciti l’intervento delle autorità ? Possibile che chi tuona quasi ogni giorno contro le evasioni fiscali, non si faccia carico almeno di un’iniziativa parlamentare che ponga termine a questa vergogna ? Solo in un paese del quarto mondo possono esistere situazioni del genere. Eppure, basterebbe obbligare tutti i tassisti a permettere di pagare la corsa tramite POS e applicare all’interno di ogni vettura delle semplici macchinette.

Forse, alle persone che ‘si stupiscono’ che un disabile possa lavorare, sfugge il piccolo dettaglio che lo stesso, quando deve spostarsi, deve servirsi quasi sempre proprio di questi mezzi, talvolta a suo rischio e pericolo (8) .

Ebbene, oltre a questo, non deve neanche avere il diritto di pagare con il POS e di ottenere una ricevuta decorosa ? Sono questi gli aspetti che dovrebbero indignare e richiamare l’attenzione delle forze politiche, sindacali (e non solo) per una pronta ed efficace soluzione, non il fatto che un disabile lavori.

5. Nel 2003 è stato assegnato proprio all’Italia il “Franklin D. Roosevelt International Disability Award”, premio attribuito ogni anno dall’ Istituto Franklin and Eleonor Roosevelt al paese che ha compiuto importanti progressi nell’integrazione sociale dei disabili.

Alla luce di tale dato, credo che non esistano più parole per giudicare luoghi comuni come quello che ho citato all’inizio di questo testo.

 

Note

(1) Mi riferisco in particolare agli articoli relativi ai permessi per assistenza ai disabili, con speciale riguardo a casi di docenti che sono oggetto di 'segnalazione' da parte degli stessi colleghi perché, a quanto pare, la persona per la quale usufruiscono dei permessi mensili, ‘gestisce’ un’attività imprenditoriale. La lettura di notizie come questa produce un effetto del tutto speciale quando le stesse appaiono su giornali di sicura autorevolezza. (V. anche la nota n. 4.) Per un’ampia, completa, affidabile ed aggiornata informazione sui diversi aspetti della disabilità, consiglio di visitare www.handylex.org/ . V. anche www.disabili.com/ , www.fishonlus.it/ , www.superabile.it/ , www.superando.it/ .

(2) Che in realtà è un soggetto con un alto grado di invalidità civile, che si esprime in diverse tipologie di handicap grave, che a sua volta può arrivare fino all’inabilità vera e propria.

(3) Sull’argomento, cfr. “Legge 104-92 e Franklin Delano Roosevelt. Brevi riflessioni.”
(http://www.atuttascuola.it/collaborazione/lalomia/legge_10492_e_roosevel...).

(4) Con la precisazione che la fattispecie ricordata negli articoli su quei ‘casi’ non mi riguarda, perché non ho nessuno da accudire e non ricevo alcuna pensione riservata alle persone con disabilità. Trovo comunque singolare che fatti di questo tipo vengano presentati in modo così generico e quasi sensazionalistico, senza alcun commento -soprattutto da organi di stampa qualificati-, dando appunto l’impressione alla gente comune (tra la quale si annidano molti avvoltoi famelici, avidi di emozioni forti e di pettegolezzi e che gioiscono delle disgrazie altrui), che il disabile non possa e non debba lavorare. Senza contare che in alcuni articoli di cui alla suddetta nota n. 1 si parla di “gestire” (appunto) e di ‘organizzare’, il che vuol dire tutto e niente. In definitiva, non è detto che ci si trovi di fronte ad un abuso, che naturalmente andrebbe sanzionato. Fatto salvo quanto evidenziato nella nota n. 6, si può tranquillamente gestire un esercizio commerciale rimanendo sempre seduto. Qual è il problema?

(5) Quasi sempre, scrivere (con Raccomandata A.R., visto che ormai inviare un telegramma per telefono è quasi impossibile) alle compagnie che erogano servizi di utenza domestica non serve a nulla, perché queste società non si preoccupano neppure di rispondere. Tutto questo con buona pace delle tante Authority che ‘vigilano’.

(6) È evidente comunque che chi percepisce da anni sussidi economici relativi al suo stato di disabilità non può contemporaneamente svolgere un’attività incompatibile con lo stato di handicap riconosciutogli (se ti sono stati certificati gravi limiti nella deambulazione, non puoi certo giocare in una squadra di calcio normale) e che gli assicura appunto i suddetti sussidi. Per il resto, credo che l’ inconciliabilità sia relativa (se non nulla), perché dovrebbero essere valutati diversi fattori, a cominciare appunto dal tipo di lavoro e dal reddito percepito. Non bisogna mai dimenticare che gli aiuti economici concessi anche per casi di particolare gravità (pensioni, indennità, provvidenze, assegni e quant’altro) equivalgono a vere e proprie elemosine, a somme che non bastano neanche a far fronte alle spese sanitarie più comuni. In Italia, oggi, un disabile o un invalido civile che non sia benestante (con un patrimonio di centinaia di migliaia di €) e che non lavori non potrebbe vivere in alcun modo con un minimo di decoro senza l’aiuto (in primo luogo finanziario) dei parenti o degli amici. D’altra parte, io non vedo cosa ci sia di male se un disabile al quale è stata attribuita una pensioncina da quarto mondo e non ha altri redditi (o se li ha non sono sufficienti) si dia da fare, nel rispetto della legge, con qualche lavoretto compatibile con le sue problematiche. Se la legge non lo consente, allora è necessario cambiare la legge, aumentando ad esempio l’entità della pensione. Le leggi non sono immutabili: possono e, anzi, talvolta devono essere cambiate, con il mutare dei tempi e dei contesti storici.
Che strano Paese è questo. Prima si promuovono le crociate contro i ‘fannulloni’ -facendo peraltro di ogni erba un fascio e non prendendo in alcuna considerazione il telelavoro e poi non si accetta il fatto che un disabile lavori -anzi, spesso sia costretto a lavorare- sia pure in base alle sue possibilità.
Per inciso, con alcuni provvedimenti recenti si è sprecata un’occasione formidabile per ripristinare una situazione rispettosa di chi, usufruendo della L. 104, si assenta per malattia o per assistenza a familiari. Tutto questo alimenterà ancora di più il clima di sospetti e di insofferenza che già oggi esiste (soprattutto nell’ambiente di lavoro) verso chi usufruisce di questa legge, senza pensare al lungo ed estenuante percorso che bisogna seguire per poterla ottenere. Pochi sanno, ad esempio, che il riconoscimento di un alto grado di invalidità civile e l’accertamento dell’handicap grave -presupposti indispensabili per poter usufruire della 104- avvengono ad opera di una Commissione medico-legale che può essere composta anche da una decina di persone, a partire da medici specialisti e da esperti legali delle varie autorità competenti. Si rendono conto, le persone che (stra)parlano di ‘facilità’ con cui viene concessa la L. 104 dei rischi, a livello legale, a cui vanno incontro, persistendo nei loro comportamenti ostili.

(7) A pagamento, visto che su diversi servizi erogati dal SSN è meglio stendere un velo pietoso, malgrado il costo elevatissimo che questi stessi servizi hanno per i singoli cittadini: non per nulla l’Italia è il Paese dove il prelievo fiscale alla fonte è tra i più alti del mondo e in gran parte tale prelievo serve proprio a finanziare il SSN, che è quello che è (con le dovute, encomiabili eccezioni). E l’assistenza domiciliare pubblica, in alcune zone, è semplicemente vergognosa, con ‘infermieri’ villani, aggressivi e con medici che si limitano a guardare da debita distanza il paziente (senza neanche avvicinarsi, né tanto meno visitarlo, quasi si trattasse di un appestato) e a porgli domande di una banalità deprimente e offensiva nei confronti del paziente (“Come ti chiami ?”; “Dove sei nato ?” “In che anno ci troviamo ?”; “Che giorno è oggi ?”; “Io chi sono ?”).

Lo stato in cui si trova buona parte del SSN rappresenta un ulteriore motivo per chiedere l’abolizione del sostituto d’imposta, che falcidia senza pietà gli stipendi dei dipendenti della scuola (per limitarci solo a questo comparto).
È normale che si tolga il 45 – 50 % (ma a volte anche oltre) a stipendi lordi di poco superiori ai 2.000,00 € ? L’unico paragone che mi viene in mente è la Russia ai tempi della rivoluzione comunista, in cui bisognava ‘livellare’ tutti i redditi.

 (8) Cfr. al riguardo: “Roma e i taxi. Una decisione condivisibile e alcune proposte”  (http://www.atuttascuola.it/collaborazione/lalomia/2009/ roma_e_i_taxi.htm),  “Roma e i taxi. Ulteriori note”  (http://www.atuttascuola.it/collaborazione/lalomia/roma_e_i_taxi1.htm) e “Roma. Il suo passato, il suo presente”  (http://www.atuttascuola.it/collaborazione/lalomia/roma_suo_passato_prese...