SCUOLA

Troppi tagli e pochi investimenti:
diamo direttamente i soldi agli istituti

Roberto Pellegatta, il Sussidiario 14.12.2009

Una rondine non fa primavera: ma l’invito fatto l’altro giorno nel Salento dal Presidente della Camera Fini ad investire sull’istruzione potrebbe essere ben di più. Tralasciando l’inutile discettazione sulle ragioni politiche di queste esternazioni, è obiettivo che questo sia il primo politico italiano della maggioranza (cioè di quelli che lo dicono non per pura opposizione al Governo in carica) che parla di investimenti e non più di tagli. Purtroppo le scelte della Finanziaria 2010 per la scuola (come tante Finanziarie degli ultimi 10 anni) non sono una risposta. I 260 milioni di euro dallo scudo fiscale sono solo restituzione di quanto è stato tagliato: alla gratuità dei libri nelle elementari, alle scuole paritarie. «Investire sui giovani e sull'istruzione – ha sostenuto Fini - significa svecchiare i processi produttivi, significa rendere le imprese più moderne e competitive. Il compito della politica è quello di indicare delle priorità». Lo fecero e lo fanno altri politici, altrove.

All’inizio del proprio percorso governativo il primo ministro inglese Blair sosteneva paradossalmente la priorità assoluta per la scuola (confermata da Gordon Brown), facendo seguire investimenti a quei proclami. Prima dell’estate di quest’anno il presidente Obama investiva nella scuola americana quattro miliardi e mezzo di dollari. Il cancelliere Merkel intervenendo alla presentazione del nuovo governo di centro destra ha collocato la formazione dei giovani tra le prime tre priorità nazionali della Germania.

Risulta veramente difficile capire per quale motivo in Italia si debba assistere ad un semplice “riordino” della scuola secondaria di secondo grado dove, ad ogni pagina dei nuovi Regolamenti ministeriali, si ripete, come un liturgico salmo, l’impossibilità di nuove risorse e, solo per perseguire l’obiettivo “risparmi” (non per scelte di sistema o pedagogiche), si taglia un sesto dell’insegnamento. Così come risulta difficile capire i tagli generici alle compresenze nelle elementari e medie, rendendo impossibili le supplenze e la decantata “didattica personalizzata”.

I tagli sulla scuola ormai sono una costante “intergovernativa” da anni.

Mentre lo stanziamento di funzionamento ordinario alle scuole statali è andato a zero negli ultimi due anni, negli stessi abbiamo assistito al tentativo del Ministero delle Finanze di togliere le pur magre dotazioni previste dalle leggi vigenti per le scuole paritarie. Da anni la previsione finanziaria annuale delle scuole statali è fatta senza sapere nulla sulla dotazione ordinaria e su altre voci.

Nella stessa vaghezza restano gli stanziamenti per le attività di recupero nelle scuole secondarie di secondo grado (già drasticamente ridotti nel 2008), che sono attività obbligatorie di cui bisogna decidere l’avvio negli scrutini di gennaio. A causa dei tagli di questi anni, gran parte delle scuole hanno consumato economie pregresse (chi le aveva) per far fronte a pagamenti dovuti (supplenze, commissioni esami di stato) per i quali attendono ancora i finanziamenti statali fino a tutto il 2007. L’altro giorno il Direttore Amministrativo ha terminato i conti 2009 dell’Istituto dove lavoro, mostrandomi ben 209.000 euro di crediti dal MIUR a partire dal 2000, su voci già tutte pagate dal bilancio di istituto prevalentemente utilizzando o l’avanzo di amministrazione o il contributo volontario delle famiglie che dovrebbe servire per attività integrative rivolte agli studenti.

Gli istituti tecnici e professionali (quelli dai quali ci si aspetta la ripresa di preparazione degli operatori e quadri d’impresa) da circa 15 anni non possono più contare su finanziamenti in conto capitale, rinnovando quando possono gli obsoleti macchinari o con avanzi di amministrazione o con affannose ricerche di sponsor privati.

Negli ultimi otto anni il decentramento regionale di tutta la scuola francese ha permesso allo stesso tipo di istituti di rinnovare macchinari secondo le più recenti tecnologie: ho potuto vederlo di persona ad ottobre in un Lyceè tecnologique di Parigi.

Persino la VII Commissione Istruzione della Camera, aveva segnalato, prima dell’estate di quest’anno «la situazione di grandissima difficoltà finanziaria che rischia di determinare la paralisi dell'attività didattica», situazione che descriveva analiticamente nelle varie voci.

Ultima vicenda in termini cronologici, ma non per conseguenze: con varie circolari regionali ai primi di novembre, sulla base di una Nota MIUR di fine ottobre, gli Istituti Professionali (quelli che secondo il MIUR «preparano al meglio al mondo del lavoro») si sono visti comunicare la riduzione a meno di un terzo di tutti i finanziamenti per la Terza Area (appunto le ore settimanali dedicate al rapporto con lavoro e imprese) e l’Alternanza scuola-lavoro. Chi solo l’anno scorso 2008/2009 poteva contare con 500 studenti su 69.500 euro (anche se metà di questi debbono ancora arrivare), quest’anno potrà contare su 19.500 euro per le stesse attività. In alcune zone gli interventi Regionali forse sopperiranno in parte al blocco dei fondi statali. In altre le Regioni hanno deciso l’interruzione della Terza Area.

L’elenco non finirebbe mai. Dove sta il marcio? Negli “eccessi di dotazione di risorse e di personale” (Libro Bianco) nel settore scuola che necessitano di ridimensionamenti o nell’assenza di coraggiose scelte di riforme, oltre che di effettivi controlli “efficaci/efficienti” sull’utilizzo della spesa pubblica e di conseguenti scelte di reinvestimento dei risparmi.

Chi non ricorda la relazione annuale del 2005 dell’indagine a campione fatta dalla Corte dei Conti, che evidenziava una media di 100.000 euro di avanzo di amministrazione nelle varie scuole secondarie di secondo grado? Paradossalmente fortunate queste, che con tali avanzi hanno sopperito ai tagli!

Pochi invece ricordano il permanere degli effetti della clausola di salvaguardia voluta dal Ministro Padoa Schioppa nella Finanziaria 2007 (comma 621) e mantenuta dal Ministro Tremonti, per costringere il MPI (poi MIUR) a risparmi di spesa (o tagli, a secondo del punto di vista) da applicare automaticamente in presenza «di minori economie (leggi: meno tagli di personale), provvedendo a ridurre le dotazioni complessive di bilancio del MPI, ad eccezione di quelle relative al personale».

E perché invece di operare su quest’ultima causa e verso scelte di «miglior utilizzo delle risorse esistenti» ci si butta da anni su tagli costanti e persistenti, dei risultati dei quali non si vede nemmeno l’ombra, visto che tagli (famoso comma 621) dovrebbero tradursi in risparmi e risparmi dovrebbero diventare reinvestimenti nel settore?

Se il “Rapporto 2009 sulla Finanza Pubblica in Italia” - ed i Ministri che vi fanno eco - evidenziava l’assorbimento al 97 per cento della spesa nel settore scolastico da parte del costo del lavoro (ma la questione risale all’Assemblea nazionale interministeriale del 1991 sul “calo demografico”), al tempo stesso però non dava indicazioni reali affinché le “razionalizzazioni” non compromettessero l’insegnamento frontale necessario, ma intervenissero sugli sprechi: insomma alla teoria dei tagli non corrisponde un’indicazione di investimento per una migliore politica del personale.

Il vero problema è la mancanza di logica e lungimiranza nella sistematicità dei tagli: logica, perché fatti senza distinguere tra l’utile e l’inutile; lungimiranza, perché i danni sul servizio scolastico che ne consegue li vedremo tra anni.

Dove invece risparmiare ad esempio?

Si trattava di perseguire recuperi di spesa attraverso coraggiose e lungimiranti scelte innovative, come avrebbe potuto essere una vera riforma della scuola del secondo ciclo anche con la limitazione a 18 anni, indicata nella primissima versione della riforma Moratti. Una tale scelta, oltre ad ottenere un risparmio significativo, avrebbe costretto, con i conseguenti reinvestimenti, ad un complessivo disegno di rinnovamento della scuola.

Ma altre vie sono possibili. La riduzione delle compresenze di docenti sì, ma solo laddove inutili didatticamente e non dove invece indispensabili: cioè fatte non con scelte percentuali, ma con scelte didattiche. Le scuole italiane all’estero ci costano 70 milioni all’anno (stipendio di un professore fino a 5.000 euro, di un dirigente scolastico fino a 8.000 euro). La partecipazione alle assemblee sindacali in orario di lavoro (si fa solo da noi!) ha tolto 12.059 docenti per una mattina nel 2008/2009; i docenti esonerati o “comandati” per le più varie motivazioni sono stati, sempre nel 2008/2009, 12.744 (fonti MIUR).

Un assurdo Regolamento per la ricerca dei supplenti comporta una spesa di circa 2.500 euro di media all’anno per scuola in telegrammi a settembre (moltiplicare per 10.500 istituzioni scolastiche) e i supplenti possono chiedere nella secondaria 30 scuole invece di una o due. Gli Uffici Scolastici Provinciali (ex Provveditorati dei quali già Sabino Cassese propose l’abolizione) compiono procedure gran parte trasferibili alle scuole o a un centro servizi informatico regionale unico (risparmio su affitti e funzionamento generale).

L’avvio di un oculato utilizzo delle finanze dovrebbe cominciare con l’assegnazione diretta alle scuole di tutte le risorse ad esse destinate, sulla base di una quota capitaria, senza nessun vincolo predefinito, seguito da precise responsabilità ai dirigenti, da poteri di utilizzo, da indicazioni di monitoraggio e controllo revisoriale. Su queste misure, se lo desidera, il Ministro dell’Istruzione troverebbe tutti i dirigenti scolastici alleati di fronte al Ministero delle Finanze.

Certo: occorre un’intesa ampia, a carattere nazionale. Ma, visto che alla Camera, nell’ambito dei lavori sul cosiddetto “Progetto di legge Aprea” sono emersi interessanti incontri bipartisan per soluzioni di riforma purtroppo fermi in quella Commissione; viste le recenti dichiarazioni dell’on. Berlinguer di disponibilità a collaborare per comuni riforme, dichiarazioni apprezzate dal Ministro Gelmini: stante quindi queste condizioni, è venuto allora il momento di trasformare queste disponibilità in alleanze che aiutino appunto ad avviare una lungimirante ed oculata azione di investimenti, come quella auspicata dal Presidente della Camera.