Il Decreto Brunetta/1

Viaggio nella riforma voluta dal ministro della Funzione Pubblica. Riguarda gli impiegati statali, docenti compresi. Il parere del sindacalista Massimo Montella.

  Ciro Teodonno da Mediano.it, 19.12.2009

Il paventato decreto Brunetta (D.L. 150/2009) è giunto al termine del suo scontato iter parlamentare (scontato come ogni esito di legge presentata dal governo a questo acritico parlamento). Lo ha fatto preceduto da un’avanguardia di giornalisti molto partigiani e molto cortigiani, che hanno dato fiato e forza a una questione che altrimenti sarebbe stata accantonata tra i luoghi comuni.

Secondo il parere di molti esperti, con questa novità il nostro paese s’avvia allo smantellamento dello stato sociale. Gradualmente, senza possibilità di appello e senza dar spazio al confronto, il governo starebbe progressivamente scardinando quella politica contrattuale costruita con anni di dure lotte sindacali, che avevano permesso ai lavoratori di accedere a quei diritti che per molti, ancor oggi, sembrano dati per scontati e forse per questo malauguratamente poco apprezzati.

Già alcuni istituti napoletani, tra cui il Liceo Statale Socio Psico Pedagogico "Artemisia Gentileschi", stanno mettendo in pratica il progetto del ministro veneto concretizzando l’allarme da molti lanciato, ovvero quello di creare un clima di competizione e di sospetto tra gli insegnanti e gli altri operatori della scuola. Infatti, si stanno avviando le sospensioni per scarso rendimento dei docenti con contratto a tempo indeterminato, previste dalla normativa in questione.

Il decreto Brunetta (nella foto il ministro) è una spietata e razionale impalcatura fondata però sull’esile ma ben radicato concetto dello statale fannullone. Se è vero però che il luogo comune ha spesso una minima base di verità, questo concetto è anche frutto di un’atavica e malcelata invidia, custodita all’occorrenza da chiunque, non sapendo affrontare i propri fallimenti, voglia contrapporla contro l’altrui benessere o magari coprendo le sue remore, enfatizza quelle degli altri. Sappiamo purtroppo che questa è un’attività antica come il mondo mai però come oggi si era giunti a tanta subdola e raffinata tecnica mediatica, capace di cristallizzare come verità assoluta tanta scarsa intelligenza, anche nelle menti dei diretti interessati.

Andiamo ora più nel dettaglio e cerchiamo di capire come si sia arrivati a cotanta opera. All’occorrenza abbiamo infatti interpellato qualcuno che ben prima di noi e in verità molto meglio s’è occupato di tali questioni. Abbiamo chiesto a Massimo Montella, già membro del direttivo nazionale dei Cobas, maggiori delucidazioni sull’argomento, e con un esplicito riferimento al mondo della scuola, campo di battaglia fondamentale per questa e altre vicissitudini nazionali.

Professore, la scorsa primavera eravamo rimasti al ministro Brunetta, le sue fasce di reperibilità e cose simili, ora sembra che ci sia stato un salto di qualità cosa ne pensa?
«Il ministro della Funzione Pubblica Brunetta fa una cosa illegittima, la contrattazione diviene subalterna ai regolamenti, succede una cosa che mai era avvenuta nella storia della Repubblica, i contratti nazionali perdono legittimità, il governo con degli atti che non confliggono con essi ma li bypassano, depaupera la contrattazione, il decreto legislativo in questione la dichiara superata. L’articolo 19 del Contratto Nazionale non prevedeva una penalità in caso di patologia e anche le fasce di reperibilità sempre in caso di patologia, pur esistendo erano di quattro ore, il ministro con quel famoso decreto, il 112 che poi è diventato il 133, ha stravolto il contratto. La prima novità è che le norme contrattuali, la contrattazione integrativa, la contrattazione decentrata non hanno più legittimità. I sindacati sono in pratica superati. Anche le logiche premiali, non fanno più parte della contrattazione. Il decreto 150, chiamiamolo Brunetta, prevede quattro comparti, quello della Sanità, quello della Pubblica Amministrazione ovvero INPDAP, INPS, Corte dei Conti, un altro grande comparto sarebbe quello degli Enti Pubblici, Comuni, Province e Regioni e poi Scuola, Università e Ricerca come quarto comparto. La cosa agghiacciante del DL è che il personale ATA non farà più parte della realtà scolastica e rientreranno nella pubblica amministrazione. Viene così portata avanti quella logica scellerata della divisione dell’area docente da quella Ausiliare/Tecnico/Amministrativo, dimenticando la funzionalità di quest’ultima con l’intero contesto scolastico. Prevale una logica corporativista e di privilegio. Del resto dequalificando il ruolo degli ATA si rischia anche di avere forti ripercussioni dal punto di vista della stessa offerta formativa. Creare due aree contrattuali è nefasto, vuol dire creare ghettizzazioni.

«Il problema è che la scuola è entrata a pieno titolo nella logica di mercificazione, di aziendalizzazione, che non è una formula ma è una realtà, il sapere è diventato uno strumento di appropriazione, offre potere, è quindi chiaro l’intento di questo processo di immiserimento e quindi risulta ovvio che un docente con la sua potenzialità critica, col suo sapere fondante non ha più senso in questo processo di banalizzazione. La scuola non offre più un sapere vivo che permette allo studente di leggere il mondo, si sta ormai avviando a erogare saperi minimi, noi le chiamiamo capacità general generiche, brandelli, rivoli di conoscenza, che serviranno allo studente che dovrà continuamente cambiare lavoro, perché è il mercato del lavoro che vuole un sapere frammentato, parcellizzato, questa è la logica del progettificio, il lavoro frontale, quello fatto in aula non interessa più a nessuno, ma passa questa perversione del progetto, che vuol dire la privatizzazione di uno spazio pubblico per far passare un tuo progetto, e che tra l’altro smembra il gruppo classe».

«Tornando a Brunetta, il suo decreto sancisce tra le tante cose, il principio del salario premiale che spetta unilateralmente al governo. Ci sarà una suddivisione dei dipendenti in quattro fasce salariali premiali in base all’RPD (la busta paga è composta da un salario reale, oltre agli scatti di anzianità definiti sessennali, esistono altre voci nell’ordine del 15% chiamate accessorie, per i docenti è chiamata appunto la Retribuzione Professionale Docenti) che attualmente è suddiviso in tre fasce 0-14, 14-27 e 27-35 in base agli anni di servizio. Queste voci non saranno più date, come si suol dire a pioggia ma subordinate a meccanismi premiali».

«Lui prevede infatti, chiamandolo con un linguaggio aziendale, il ciclo della performance, un meccanismo che dovrebbe indagare e definire gli standard qualitativi di un’amministrazione. Questa logica si definisce dal punto di vista numerico nelle quattro fasce di cui sopra dove abbiamo una prima categoria, un 25% di "superbravi" che percepiranno il 50% di tutto il salario premiale, poi ve ne sarà una seconda, il 50% del personale, che percepirà il restante 50% degli stanziamenti dell’RPD che svolgerà un lavoro standard e un terzo contingente, del 25% che invece non percepirà nulla!».

Capisco ma quali saranno i criteri identificativi?
«Ci sarà una commissione che dovrà valutare la performance ovvero la valutazione degli standard qualitativi, il problema è però un altro, chi saranno i componenti di queste commissioni? Al momento esistono già delle commissioni autonome ma col decreto Aprea, in discussione alla settima commissione della Camera e con la trasformazione delle scuole in fondazioni, entreranno strutture private nei consigli di istituto, questo cosa vuol dire che con l’entrata dei privati nella gestione finanziaria ci sarà un forte condizionamento di elementi estranei alla vita scolastica, condizionandone il bilancio le scelte, l’indirizzo».

Mi scusi, volendo fare l’avvocato del diavolo, tutto questo non potrebbe essere anche un arricchimento per il mondo della scuola?
«Guardi, il lavoro scolastico è un lavoro di equipe, quando vai a creare una griglia meritocratica che differenzia il salario e crea questa struttura di superbravi, bravi e fannulloni tu hai disgregato il lavoro di squadra, il lavoro collegiale».

Questo è in atto anche con lo sfaldamento del modulo nella scuola primaria...
«È l’esempio più calzante, rompi la collegialità ma non perdi la programmazione, ci si avvicina a un sistema scolastico dove prevale il principio non della individualizzazione dei percorsi formativi ma quello della personalizzazione. Questo è stato un concetto assai caro prima alla Moratti e ora alla Gelmini dove si parte dal fatto che non tutti gli studenti sono bravi non tutti hanno lo stesso potenziale, e non si può dunque perder tempo in una classe di trenta ragazzi, devo quindi personalizzare il percorso per i più meritevoli».

Sì, ma rispetto alla logica della fondazione, l’interagire con altre realtà sociali non potrebbe arricchire il confronto?
«No! Perché, secondo me, viene meno quel concetto crociano, ma anche di Lombardo Radice di autonomia della scuola (e non di autonomia delle scuole!) dove secondo i grandi pedagogisti la scuola doveva essere svincolata da condizionamenti, clericali all’epoca di Croce, ma anche libera da quelli politici ed economici. La scuola viene invece deprivata della sua autonomia reale in nome di queste esigenze di reperire risorse, in nome dell’apertura al mercato e anche perché c’è un problema reale, le scuole versano in condizioni catastrofiche, ogni scuola, ha il suo POF (Piano di Offerta Formativa), che risulta essere un pacchetto di offerte che la scuola fa al mercato. Si crea in questo modo una parcellizzazione del sistema nazionale che crea solo una povertà, un immiserimento del sapere. Si crea una specie di guerra dove ogni scuola ha il suo POF, ripeto è solo una formula economica per garantirsi finanziamenti rispetto ad altre scuole».

Tornando alle fasce retributive chi sceglierà e come il merito dei docenti?
«Il problema è chi soprintende a questo organismo preposto alla valutazione dei docenti? Quali sono i criteri di formazione, cosa si intende per merito, qual è il parametro valutativo. Credo si stia facendo un errore, qui non si fa la talentocrazia che è cosa ben diversa, la meritocrazia vuol dire delegare a una persona il potere di sancire se il tuo lavoro è qualificante o meno, si mette in moto un sistema perverso dove abbiamo controllore e controllati, professori di serie A e professori di seri B. - Può mai essere il numero di promossi? Allora io sono un professore indulgente, il mio standard è alto perché ne promuovo tanti. Inversamente, - Io sono selettivo? Severissimo, può essere quello uno standard, che ne promuovo pochissimi? È difficilissimo!».

Certo stiamo parlando di un contesto il cui operato non è quantificabile nell’immediato, ma eventualmente nel lungo periodo e forse neppure, poiché il lavoro dell’insegnante e il risultato che ne scaturisce non è rapportabile in termini strettamente economici.
«Il nostro lavoro non lo si può valutare se non nel tempo.
Ma un’altra cosa importante, che prima non ho detto, è quella che gli stessi dirigenti scolastici che se non attivano questo ciclo di gestione della performance sono penalizzati, corrono dei grossi rischi e perdono a loro volta la loro parte di salario premiante, definito "premio di produttività". Si crea così un meccanismo perverso dove il preside che non attiva questo ciclo è il primo ad essere penalizzato, questo accade per la prima volta. È un meccanismo di controllo a catena!»

«Altra cosa negativa che va sottolineata e che i contratti vengono triennalizzati, facendo perdere potere d’acquisto ai salari (adesso sono biennalizzati, o meglio, un biennio che riguarda la parte economica e un quadriennio quella normativa). Viene a mancare inoltre la cosiddetta vacanza contrattuale (se entro 60 giorni dalla scadenza del contratto non si attivano processi di recupero salariale il ministero paga un’indennità).
Un’altra cosa che Brunetta fa è la risistemazione della parte riguardante le norme disciplinari, i presidi per esempio possono licenziare, non soltanto per assenteismo o per falsa dichiarazione o per un certificato medico di cui si attesta la non veridicità, la cosa importante è che si può essere licenziati anche per scarso rendimento. Per la prima volta, un professore che nell’arco di un biennio si macchia di scarso rendimento viene licenziato in tronco!».

Che cosa s’intende per scarso rendimento?
«Testualmente il decreto cita così: "Si può essere licenziati…se un docente o un lavoratore, nel caso di prestazione lavorativa riferibile a un arco temporale non inferiore al biennio se subisce una valutazione di insufficiente rendimento", ma adesso chi lo decide? Entriamo nel campo del libero arbitrio. - Il professor Montella ha un comportamento nei mie confronti irriverente, non accetta il mio diktat - questo capita spesso a noi sindacalisti, a questo punto basta una dichiarazione di scarso rendimento per determinare il licenziamento di un lavoratore. Quindi i presidi non solo potranno assumere e licenziare il personale non di ruolo, ma come previsto dal disegno di legge Aprea si potrà essere licenziati anche per scarso rendimento».

Sì ma chi controlla i presidi? Sembra poi che si vada verso una forma eccessiva di accentramento del potere.
«Sì, è così ma gli stessi presidi d’altro canto sono pressati all’adempimento della logica premiale altrimenti saranno essi stessi penalizzati nel mancato conseguimento dei "premi di produttività". Allo stesso tempo sembrano vivere una grossa crisi identitaria, questi hanno una mentalità burocratica di esecutore, avrebbero così dei poteri politici e non d’indirizzo che spetterebbero all’organo di governo, nella fattispecie gli uffici scolastici provinciali e regionali, di fatto sono subalterni pur avendo un velleitarismo di tipo dirigistico, il preside uscirà anch’egli a pezzi da questa norma.
Inoltre anche altre parti importanti della scuola scompariranno dal governo della scuola, infatti la componente dei genitori che presiedeva il consiglio d’istituto sarà sostituita dal dirigente scolastico, così come verrà a mancare la partecipazione del personale A.T.A. e del DSGA (il Dirigente dei Servizi Generali e Amministrativi) ovvero il segretario».

Neanche il segretario! Un preside prefetto insomma!
«Una scuola che va indietro di cento anni, si ritorna al maestro unico, si torna al tuttologo, non si riconosce quello che è l’aspetto caleidoscopico del sapere disconoscendo il lavoro collegiale. Il paradosso è che neanche più le visite guidata si potranno fare. Per fare una visita devi nominare due accompagnatori quando la classe supera le sedici unità, adesso con le classi di trenta, trentuno, ma arriveremo anche a classi di trentatré alunni, nessuno li accompagnerà». (continua)