ADOLESCENZA

Prigionieri della tristezza.
Nelle scuole un ragazzo su dieci usa psicofarmaci

I giovani tra i 15 e 16 anni prendono regolarmente pillole
 senza consultarsi con i medici

Daniela Daniele, La Stampa 6.4.2009

ROMA
Ragazzi di vetro. Che chiedono aiuto agli psicofarmaci in una corsa ossessiva al faidate. Per placare l’angoscia, dovuta spesso ai risultati scolastici scadenti, o perché, moderni alchimisti, hanno imparato a mescolare le sostanze all’alcol e alle droghe e a trovare un fugace divertimento che li faccia sentire per qualche ora «al massimo» e competitivi. Il rapporto annuale Espad (European School Project on Alcool and Other Drugs), progetto europeo di indagini sull’uso di alcol, droga e sostanze psicoattive nelle scuole, curato per la parte italiana dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa, ha misurato la portata del fenomeno. In Italia, un adolescente su dieci utilizza impropriamente psicofarmaci. La ricerca ha indagato nel dettaglio le abitudini dei ragazzi tra i 15 e 16 anni in 35 Paesi europei.

«Lo studio - spiega Sabrina Molinaro, ricercatrice dell’Istituto - indaga non solo l’uso di psicofarmaci, ma anche quello di sostanze illegali e alcol. Ma mentre i numeri riferiti a droghe e alcol si mantengono più o meno costanti, stupisce e allarma l’aumento del ricorso senza ricetta a sostanze psicoattive: dal 6 per cento del 2003 al 10 per cento di oggi». La media europea è invece attestata sul 6 per cento. C’è poi anche una leggera crescita, dell’1 per cento, degli studenti che riferiscono di consumare alcol insieme con questi medicinali. «In particolare - precisa la dottoressa Molinaro - emerge che a fare uso di psicofarmaci sono più le ragazze (13 per cento) rispetto ai ragazzi (7 per cento)». Quali prodotti preferiscono? E dove riescono a procurarseli? Spesso nell’armadietto di casa, visto che il consumo di queste sostanze in Italia è in crescita. Ma anche attraverso internet. «La cosa che stupisce - continua la dottoressa Molinaro - è che i giovani dichiarano di sapere a che cosa servano i farmaci e cercano prodotti per l’insonnia, per regolare l'umore (antidepressivi), per l'iperattività (inclusi vari anfetaminici).

L'8 per cento degli studenti dice di averne fatto uso una volta negli ultimi dodici mesi, il 4 per cento almeno una volta negli ultimi 30 giorni e ben l’1 per cento ammette di averne consumati almeno 20 volte nell'ultimo mese». Una generazione di insonni e depressi? «Non sempre i farmaci vengono usati secondo prescrizione. Spesso sono assunti per scopi ludici, per avere effetti particolari». I dati del rapporto del Cnr confermano che il consumo di psicofarmaci tra i ragazzi è più frequente quando c’è un rapporto conflittuale con genitori e insegnanti, oppure quando gli studenti hanno un rendimento scolastico insufficiente. Che cosa rischia la loro salute?

Enrico Malizia, professore di farmacologia all’Università La Sapienza di Roma, mette l’accento sulla potenziale gravità della situazione: «Il cervello di organismi in via di sviluppo, come può essere quello di un quindicenne, non è ancora formato: il danno tossicologico acuto sul sistema nervoso centrale è certo, inoltre questo tipo di molecole rischia di dare dipendenza». Emilia Costa, professore emerito di psichiatria dello stesso ateneo e primario di psicofarmacologia, aggiunge: «E’ davvero un dato sconvolgente. Questo significa che il dieci per cento dei nostri giovani ha problemi irrisolti e che prova un senso di inadeguatezza nei confronti delle difficoltà della vita. Dobbiamo indagare nel profondo. Questi ragazzi si sentono già anziani e hanno bisogno di supporti artificiali dall’esterno che li sorreggano». «Giù le Mani dai Bambini», il più rappresentativo comitato italiano per la farmacovigilanza pediatrica, punta il dito contro le istituzioni di controllo sanitario. «Da tempo - dichiara il portavoce Luca Poma - monitoriamo con crescente preoccupazione la situazione dell’uso e abuso di psicofarmaci in Italia, ma per Istituto Superiore di Sanità e l’Agenzia Italiana del Farmaco era tutto sotto controllo. I dati dimostrano che sbagliavano nel ridimensionare un fenomeno che invece risulta in espansione».