Finisce il Tempo Pieno, restano le 40 ore? di Gianni Gandola e Federico Niccoli, ScuolaOggi 7.4.2009
Pippo Frisone, nel suo articolo “Il falso ideologico sul tempo
pieno”, largamente condivisibile e quanto mai attuale, dice però
un’inesattezza quando scrive che con la Moratti ministro del Miur
“con i due docenti sulle 40 ore si mantenevano tutte le ore di
compresenza”, nella scuola primaria.
Negli anni della Moratti, almeno in molte scuole milanesi a tempo
pieno, non vi fu il raddoppio automatico dell’organico ma venne
assegnato qualche posto docente in meno, in numero tale però da
consentire le 40 ore di tempo scuola. In concreto: ad una scuola con
20 classi a TP non vennero assegnati 40 docenti, ma 39 o 38. Il
completamento orario delle 40 ore, comunque garantite ai genitori,
avveniva appunto utilizzando parte delle ore di compresenza dei
docenti della stessa fascia di classi o di altre (più le ore di
contemporaneità dello specialista di inglese o di religione che
“liberano” ore dell’insegnante di classe). Cosa cambia, in concreto?
Cerchiamo di farci capire, anche dai non “addetti ai lavori” (è la
funzione di questo giornale che, nell’informazione, non si rivolge
solo agli specialisti del settore).
Questo è il “surplus”, sul piano della innovazione e della “qualità”
didattica, di cui dispone il modello del Tempo Pieno (una volta,
quando l’orario dei docenti di scuola elementare era di 24 ore
settimanali di lezione le compresenze venivano attuate 4 giorni su
5!). E adesso? Cosa può succedere?
Ora, cosa succede, nei piani del ministro (come già all’epoca della
Moratti)? Le compresenze vengono considerate di fatto come qualcosa
di superfluo e quindi di intollerabile (uno spreco di risorse): non
si capisce infatti che ci stanno a fare due insegnanti presenti
contemporaneamente nella stessa fascia oraria quando per "tenere la
classe" ne basta uno. Quindi si pensa di utilizzare in altro modo
queste ore. Parte delle ore di compresenza dei docenti sono già
state utilizzate, ripetiamo, ai fini della costituzione
dell’organico di istituto.
Se così fosse (e ci auguriamo di essere smentiti) questo segnerebbe
la fine del modello pedagogico del Tempo Pieno. Senza le compresenze
– che a nostro avviso sono un elemento costitutivo, qualificante di
questo modello organizzativo – non c’è più il Tempo Pieno. Resta un
tempo scuola di 40 ore che, appunto, è un’altra cosa. Tempo pieno… di futuro o di passato? L’eliminazione del tempo-pieno quale modello pedagogico innovativo è nelle corde di tutto l’apparato ministeriale dal ministro ai funzionari centrali, regionali e provinciali. Per esempio, in un pomposo convegno a Varese del 4 aprile scorso dal titolo “Un tempo pieno…di futuro” al quale siamo stati invitati come relatori, promosso, tra gli altri, dall’USP di Varese e dal Comune di Varese, il Provveditore (melius: il dirigente dell’Usp), che si intende di queste tematiche, ha, senza troppi giri di parole, ritenuto un po’ debole la circolare ministeriale sulla permanenza “all’interno degli organici di istituto” delle risorse derivanti dall’abolizione delle compresenze. Più esplicitamente: a Varese si è verificato un forte incremento di richieste di TP, ma la provincia non dispone di risorse di compresenze tali da consentire l’ampliamento dell’offerta formativa. E, quindi: Milano, principalmente, e parzialmente Lodi debbono pagare un prezzo per consentire una sorta di federalismo solidale a favore delle province lombarde. In astratto il ragionamento non fa una grinza (a parte il fatto che non avremo un tempo pieno… di futuro, ma …di passato!). Se le compresenze sono un lusso, perché consentire gli sprechi a Milano e lasciare senza una risposta positiva le famiglie che a Varese, Como, etc. hanno richiesto le 40 ore? Le forze politiche locali sono state esplicitamente invitate a difendere la bandiera dei lombardi defraudati questa volta, finalmente, non da Roma ladrona, ma da Milano sprecona. Noi abbiamo un’unica nostalgia: la difesa della qualità della scuola pubblica a tempo pieno. Non abbiamo nessuna esigenza corporativa da mettere in campo. Se, però, davvero le compresenze dovessero sparire, per quale motivo, ci chiediamo, la redistribuzione delle risorse dovrebbe avvenire a livello esclusivamente regionale? Perché i presunti sprechi milanesi dovrebbero finire ad incrementare le risorse di province ricche con Enti locali che supportano già concretamente ed efficacemente le scuole dei rispettivi territori? Perché i presunti sprechi non dovrebbero essere destinati alle regioni meridionali, che pagano il prezzo maggiore dei tagli ? In quelle province anche il solo ampliamento dell’offerta formativa statale (nella completa assenza di risorse degli enti locali) potrebbe contribuire a non consegnare immediatamente ed irreversibilmente le giovani generazioni alle mafie, ndranghete e varie mirabilie criminali.
Se poi dovesse continuare l’enfasi riposta dal Miur nel modello
ideologico “insegnante unico/24 ore”, o la voglia di “ritorno al
passato” alla Tremonti, è facilmente prevedibile la prospettiva che
si può aprire. Una volta smantellato il TP come modello pedagogico e
affermato un principio meramente quantitativo di “tempo massimo di
permanenza a scuola”, il passaggio successivo può consistere
nell’assegnazione di un docente titolare, responsabile di classe, e
di un altro (o altri) per coprire le 40 ore di scuola, come ai tempi
del vecchio doposcuola. Dalle 40 ore, così concepite, alla scuola
del mattino (obbligatoria per tutti) più quella (facoltativa) del
pomeriggio il passo è breve. |