Il federalismo avanzato di Gian Carlo Sacchi, Educazione & Scuola 11.4.2009 Intanto che Roma discute sull’applicazione del “Titolo Quinto”, Milano prova a realizzarlo con una propria legge regionale e, più di recente, con un’intesa tra Regione Lombardia e MIUR, che anticipa, in via “sperimentale”, una visione definita di “federalismo avanzato”. E’ noto che, sia una proposta di accordo della Conferenza delle Regioni, sia una sentenza della Corte Costituzionale, prevedono per il passaggio completo dei poteri sul sistema scolastico una legislazione ad hoc delle singole assemblee regionali, ciò al fine di un corretto esercizio delle competenze e la tutela dei diritti dei cittadini. Tali prerogative sono contenute nella predetta riforma costituzionale e nella legge sul federalismo fiscale recentemente approvata alla Camera, ma sono anche sostenute a livello politico nella “carta delle autonomie locali” del PD e si deve ritenere da parte della maggioranza nella citata intesa. Tutta la materia, in maniera speculare, è stata all’origine di un contenzioso dinnanzi all’alta corte da parte dell’Emilia Romagna ai tempi del ministro Moratti e della Lombardia contro il ministro Fioroni. Nel primo caso si risolse con una decisione favorevole alla regione e nel secondo con il ritiro, dopo l’intesa, del ricorso medesimo. Se si pensa inoltre che le leggi con le quali le predette regioni hanno regolamentato il loro sistema scolastico e formativo non sono state ostacolate dalle rispettive opposizioni, sembrerebbe la quadratura del cerchio. Invece ancora la materia è in stallo e si ha l’impressione che non si tratti tanto delle visioni di governo di destra e sinistra, ma dei governi reali del sistema nazionale, che, a prescindere dal colore della maggioranza, si rivelano tutti centralisti. Potremmo sentirci dire per l’ennesima volta che il federalismo “devolutivo” creerebbe degli squilibri in diverse parti del nostro territorio, ma da un lato lo stato non cerca di definire le “regole generali” ed i “livelli essenziali”, governando con la leva finanziaria tutto il sistema nazionale, e, dall’altro, le regioni hanno espresso unanimemente un masterplan per subentrare nella gestione dell’intero sistema, tuttavia sembra non vogliano impegnarsi troppo nel definire una serie vincolante di prestazioni: si veda l’arretramento delle posizioni durante l’iter della predetta legge sul federalismo fiscale alla Camera, rispetto a quanto approvato al Senato, dalla quale sono stati tolti il diritto allo studio, l’edilizia scolastica e gli asili nido, lasciando una generica azione nel campo dell’istruzione. Ed allora di nuovo si riparte in via sperimentale, esattamente come avvenne nel 2003 con i percorsi triennali tra istruzione e formazione professionale, che incrociavano l’innalzamento dell’obbligo scolastico e la riforma degli ordinamenti. Dopo questo tira e molla, che non può non coinvolgere la definizione dell’autonomia scolastica, anch’essa inserita nella riforma costituzionale, e del governo degli istituti, cosa prevede l’intesa tra MIUR e Regione Lombardia ? Innanzitutto il ritiro dei reciproci ricorsi alla Consulta, il che significa il riconoscimento del federalismo avanzato, cioè che la legge regionale possa agire in deroga all’ordinamento nazionale, sia sul piano dei curricoli, come peraltro indicato nei provvedimenti sull’autonomia scolastica e la flessibilità, sia nell’uso del personale statale su percorsi costruiti dalla regione. La parte descrittiva si rifà a quei principi contenuti nei più recenti provvedimenti emanati in questa materia, e cioè parla di riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni per tutto il sistema, che ancora però non ci sono e che potrebbero esserci fin dal 2001, a cura dello stato nazionale, ma di cui non si è occupato nessuno, ne di destra, ne di sinistra. Fa riferimento all’autonomia delle istituzioni scolastiche, ancora appese soprattutto alle risorse finanziarie: vedi i tagli che ogni anno cercano risparmi nel settore senza pensare a riorganizzare la spesa, cosa prevista dalla indicazione dei costi standard per l’attuazione del sempre citato federalismo fiscale. Promuovere criteri di sussidiarietà, contenere i costi, semplificare i livelli organizzativi, garantire una maggiore efficienza del sistema, tutti nobili obiettivi da vedere in concreto come potranno essere raggiunti. La prima significativa novità consiste nello “stabilire un’organica collaborazione tra istituzioni scolastiche, strutture formative accreditate, università e centri di ricerca”. Tale organica collaborazione non porta all’idea di competizione tra istituti professionali e centri di formazione, benché una recente legge, approvata da questa maggioranza, preveda l’assolvimento dell’obbligo di istruzione anche nelle predette strutture formative, ma vada di più verso chi, in passato, aveva individuato i percorsi integrati tra i due sistemi. Ciò in base al fatto che “la competenza concorrente – stabilisce ancora l’intesa – deve essere ricomposta in un quadro complessivo e funzionale delle scelte proprie di ciascun livello legislativo”. In secondo luogo si sancisce che l’organico che viene assegnato agli istituti professionali tiene conto anche dell’attivazione in tali istituti dei percorsi regionali, “operando un raccordo con gli obiettivi specifici di apprendimento di qualifica o di diploma regionale (istituito con un’apposita legge regionale, entro una normativa statale, mai applicata), per definire un unico profilo formativo in esito al percorso. Con legge regionale in Lombardia è stato tracciato il sistema di istruzione e formazione professionale, nonché il raccordo con quello statale, anche per la continuazione negli studi superiori, istituendo un ITS di tre anni, con evidente parallelismo agli attuali corsi universitari. Ma qual è il nodo politico? L’unica cosa sulla quale sono tutti d’accordo è relativa ai profili di qualifica professionale stabiliti a livello nazionale e passati di recente alla conferenza stato – regioni, anche se manca ancora il decreto interministeriali; per il resto è incerto il destino degli istituti professionali, la cui revisione è stata rinviata di un anno, ma la cui identità uscita dalla commissione De Toni assomiglia di più ad un presidio (una supplenza nel caso di carenze regionali) che ad un indirizzo. Tale destino è legato alla occupazione del contenitore “istruzione e formazione professionale” individuato dal citato titolo quinto di competenze esclusiva delle regioni, ma che solo pochissime hanno definito con propria legge. Anche se una tale azione in una regione come la Lombardia, dotata di un forte sistema di formazione professionale, potrebbe far preludere ad una progressiva occupazione degli attuali istituti statali, ciò che interessa è che i docenti di questi percorsi, redatti dalla Regione, ancora una volta definiti sperimentali, continui a pagarli lo stato, ma è dalla stessa, d’intesa con l’autorità statale, in questo periodo sperimentale, in attesa però del compiuto federalismo, anche sul piano fiscale, che dipenderanno i “criteri di utilizzo”. Non c’è dubbio infatti che la spesa vada riorganizzata, in quanto il doppio canale, introdotto dopo la terza media con la sperimentazione del 2003, ed oggi confermato per legge, non è più sostenibile per le regioni, le quali in passato si servivano in gran parte del fondo sociale europeo, oggi percorribile in misura molto ridotta, sia per il calo dei finanziamenti, sia per l’inammissibilità dei costi relativi all’obbligo di istruzione. Fermo restando poi che il rilascio delle qualifiche professionali ha a che fare con la competenza esclusiva delle regioni. E adesso che cosa accadrà ? Se si prosegue su questa strada si arriverà ad avere quattro o cinque canali, a partire dai licei la cui bozza di regolamento suscita alcune perplessità circa la modernizzazione dei curricoli, gli istituti tecnici, in cui si è trasfusa la proposta di confindustria, gli istituti professionali in bilico tra la permanenza nel canale statale, voluta dal PD, e la progressiva regionalizzazione di cui c’è un’avvisaglia nell’intesa qui considerata, la formazione professionale regionale e l’alternanza scuola lavoro come percorso istituzionale, di cui ad un decreto del 2004. Non sarebbe invece meglio una riforma in orizzontale, che riguardasse gli obiettivi generali, i livelli essenziali, i costi standard per il federalismo fiscale, l’autonomia delle scuole ed il governo del sistema ? Si comprende il rischio di frammentazione, ma l’alternativa non può più essere una modalità burocratica di organizzazione del sistema nazionale. Ci vogliono regole chiare per tutti e strumenti nazionali di compensazione, ma possibilità di agire sul territorio: così non esiste ne vera perequazione, ne stimolo al miglioramento. |