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Dieci ottime ragioni
per salvare lo studio del latino
al Liceo Scientifico
(e salvare, contemporaneamente, il liceo scientifico)

a cura di Paolo Signoroni, AetnaNet 12.4.2009

PREMESSA

A breve il Ministero dell’Istruzione dovrebbe presentare i piani di studio definitivi delle superiori, dato che la riforma sarà avviata da settembre 2011. La bozza presentata dal Ministero a dicembre 2008, per quanto riguarda il liceo scientifico, pare equilibrata: la lieve riduzione dello spazio per lo studio della lingua latina e il contestuale ampliamento dello spazio destinato alle discipline scientifiche non snaturano il Liceo Scientifico.

Tuttavia, si tratta, appunto, di una bozza. Resta, infatti, sul tavolo l’ipotesi di un intervento ben più radicale: addirittura si parla della possibilità di rendere opzionale lo studio del latino nel liceo più frequentato, secondo quanto affermato dalla stessa ministra Maria Stella Gelmini nell’intervista rilasciata il giorno 11 marzo a Famiglia Cristiana . È un’ ipotesi che lascia , francamente, sbigottiti.

Conosciamo quali siano le fondamenta culturali da cui nasce questo intento. Nel corso di un dibattito organizzato dall’associazione TreeLLLe e svoltosi a Roma nel maggio 2008, più esperti (tra cui gli ex ministri Berlinguer e De Mauro) hanno convenuto sull’utilità di rendere opzionale e comunque marginale lo studio del latino in tutti i corsi di studio, tranne che nel Liceo classico.

Queste le argomentazioni addotte:

  • Gli alunni per lo più studiano malvolentieri il latino. Quindi lo imparano male. Quindi è meglio renderlo facoltativo. O non studiarlo affatto. Meglio che pochi lo conoscano bene, piuttosto che molti male.

  • L’Italia è un’eccezione: in tutto il mondo lo studio del Latino è facoltativo.

  • Non è provato che il Latino costituisca, come si crede di solito, un ottimo esercizio logico.

(Negli ultimi mesi Luigi Berlinguer è tornato più volte sull’argomento, ribadendo l’opportunità di ampliare gli spazi per lo studio delle scienze - ed in questo ha pienamente ragione- a discapito del latino, da rendere opzionale, e riprendendo le argomentazioni sopra riassunte).

Confutare siffatte affermazioni è facile. Se si applicasse il primo principio in modo indiscriminato, tutte le discipline dovrebbero essere rese facoltative; anche matematica o italiano. La seconda argomentazione è incredibile: la civiltà romana è fiorita nella penisola italiana, questa è la peculiarità. Nulla di strano, dunque, che si studi più latino qui che altrove. Qui più che altrove la cultura nazionale (nonché la lingua, ma è ovvio) è intrisa di latino. La terza asserzione è più sottile e insidiosa. Tuttavia, molteplici osservazioni empiriche, spesso ad opera di scienziati, avvalorano la tesi che l’esercizio logico offerto dal latino sia comunque eccellente. E, se si vuole essere pignoli, non è dimostrabile neppure il contrario.

Non vogliamo neppure prendere in considerazione l’ipotesi – anche se il dubbio nasce- che, dietro queste argomentazioni si celino posizioni che potrebbero definirsi “elitiste”, in virtù delle quali si cercherebbe di riservare ad una crème di pochi, di scelti - iscritti al Liceo Classico- un’approfondita formazione “umanistica”…

 

Quella che qui si presenta ai lettori è una “semplice” raccolta di interventi – spesso autorevoli - sulla vexata quaestio dello studio del latino: io mi sono limitato a scegliere gli interventi più convincenti (l’intervista al prof. Luca Cavalli Sforza è, forse, il testo più bello) o più curiosi (si vedano gli articoli sul rinato interesse per il latino negli U.S.A. o sulla vitalità del latino nel web) , introducendoli con una breve prefazione.

P.S. Pochi giorni fa (il 6 aprile) – quando già avevo scritto la presente prefazione- ha affrontato la questione in un’intervista rilasciata al sito web Sussidiario.net il prof. Miraglia, esprimendo perplessità per ipotesi che prevedano l’opzionalità dello studio del latino (http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=15993. Il professore ha ricordato, tra l’altro, che nei paesi europei dove ciò è avvenuto (paesi come Inghilterra o Francia, con grande tradizione negli studi classici) la lingua di Cicerone sia, di fatto, caduta “nel dimenticatoio”, rimanendo a panneggio di una ristrettissima èlite. Non è difficile immaginare quanto accadrebbe anche da noi: per un breve tempo la famiglie sceglierebbero, poi troverebbero più conveniente optare per discipline più “semplici” o apparentamente più “spendibili” (la seconda o terza lingua straniera,ad esempio)

Speriamo, insomma, di non dover dire un domani, constatando l’ignoranza del latino da parte della stragrande maggioranza degli italiani,“quod non fecerunt barbari, Gelmini fecit”!

 

N.B. Il grassetto nei testi è opera nostra.
 

 

IL LATINO E LE “DUE CULTURE”

1. STUDIANDO, STUDIANDO

È il 1993: si discute di riforma della scuola. E il latino è nel mirino. Il genetista italiano LUCA CAVALLI SFORZA prende carta e penna e difende lo studio della lingua di Cicerone: “fra tutte le mie esperienze scolastiche, la traduzione dal latino è stata la attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto


Il futuro di una nazione dipende dalla qualità delle sue scuole. Non se ne parla molto nei giornali, ma oggi è in corso una battaglia silenziosa a proposito della scuola italiana del futuro, in cui uno dei probabili perdenti sarà il latino. Io ho fatto gli studi secondari al liceo classico perché quello scientifico, che allora era da poco iniziato, non dava ancora molto affidamento. Vi imperava il latino: per otto anni ho dovuto dedicargli anch' io molte ore della settimana. Non l' ho mai amato; mi sono state imposte opere letterarie noiose, di scarsa importanza artistica o storica, invece di altre molto più stimolanti. La sintassi è veramente difficile, e non sempre ben spiegata. Perciò durante quasi tutta la vita ho considerato un handicap di essere stato costretto a studiare tanto latino invece che matematica e fisica, materie su cui ho dovuto faticare più tardi quando mi sono accorto di quanto fossero importanti. Ventitré anni fa mi sono trasferito in Usa, ed ero all' inizio entusiasta delle scuole secondarie americane. Mi piaceva il fatto che vi si insegnassero materie come economia, psicologia, sociologia, che nel nostro liceo non esistevano. Ma nel seguito ho dovuto rimangiarmi pian piano tutto l' entusiasmo. In realtà, con l' eccezione della storia degli Stati Uniti, quasi tutto il resto viene insegnato in modo estremamente superficiale; e ho dovuto concludere che nelle scuole secondarie americane si impara veramente troppo poco. Vi sono aspetti positivi, ma sono altri. I ragazzi americani vengono incoraggiati a discutere, e non a restare passivi ad ascoltare, o fingere di ascoltare il professore come avviene da noi, senza esprimere le proprie idee e le proprie critiche. Molto tempo viene dedicato allo sport e ad attività all'aria aperta, specie di gruppo, che promuovono la cooperazione ed anche la competizione. In alcune scuole di élite esistono corsi speciali, "avanzati", in cui si possono imparare bene scienze dure, e questi corsi hanno una validità sufficiente da permettere di evitare di seguire, più tardi, corsi equivalenti all' università. I corsi veramente obbligatori sono assai pochi. In alcune scuole più ricche vi sono molte possibilità di scelta di corsi facoltativi, di solito di natura pratica (di calcolatori, meccanica di motori, elettronica, cucito, cucina e così via). Intellettualmente però la scuola secondaria americana è assai poco stimolante. Nei confronti internazionali gli studenti americani risultano tra i più arretrati specie in matematica, la materia principe per la tecnologia del futuro. Il loro quoziente intellettuale è di undici punti più basso dei giapponesi, le cui scuole primarie e secondarie sono le più impegnative del mondo, e sono rese ancor più dure dalla pressione della famiglia sugli studenti, pressione che invece è quasi assente in America. Risultato medio La scuola secondaria americana tende a dare un minimo assoluto di educazione che possa essere acquisito da chiunque, ed il risultato medio è così poco brillante che il primo, e talora anche il secondo anno di quasi qualunque università americana sono dedicati a por rimedio all' ignoranza degli studenti. Il successo è solo parziale, ma le conoscenze specializzate acquisite all' università americana sono, in compenso, decisamente superiori a quelle ottenute nelle nostre. Copiare in Europa e in Italia la scuola secondaria americana è quindi un assurdo. Sottrarre lo studio in profondità anche se di una sola materia come il latino, per impartire invece in modo superficiale qualche nozione di psicologia, sociologia ed economica, come viene ora proposto è una decisione priva di senso. Si può e si deve apprendere che cosa sono gli assegni, i conti correnti in banca, le società per azioni e così via, ma prima, nella scuola media dell' obbligo. Nella scuola secondaria la scienza non deve essere di qualità deteriore; non bisogna correre il rischio di insegnare una psicologia ed una sociologia di livello paragonabile a quello dei settimanali illustrati. Molto meglio estendere lo studio della scienza dura, la fisica, accompagnata dalla necessaria quantità di matematica. Oggi si può insegnare anche la biologia come materia ricca di idee intelligenti invece che come in passato, quando era una lista di nomi di piante ed animali, di muscoli e di ossa. La scienza va insegnata come metodo per arrivare alla conoscenza, una lunga e difficile ma spesso emozionante strada alla soluzione di problemi, con una chiara visione dei dubbi e delle incertezze che restano e sempre resteranno. Naturalmente questo richiede professori in media più preparati, libri migliori di quelli esistenti, e la possibilità di fare con le proprie mani degli esperimenti semplici ma interessanti. Il calcolatore offre modi di insegnamento completamente nuovi, orizzonti straordinari. Una sociologia trita, spesso ridotta alla scienza dell' ovvio, alla conferma di quello che già tutti sanno, o una psicologia che può risultare di estrema ingenuità per ragazzi smaliziati sono controproducenti. Non è in queste materie che si trovano facilmente occasioni ed esempi per fare della scienza moderna e interessante, se non in certi (rari) esperimenti od osservazioni di psicologia sociale o di etologia che non sono abbastanza numerosi da costituire, da soli, una "materia" da mettere in programma. Meglio insistere soprattutto su discipline veramente ricche di applicazini di quei modelli teorici che sono alla base dei nostri ragionamenti scientifici. L' unico vantaggio che vedo in un insegnamento a livello secondario della sociologia o della psicologia, è che possono dare esempi di applicazioni di calcolo della probabilità e di pensiero statistico, di cui vi sarebbe molto bisogno. Ma occorrerebbe un insegnamento raffinato. Un' arte difficile Torno al latino. Mi sono reso conto, con qualche ritardo, che la mia reazione di antipatia era sbagliata, dovuta in parte all' amarezza per il mancato insegnamento a un buon livello della matematica e della fisica. Ho avuto nel corso della mia vita anche qualche occasione di fare professionalmente uso delle conoscenze di lingua latina, ma soprattutto ho capito che se ho imparato veramente a ragionare e risolvere problemi difficili nel corso del ginnasio e liceo è stato grazie all' esperienza di traduzione dal latino. La traduzione in genere è ancora un' arte molto difficile. Con tutta la ricerca sull' intelligenza artificiale che si fa nel mondo dell' informatica, il problema della traduzione in calcolatore è ancora lungi dall' essere risolto soddisfacentemente. Posso dire che, fra tutte le mie esperienze scolastiche, la traduzione dal latino è stata l' attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto. Proprio questo è l'importante: esercitarsi nel procedimento logico-induttivo che è necessario in qualunque ricerca, quel che gli inglesi chiamano l' inferenza scientifica. Il processo di base è lo stesso in tutto il sapere. Resta poi a fare, per noi italiani, un' altra considerazione. Anche se il fascismo ci ha reso allergici alla rettorica dell' Impero Romano, è sempre vero che una parte importante della cultura europea è di origine latina, e noi italiani ne siamo i discendenti più diretti. La storia politica dell' Italia post-romana non ci ha dato motivi di orgoglio nazionale, o una identità di cui essere fieri come è successo a quasi tutte le altre nazioni europee. Ma la cultura latina è stata di importanza fondamentale per una frazione notevole dell' Europa, e per quella parte della storia culturale italiana di cui possiamo essere più orgogliosi, il Rinascimento, che ne è una filiazione diretta. Vi è abbastanza "noblesse" nella cultura latina che essa ci "oblige" a non dimenticarla. E' bene quindi continuare lo studio della sua lingua in profondità non solo per il suo apporto intellettuale, ma anche per quello di natura emotiva. Sostituirlo con materie di nessun impegno è come togliere lo scheletro a un organismo che deve reggersi in piedi e camminare. Sono convinto che nel mondo del duemila diventeranno sempre più importanti gli orientali, non perché si riproducono molto - per fortuna stanno smettendo - ma perché sono forti lavoratori e hanno un elevato livello intellettuale, come mostrano i test di intelligenza, per quanto grossolani ed imperfetti essi siano. E non credo ciò sia dovuto a una superiorità genetica degli orientali, ma semplicemente al fatto che a differenza della maggioranza degli occidentali studiano moltissimo a scuola. Vi è poi un altro motivo che io ritengo determinante, e che è simile a quello che ho discusso per il latino: la difficilissima scrittura cinese li impegna a dedicare molto tempo e fatica per imparare migliaia di caratteri. Alcuni popoli orientali l' hanno sostituita con alfabeti di tipo occidentale. Ma i più forti e importanti, i cinesi e i giapponesi hanno preferito persistere nel grosso investimento intellettuale necessario per imparare la scrittura tradizionale. Così possono anche continuare a tener viva una cultura ricchissima di cui sono profondamente e giustamente orgogliosi. - di LUCA CAVALLI SFORZA

 

da Repubblica — 27 novembre 1993 pagina 33 sezione: CULTURA


 

2. SUI CONTENUTI ESSENZIALI PER LA FORMAZIONE DI BASE. IL CONFLITTO INESISTENTE

1998: nuovo Ministro (L. Berlinguer) nuove discussioni sulla riforma della scuola. Ancora una volta al centro del dibattito le materie umanistiche e il latino soprattutto. GIOVANNI GALLAVOTTI, Professore ordinario di "Meccanica Superiore" all’ Universita' La Sapienza, Dipartimento di Fisica., interviene a a un convegno sul tema dell'insegnamento delle materie classiche nelle scuole secondarie svoltosi presso l'Enciclopedia Italiana a Roma, il 15-16 maggio 1998. Lo scienziato ammonisce: “Quando dei classici, della loro importanza formativa e delle loro opere, si sarà perduta memoria (questo resterà quando del Latino si proporranno solo i testi "più rilevanti") non ci resteranno che la pizza e gli spaghetti, da esportare).

 

Mi e' stata richiesta una testimonianza sul ruolo avuto dalla mia educazione secondaria rispetto al lavoro da me svolto quale Fisico negli anni successivi, durante i quali l' attività di ricerca ha assorbito quasi interamente ogni mia attenzione e cura.

Puo' sorprendere qualcuno, certo l'estensore del documento di sintesi dei lavori della "Commissione", che quello che più mi e' stato di aiuto non e' stato per nulla lo studio, pur svolto da me in modo appassionato, delle discipline scientifiche, bensì quello del Latino, Greco, Filosofia. E proprio lo studio di queste discipline intese come messa in opera e insegnamento del ragionamento astratto, avulso da immediate applicazioni, e che come tale fornisce gli strumenti essenziali per raggiungere qualsiasi conoscenza.

Senza lo sviluppo delle capacità deduttive e induttive della mente non e' possibile alcuna originalità o profondità in qualsiasi disciplina. Senza la formazione classica ancora vedrei la Scienza non come una disciplina viva, in divenire continuo, riflettente le esigenze della società (nel bene come nel male), ma come un'arida sequenza di lemmi, teoremi, fatti, constatazioni e regole di comportamento e di valutazione.

E' quindi con grande preoccupazione che vedo i progetti in atto, di un "rinnovamento" della Scuola, nel senso discusso dalla Commissione Maragliano, e dell'Universita'.

Sono rimasto assai sorpreso alla lettura del cosidetto "documento di sintesi" perché vi ho visto lo spettro degli anni post-68 riapparire e mostrarsi nelle vesti di un documento ufficiale ad altissimo livello. Il linguaggio, contorto, prolisso, ripetitivo, a volte privo di senso anche letterale mi richiama i discorsi che sopportai negli anni successivi alla contestazione del 68. Sembra che ora i peggiori prodotti di quel tempo siano nobilitati, riconosciuti e rischino di essere imposti a tutti. A parte la confusione delle idee esposte, il progetto e' di rendere la "nuova Scuola" più adatta ai tempi "abbandonando la sequenza tradizionale lezione-studio individuale- interrogazione per dar vita a una comunità di discenti e docenti..", e così via in perfetto stile sinistrese, "valorizzandone" gli aspetti ludici, e ponendone il fondamento su "buoni testi di divulgazione",

e ancora varie amenità.

In altre parole lo studio deve essere facile; dunque via la Storia antica, inutile, via la Filosofia, peculiarità della Scuola italiana, via il Latino e Greco, se non per quel che di moderno si può riconoscere in loro (a quanto pare, anche dal discorso del Ministro all'Accademia, in fondo nulla).

Dentro l'Inglese "veicolare", ormai necessario anche per capire giornali, telegiornali, varietà televisivi e quindi assai utile!

Spazio ai prodotti "multimediali": qui e' un punto dolente. I burocrati italiani, e non solo, hanno timore e riverente rispetto per il mondo della tecnologia, specie elettronica, specie se in mano a monopoli che ci rifilano prodotti costosissimi e di qualità non pari ai costi. Che ravvisano nella Scuola un importante punto di vendita dei loro prodotti (calcolatori desueti, con sistemi operativi costosi, che necessitano di prodotti informatici costosi). Ma non si rendono conto che se c'e' qualcosa che non e' necessario insegnare ai giovani questo e' proprio l'uso di questi mezzi, almeno non al livello dei "media" e dei "clic" vari. Si vuole usare la Scuola per insegnare la sola cosa che non e' necessario insegnare: l'uso dei mezzi di calcolo e i vari strumenti elettronici nelle loro applicazioni meno interessanti, o più banali.

Si vede anche il tentativo goffo di imitare modelli esteri, ad esempio USA, dove e' noto a chiunque che la Scuola non funziona. Ma negli USA, come in Francia non c'e' la finzione che la Scuola sia uguale per tutti. Li si e' coscienti che la Scuola e' un formidabile meccanismo di selezione. Qui in Italia, dove la Scuola ancora produce studenti di grande preparazione e con interesse per lo studio e il lavoro, un ulteriore abbassamento del livello avrebbe come unico effetto quello di produrre una selezione feroce, cosa assai sorprendente da parte di un governo (anche se forse il migliore fra quanti io ricordi) che si vuole attento ai problemi dei meno abbienti. I più si troveranno impreparati al momento della scoperta che la vita non ha nulla a che fare con il giochi, "interessanti e formativi", che sono stati propinati nelle scuole.

Colpisce che l'appiattimento proposto venga accompagnato dal completo disinteresse per la conseguenza ovvia: in Italia si rinuncerà, per seguire parole d'ordine insensate suggerite dai documenti in questione, alla capacità produttiva intesa come capacità produttiva di novità nelle Scienze, nelle Arti e nella Tecnica. Gli italiani sono condannati a vivere del lavoro altrui, con tutti i ricatti e problemi che questo implicherà. Comprare i brevetti significa essere meno liberi. Formare tecnici in grado solo di "fare clic" su uno schermo può solo portare alla sterile sudditanza ai "padroni delle tecnologie". Qui non siamo in USA dove la Scuola cattiva e' supplita dall'importazione di stranieri che invece hanno frequentato scuole formative: in Italia si frappongono tutti gli ostacoli possibili all'ingresso di forze esterne nel mondo della Scuola, Università e ricerca. E comunque in USA esistono scuole buone, anche se inaccessibili ai più ma in numero sufficiente alle necessità. Non siamo in Francia in cui tutti gli studenti hanno la consapevolezza che, ove non frequentino certe scuole (in linea di principio gratuite ma di accesso selettivo in base alle "capacità" dimostrate), non avranno uguali possibilità nella vita.

In Italia un declassamento della Scuola significa l'emarginazione di un intero paese, con grande sollievo dei concorrenti. Quando dei classici, della loro importanza formativa e delle loro opere, si sarà perduta memoria (questo resterà quando del Latino si proporranno solo i testi "più rilevanti") non ci resteranno che la pizza e gli spaghetti, da esportare.

Come proposta di metodo mi permetto di suggerire ai residui del 68, oggi in posizioni chiave grazie alla richiesta di rinnovamento che proviene da tutti, di abbandonare il sinistrese e rendersi conto che la riforma della Scuola e' un problema serio: che non e' la stessa cosa studiare un argomento a 15 o a 25 anni. Il momento dell' apprendimento serio, non "quale gioco", deve avvenire in giovane età. Sembra inevitabile mantenere una distinzione del livello dell'istruzione in funzione delle diverse scuole: che sia chiaro che scegliere una scuola invece che un'altra fornisce preparazione e prospettive differenti. Evitando ovviamente odiose distinzioni per censo, superate certo dai tempi; ma con la consapevolezza che finché si accetta che nella società civile coesistano criminalità organizzata (e nota), sfruttamento del lavoro di stranieri fatti venire proprio per essere sfruttati, periferie squallide e senza servizi, burocrati inetti, allora la Scuola uguale per tutti è una finzione insostenibile e dannosa per tutti. GIOVANNI GALLAVOTTI

Fonte: http://ipparco.roma1.infn.it/pagine/deposito/1998/prisma.txt

 

3. LATINO COME MATEMATICA

Sul sito www.matematicamente.it si può accedere a un forum. Argomento: eliminare o no il latino dal liceo scientifico. Molti gli interventi pro e contro. Interessante quello di un docente di matematica e fisica, che si firma Enomis, il quale propone un interessante paragone: latino e matematica giocano lo stesso ruolo, uno in ambito umanistico, l’altra in ambito scientifico.

Ho l'impressione che molti degli interventi contro il latino siano influenzati dalla preferenze personali, piuttosto che da un'analisi approfondita. Aggiungo che molti utenti di questo forum vedono il latino come colui che ruba il posto alla matematica, e quindi vedono di buon occhio una sua eliminazione, nella speranza che questo fatto comporti un aumento di ore per le discipline scientifiche.
Non lasciamoci ingannare, però tutto ciò è fuorviante.
Io ad esempio non amo lo studio delle lingue moderne, probabilmente perché non ho grande predisposizione per esso (me la cavo un po' con lo scritto, ma la mia pronuncia e pessima e il mio lessico ridotto, nonostante abbia studiato l'inglese per otto anni e il francese per cinque). Non mi sono minimamente però di bollare come inutile lo studio delle lingue straniere.
Ho insegnato matematica e fisica nel triennio del liceo scientifico, e so quanto sia difficile svolgere tutti quegli argomenti con solo tre ore settimanali, nelle quali non puoi solo spiegare o svolgere esercizi e problemi, ma devi anche interrogare e fare compiti in classe. E trovavo assurdo che il collega di latino avesse lo stesso numero di ore a disposizione, per fare per lo più letteratura in LINGUA ITALIANA, spesso senza alcun riferimento ai testi originali.
Ma allora parliamo di riformulazione dei piani orario, o di revisione dei metodi di insegnamento, ma non di abrogazione del latino! Non commettiamo l'errore opposto (e nello stesso tempo simile) a quello che fecero Gentile e Croce, che consideravano la scienza una attività meramente pratica, mentre la vera cultura era solo quella umanistica.
Il latino fa parte, per ragioni che tutti conosciamo, della cultura europea. Ma questo da solo non basterebbe a giustificarne la necessità del suo studio: la traduzione di un passo latino mette in campo una serie di capacità logiche, e per certi versi, nel campo umanistico gioca il ruolo della matematica nell'ambito scientifico.
Certo, tali abilità logiche possono essere coltivate anche con lo studio di altre discipline (ad esempio l'informatica), ma non dimentichiamoci che il liceo scientifico è innanzi tutto un liceo, e che quindi la cultura umanistica deve avere un largo spazio. Chi ha altri interessi o altre attitudini può sempre scegliere altri istituti nei quali lo studio del latino non è previsto.

Fonte: http://www.matematicamente.it/forum/abolizione-latino-liceo-scientifico-t33314.html

 

4. ELOGIO DELLE COSE INUTILI: MUSICA, LATINO E ALTRE BELLE COSE

Il musicologo italo-svizzero MARCELLO SORCE KELLER interviene con la seguente relazione al Convegno dell'Associazione Italiana di Cultura Classica - Delegazione della Svizzera Italiana, a Lugano, Università della Svizzera Italiana,il 13 maggio 2000 .Il titolo è provocatorio: tra le cose belle e inutili figura anche la matematica. Sempre più siamo circondati da persone che non hanno una cultura umanistica e non hanno nemmeno una cultura scientifica, ma solo persone che utilizzano professionalmente un corredo di informazioni tecniche (cosa che con la cultura scientifica ha, in fondo, poco a che fare)”.
 

Vorrei dire in primo luogo che ho qualche difficoltà ad aggiungermi a coloro, e sono numerosi, che amano sostenere l‘utilità del latino, del greco e della cultura classica in generale. Questo perché per natura sono portato a condividere la famosa dichiarazione di Oscar Wilde, quella in cui disse: «posso rinunciare a tutto, meno che al superfluo». Non avrei scelto di fare il musicista se non propendessi naturalmente per le cose che non sono immediatamente utili. La musica, per fortuna, non è immediatamente utile. Ma non è la sola cosa bella a non esserlo. La matematica spesso non lo è nemmeno - e i matematici sono sovente disturbati dall'utilizzo ingegneresco che spesso si fa del loro lavoro. Lo vivono quasi come una profanazione. Insomma, quello che desidero dire è che una scuola che offra agli studenti solo cose immediatamente utili mi sembrerebbe una scuola molto povera.

È chiaro però che lo studio del latino e del greco può essere considerato, in qualche modo, anche utile. In primo luogo perché l‘attività dello studiare è sempre proficua. E poi la vita non manca mai, prima o poi, di offrirci la possibilità di impiegare quel che sappiamo, in qualunque area risieda questa nostra conoscenza. Cosa studiare allora? È un problema da far tremare le vene e i polsi e non è certo un povero musico come me che può sperare di trovare una risposta adeguata. Ma, visto che mi si offre la possibilità di dire la mia, allora la dirò - a nessuno dispiace potere esprimere il proprio punto di vista.

Lasciate che la dica così allora: tutti noi siamo in genere ben contenti dell'identità nazionale che abbiamo (gli svizzeri sono orgogliosi di essere svizzeri, i francesi però sono altrettanto orgogliosi di essere francesi, e così via dicendo). Similmente, siamo tutti contenti delle cose che abbiamo studiato perché, contribuendo a formare la nostra visione del mondo, esse hanno in buona misura strutturato la nostra identità. Coloro che sono portatori di una cultura classica non se ne pentono affatto e coloro che possiedono, invece, una cultura tecnico-scientifica sono altrettanto lieti di averla potuta acquisire.

Ora, sul piano delle identità nazionali c‘è poco da fare: abbiamo quella che abbiamo. Non sapremo mai cosa voglia dire essere cinesi e valutare quanto la nostra visione del mondo potrebbe essere arricchita dalla «cinesità». Ma è invece possibile avere un'idea, almeno parziale, di cosa ci possano dare le diverse aree della conoscenza - se la scuola ci offre la possibilità di frequentarle e di assaggiarle. È la scuola che può farlo. È da questo punto di vista sono convinto dell'importanza del latino e del greco. In fondo, si dice sempre ai nostri giorni che dobbiamo aprirci alle altre culture. Ma le altre culture non sono solamente quelle che si definiscono con coordinate etniche e geografiche. Ci sono culture del sapere, della conoscenza.

Vorrei però che fosse chiaro che difendendo oggi l‘importanza della cultura classica non intendo con ciò sottovalutare l'eguale importanza di quella scientifica. Anche quest'ultima, in fondo, in altra sede, andrebbe egualmente difesa. Anche la cultura scientifica mi sembra in serio pericolo, anche se è consueto pensare che questa sia l'epoca della scienza. Ma è un luogo comune senza fondamento. Fu il premio Nobel per la fisica Richard Feynman che qualche anno fa osservò che forse mai nella storia del mondo le persone istruite sono state così tanto digiune di scienza come lo sono oggi. Mi sembra un'osservazione centrata. Conoscete voi, personalmente, molti portatori di una cultura scientifica? Avete molti amici che saprebbero spiegare come funziona una radio o un televisore, o solamente dire cosa sia la modulazione di frequenza? E, soprattutto, quanti sono consapevoli della tormentata storia delle idee, delle forme di pensiero che hanno portato a queste tecnologie?

Forse se le materie scientifiche venissero insegnate come cultura (ambito nel quale mi pare ci sia poca tradizione didattica) si renderebbero più evidenti i legami con la cosiddetta «cultura classica», legami che altrimenti rischiano di non apparire.

In conclusione: alla fine degli anni ’50 Charles Percy Snow parlava di «due culture», quella umanistica e quella scientifica, due culture che si ignorano a vicenda. Non sarebbe forse tanto tragico se le cose stessero davvero in questi termini che pure lui deprecava: se queste due culture, anche separate, fossero diffusamente presenti nella nostra società. Mi pare invece che, sia l‘una che l'altra, appartengano davvero a pochi. Sempre più siamo circondati da persone che non hanno una cultura umanistica e non hanno nemmeno una cultura scientifica, ma solo persone che utilizzano professionalmente un corredo di informazioni tecniche (cosa che con la cultura scientifica ha, in fondo, poco a che fare).

In attesa che i preposti a questo compito riescano a far sì che le scienze nella scuola siano presenti in quanto cultura (vale a dire in tutta la loro complessa problematicità e contraddittorietà), nel frattempo direi di evitare di precludere ai giovani la possibilità di confrontarsi con un'altra cultura che fino all'altro ieri la scuola rendeva facilmente accessibile: quella cosiddetta «classica». Anche se un po' di studio del sanscrito, io ne sono convinto, farebbe molto bene a tutti noi che parliamo lingue indo-europee, accontentiamoci… almeno di potere trovare nelle scuole un poco di greco e di latino.


Fonte: http://www.rodoni.ch/marcellosorcekeller/marcellolatino.html

 

LATINO LINGUA MORTA?

5. CLASSI DIRIGENTI. GLI AMERICANI RISCOPRONO IL LATINO E IL GRECO

L’articolo che segue è stato pubblicato- a firma di Maurizio Ferrera- il 12 agosto 2008 sul Corriere della sera. La notizia è ghiotta: negli States si è scoperto ciò che, qui da noi, molti rifiutano di ammettere (“i punteggi ottenuti nelle prove di capacità logico-verbali sono sistematicamente più elevati fra i giovani che hanno studiato una lingua classica”).

L'Economist l'ha chiamata «una versione ellenistica di Woodstock». Più che un evento accademico, la Greek Summer School di Bryanston, in Inghilterra, è infatti una kermesse dove si fa di tutto: corsi di grammatica, letture pubbliche di Omero, pittura su vaso. E, naturalmente, molto teatro: tragedie e commedie lette, tradotte e persino recitate in costume nella lingua di Euripide e Aristofane. Da quarant'anni la scuola di Bryanston (due settimane a cavallo fra luglio e agosto) attrae partecipanti da tutto il mondo, fra i 16 e i 25 anni. Le domande aumentano ogni estate: segnale di un vero e proprio revival del greco antico e, più in generale, delle lingue classiche che si riscontra ormai in vari Paesi. Il fenomeno è particolarmente evidente negli Stati Uniti. Dagli anni Novanta gli studenti universitari che frequentano corsi di greco e di latino sono aumentati del 30%. La crescita riguarda sempre di più anche le scuole secondarie e persino le medie. Come si spiega questo boom classicista nel Paese della new economy e delle nuove tecnologie? In parte si tratta di una ricerca di distinzione all'interno di un sistema educativo sempre più massificato e al tempo stesso sempre più competitivo. L'aver studiato una lingua classica sta diventando una sorta di messaggio in codice sia verso il mondo del lavoro che verso le migliori graduate schools. Un messaggio di serietà e curiosità intellettuale, che peraltro si ricollega ad un'antica tradizione del mondo anglosassone. Qui le scuole medie una volta si chiamavano grammar schools e la grammatica che si imparava per prima era quella latina. Fino all'Ottocento, per entrare ad Harvard bisognava saper parlare latino «suo — ut aiunt — Marte» («con le proprie forze, come si dice»: cioè da soli, senza aiuto). In un recente sondaggio, due terzi delle università Usa hanno dichiarato che, a parità di fattori, la conoscenza del greco o del latino conferisce agli studenti una marcia in più. E con ciò arriviamo alla molla più rilevante dietro al revival delle lingue classiche: il loro apprendimento ha un elevato valore formativo. Studiarle significa allenare non solo la memoria e l'attenzione per il dettaglio, ma anche le capacità logiche e di ragionamento critico. Si sviluppano in questo modo competenze generali sulle quali appoggiare le molteplici competenze specifiche che si acquisiscono in seguito o in parallelo. Per iscriversi al college e poi alle graduate schools gli studenti americani devono sostenere una serie di test attitudinali.
Ebbene, i punteggi ottenuti nelle prove di capacità logico-verbali sono sistematicamente più elevati fra i giovani che hanno studiato una lingua classica (di nuovo, a parità di altri fattori). Il vantaggio è visibile anche rispetto a chi ha studiato lingue vive «strutturate» (con casi e declinazioni) come il russo o il tedesco. E' sulla base di questi dati che i cosiddetti latin-based programs si stanno diffondendo in molte scuole medie, anche in quelle pubbliche situate in quartieri disagiati. Naturalmente nel sistema educativo americano gioca un ruolo centrale anche lo studio di un'altra disciplina che è da sempre usata per allenare la mente degli studenti: la matematica. Seppure meno evidente che negli Usa, il revival classicista si registra anche in molti Paesi europei. L'Italia ha sempre detenuto il record mondiale per lo studio del latino e del greco nella scuola secondaria. Dopo un periodo di declino, il liceo classico ha visto nuovamente crescere negli ultimi anni la propria capacità di attrazione. Se le indicazioni che emergono dagli Usa sono affidabili, possiamo allora dire che, proprio grazie al liceo classico, il sistema scolastico italiano possiede una sorta di «vantaggio comparato» rispetto ad altri sistemi europei? Purtroppo non disponiamo di statistiche affidabili per rispondere.
Le indagini PISA- OCSE si riferiscono agli studenti quindicenni: troppo presto per cogliere l'«effetto classico» sulla loro preparazione. Molti docenti universitari sostengono che i giovani del classico hanno competenze più robuste e soprattutto più «plastiche» degli altri: ma si tratta di impressioni. Va poi considerato che nell'ultimo quindicennio le scuole secondarie hanno avviato un'intensa fase di sperimentazione. Pur mantenendo ferma la centralità del greco e del latino, molti licei classici hanno rafforzato il peso delle materie scientifiche. Purtroppo di questi esperimenti sappiamo poco o nulla: non esiste un sistema nazionale di monitoraggio, per non parlare di valutazione (un'altra voce da aggiungere alla fitta agenda del ministro Gelmini). E' tuttavia probabile che la sperimentazione nei licei ginnasi abbia prodotto più di un «tesoretto» in termini di mix disciplinari virtuosi ed efficaci. Se così è, la sfida è allora quella di individuare questi patrimoni nascosti e valorizzarli il più possibile per rafforzare il nostro capitale umano e promuovere eccellenza educativa. L'«effetto classico» potrebbe inoltre avere qualche ricaduta non trascurabile anche sul piano commerciale. Se in giro per il mondo ci sono così tanti (aspiranti) grecisti e latinisti, perché non proporre scuole estive nelle nostre regioni? Immaginatevi una Schola Antiquitatum in Sicilia. La cornice artistica e ambientale sarebbe senz'altro più suggestiva che a Bryanston, Dorset (per non parlare di clima e cibo). Forse si riuscirebbe a intercettare un buon numero dei nuovi turisti dell'istruzione, anche dall'America. Servirebbe un piccolo sforzo, certo. Ma vi sarebbero anche buone prospettive di guadagno. Anzi:di lucrum magnum. (corriere online, 12 agosto 2008)

 

Fonte: http://www.corriere.it/cronache/08_a...4f02aabc.shtml
 

6. IL LATINO, NUOVA LINGUA D´AMERICA

Il Latino, nuova lingua d´America. In dieci anni aumentato del 30% il numero di chi supera l´esame.
Sorpresa, nei licei americani è di moda studiare latino. Raggiunto il record degli ultimi trent´anni di ragazzi che traducono Orazio e Cicerone Il preside di una scuola di Brooklyn: "È lo studio che distingue le persone di successo".

In un paese- il nostro- ormai convinto che il latino sia “roba superata” la notizia della riscoperta americana della lingua di Cicerone non può non colpire i giornalisti. Sulla questione, infatti, ritorna, sulle pagine di Repubblica, Marina Cavallieri . Nella stessa pagina un’intervista al latinista Luca Canali.

ROMA. Sarà responsabile la crisi economica e dei valori o semplicemente colpa dei film dai grandi incassi, dal "Gladiatore" a "Troy" fino alle formule magiche di "Harry Potter", ma il paese più moderno e più avanzato del mondo torna all´antico e sui banchi di scuola sceglie di studiare il rigore, il passato ovvero il latino. Nelle scuole di New York ma anche in Nuovo Messico e Alaska, sempre più studenti si applicano alla lingua di Cicerone.
Si cimentano con i futuri e i participi, abituati ad un idioma sintetico e globale guardano indietro e scelgono di declinare rosa, rosae.

Un articolo del New York Times illustra una tendenza che forse è qualcosa di più di un episodio e qualcosa di diverso da una moda scolastica, è una ventata di classicismo che si diffonde nelle aule dove gli studenti navigano su Internet e comunicano con sms e chat. Crescono infatti i corsi di latino, fa proseliti la cultura dei "padri europei", un mondo non più noioso, obsoleto o snob, ma per i ragazzi semplicemente cool.
Le cifre sono sufficienti a far parlare di un fenomeno e a spingere ad indagare: negli ultimi due anni sono stati più di 134 mila gli studenti americani che si sono presentati all´Esame nazionale di latino, erano stati 124 mila del 2003 e i 101 mila del 1998. Gli studenti che superano l´Advanced Placement Test sono raddoppiati in dieci anni, più di 8 mila nel 2007. Non solo corsi di studio ma anche scuole come la Brooklyn latin school, sorta nel 2006, dove il preside Jason Griffiths spiega solennemente che il latino è «la lingua delle persone di successo». Non ci sono però solo i libri per studenti secchioni ma anche spettacoli per nuovi fans come quello che mette su il liceo di Scarsdale, nello stato di New York, che organizza ogni anno un banchetto per le Idi di marzo dove bisogna presentarsi vestiti con la toga. Gli studenti invece di inorridire sono aumentati del 14 per cento. È così che dopo il francese e lo spagnolo la lingua di Cicerone potrebbe raggiungere il tedesco nella classifica delle più studiate lasciando indietro il cinese, troppo lontano e oscuro anche se emergente.

«Non mi stupisce questo interesse, mi stupisce che arrivi adesso», dice in Italia Filippo Tarantino, preside e protagonista di una rete europea di scuole e insegnanti che promuove la cultura classica e i valori umanisti, si chiama Ewhum ed è attiva in nove paesi, dalla Spagna alla Romania. «Gian Battista Vico diceva che quando una nazione vuole nobilitarsi deve cercare le radici. Le nazioni più avanzate hanno capito che se vogliono radicarsi, devono andare al passato. Dal latino c´è molto da imparare, la sua logica è la cosa più istruttiva che ci sia, ma tutta la storia è ancora ricca d´insegnamenti: gli antichi romani sono riusciti a costruire un impero grandissimo e far parlare tanti popoli lo stesso linguaggio».
«Futuro latino» recitava un convegno recente che proponeva uno sguardo al passato per affrontare i rischi e le incognite della globalizzazione. «Credo che questo interesse si possa leggere anche come un antidoto alla modernità e ai suoi eccessi», spiega Michele Cortellazzo, docente di linguistica. «In Italia siamo ancora dentro ad un discorso di distacco e abbandono ma i paesi più avanzati possono volgersi al passato senza complessi». Il latino ha confini chiusi, «monolitici, è una lingua ancora governabile», nel mondo che cambia la lingua dei Cesari può essere anche rassicurante.

Repubblica — 08 ottobre 2008   pagina 49   sezione: CRONACA


 

Loro hanno capito che non ci sono solo le parole della tecnica (Intervista con Luca Canali)

  • Professor Luca Canali, da latinista si spiega il successo di questa lingua negli Stati Uniti?

«Ci sono tante ragioni ma questo successo non mi meraviglia, sarebbe però meglio chiarire prima perché il latino è in decadenza in Italia».

  • Lo spieghi.

«Siamo un paese sempre in ritardo, pensiamo di poter essere al passo dei tempi trascurando il latino, le nostre radici, e parlando invece l' angloamericano, il linguaggio della tecnica, della comunicazione che ci fa sentire moderni, tutto questo è molto provinciale».

  • Negli Stati Uniti invece?

«Sono stanchi di una cultura attuariale, pragmatica. Forse in questa tendenza che esiste da due, tre anni ci sarà anche una ventata di moda, di polemica contro l' estremo pragmatismo del loro insegnamento ma c' è anche il desiderio di conoscere una letteratura che ha un carattere universale. Uscirà in primavera un mio libro «Fermando Attila», edito da Bompiani, che prende spunto proprio da un dibattito sul latino, se sia necessario o no, che ci fu sui giornali anglosassoni».

  • Che cosa può dare oggi il latino ad un ragazzo italiano o americano che sia?

«Una sintassi estremamente razionale che bisogna imparare ragionando e non solo studiando a memoria e questo è già qualcosa. Ma soprattutto bisogna sapere che la letteratura antica, latina e greca, è alla base della letteratura e dell' intera cultura occidentale, così come si leggono i grandi della letteratura inglese o tedesca si devono leggere i classici latini». (m.c.)

 

Repubblica — 08 ottobre 2008   pagina 49   sezione: CRONACA
 

7. LA LINGUA LATINA OGGI: NEL WEB E IN LIBRERIA

Lingua morta? Mica tanto. Numerosi siti web diffondono notiziari in latino. Sia la radio finlandese YLE Radio sia la tedesca Radio Bremen pubblicano in internet i “Nuntii latini” (le news, si potrebbe tradurre), che possono anche essere ascoltati. Sul sito della radio finlandese è possibile partecipare a chat su temi di attualità. Forum e notizie anche nel notiziario polacco online Ephemeris. http://www.alcuinus.net/ ephemeris/.

Google ha fatto di più: è possibile grazie a Google latina compiere ricerche nel web nella lingua di Cicerone(http://www.google.com/intl/la/ ).

Un’ulteriore conferma della vitalità del latino fuori dall’Italia: nel 2003 è stata pubblicata in Inghilterra una traduzione latina (ad opera di Peter Needham) del primo romanzo con protagonista il maghetto inglese (Harry Potter e la pietra filsofale). Riportiamo l’incipit del romanzo.

  • Dal sito di Radio Brema (http://www.radiobremen.de/nachrichten/latein) riproduciamo due notizie di cronaca del settembre 2008: la crisi che ha colpito l’economia americana (che si trova “in summo discrimine”) e la partita di calcio Werder Brema-Monaco

America in summo discrimine

Ruina maximarum quarundam domorum argentariarum Americae res nummariae universales in summum discrimen vocatae sunt. Pecuniis a re publica commodatis gubernatores Americani alias fortunarum ruinas avertere potuerunt. Sunt qui dicant avaritia et cupiditate immoderata argentariorum factum esse, ut res per orbem terrarum in tanto periculo sint.

 

Brema Monaci triumphat

Monaci dies festi Octobres agi coepti sunt. Sed quidam viri Bremenses gaudium Bavarorum turbaverunt. Manus pedifollica Werder Bremen campionem omnium maximum Monaci quinque ad duo devicit. Rosenberg, Naldo, Özil, Pizzaro et iterum Rosenberg Bremenses follem portae adversariorum intulerunt. Pro Bavaris id contigit bis Tim Borowski pristino Werderano. Jürgen Klinsmann exercitator novus manus pedifollicae Bavarorum horruit obstipuitque. Sed forte hoc ipso tempore accidit, ut Monacensibus cervisia festi Octobris solacio esse possit. Qua consumpta, quippe cui magna copia alcoholi inest, facile te oblivio rerum adversarum capit.
 

  • HARRIUS POTTER ET PHILOSOPHI LAPIS

CAPUT PRIMUM

Puer Qui Vixit

 

Dominus et domina Dursley, qui vivebant in aedibus Gestationis Ligustrorum numero quattuor signatis, non sine superbia dicebant se ratione ordinaria vivendi uti neque se paenitere illius rationis. In orbe terrarum vix credas quemquam esse minus deditum rebus novis et arcanis, quod ineptias tales omnino spernebant. […]


 

LATINO E CIVILTA’ EUROPEA

8. IL LATINO, LINGUA MORTA?

Latino, ovvero le sette vite di una lingua che non è mai morta di Roberto de Mattei
Il seguente articolo, pubblicato sull’Osservatore romano il 7 maggio del 2008, affronta la questione dell’importanza del latino in modo ampio, facendo anche riferimento a quanto emerso al convegno ''Futuro Latino: la lingua latina per la
costruzione e l'identità dell'Europa''
, svoltosi a Roma nel maggio 2007 e promosso. dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Pontificio Comitato per le Scienze storiche “La lingua latina può offrire oggi un prezioso aiuto per recuperare quei valori universali, umani e civili che sono radicati nel patrimonio culturale europeo”)


In Italia, secondo un'inchiesta realizzata dall'associazione Treellle, (Latino perché, latino per chi?), il peso attribuito al latino nell'istruzione è di gran lunga più elevato rispetto a tutti gli altri Paesi occidentali. Eppure, l'insegnamento del latino, eliminato dalla scuola media unificata, è di fatto ridotto a quello di una materia specialistica e non rappresenta più la base della nostra formazione culturale. La questione del ruolo del latino nella società attuale meriterebbe di essere ripensata, come, nel maggio scorso, propose il Pontificio Comitato di Scienze Storiche, in un convegno internazionale, organizzato assieme al Consiglio nazionale delle ricerche proprio sul tema "Futuro latino". In quel convegno, Wang Huansheng dell'Accademia cinese delle scienze sociali spiegò, ad esempio, come oggi, in Cina la corsa allo sviluppo e all'industrializzazione si accompagna con un interesse crescente per questa lingua millenaria, studiata per approfondire le discipline scientifiche e giuridiche. Monsignor Walter Brandmüller ricordò da parte sua che, in epoca di globalizzazione, la conservazione dell'immenso patrimonio culturale europeo e la sua trasmissione è impensabile senza lo studio della lingua e della cultura latina e greca, che l'hanno creato. La lingua non è infatti un mero strumento di comunicazione, ma l'espressione del patrimonio di conoscenze, modi di pensare, espressioni, che costituisce l'identità culturale di una civiltà.
Qualcuno pensa che, nell'epoca della globalizzazione, la lingua inglese abbia acquisito buona parte delle funzioni che una volta aveva il latino. In realtà nel medioevo il latino era la lingua del sapere che veicolava un capitale culturale condiviso da tutta la società. Oggi invece l'inglese è un codice linguistico, padroneggiato in maniera spesso superficiale e limitato a scambi ben determinati e ad attività specifiche, per lo più di lavoro. L'inglese, inoltre, proprio in quanto lingua nazionale di un certo numero di Stati è da considerarsi una lingua ausiliaria internazionale piuttosto che lingua realmente sovranazionale.

Del resto, come spiega bene Samuel Phillips Huntington (La nuova America. Le sfide della società multiculturale, Milano, Garzanti, 2005, pagine 551, euro 19,50), l'inglese arretra proprio negli Stati Uniti, in seguito alla progressiva ispanizzazione della società americana. Il caso di Miami, la città più ispanica dei cinquanta Stati d'America non è isolato. Considerata da molti come "la capitale dell'America Latina", "Miami anticipa forse il futuro di Los Angeles e di tutto il Sud-Ovest?", si chiede allarmato l'autore dello Scontro delle civiltà. Di fatto nel Duemila, 47 milioni di persone (il 18% degli americani dai cinque anni in su) parlavano una lingua diversa dall'inglese in famiglia; 28 milioni di essi parlavano lo spagnolo. Oggi la percentuale è sensibilmente aumentata.
Il fatto che il latino non sia più una lingua correntemente parlata non significa che sia una lingua morta. Una lingua non più parlata, ricorda Claude Hagège, nel suo Morte e rinascita delle lingue, (Milano, Feltrinelli, 2002, 280 pagine, euro 28) non è necessariamente morta e addirittura può risorgere, come è accaduto in maniera sorprendente nel ventesimo secolo con l'ebraico. Lingua morta non è neanche l'arabo classico che si usa comunemente ancor oggi nella letteratura e in tutte le circostanze formali, ma che non è lingua materna di nessuno: gli abitanti dei Paesi arabi, nella vita quotidiana, parlano e trasmettono ai propri figli, soltanto il dialetto della regione in cui vivono. Morte sono le lingue che, oltre a non essere più parlate da alcun locatore, non hanno lasciato tracce nella cultura di un popolo
Bisognerebbe rileggere l'introduzione di Luigi Einaudi al libro, oggi introvabile, di monsignor Pietro Barbieri, L'ora presente alla luce del Vangelo (1945) in cui, parlando del latino, l'allora governatore della Banca d'Italia osservava giustamente: "No. Quella lingua, nella quale parlavano i pretori, i giudici e i centurioni del tempo di Cristo non è morta (...). La comunità dei credenti non è composta dei soli uomini viventi oggi. Essa vive nelle generazioni che si sono succedute da Cristo in poi. Ognuna di quelle generazioni ha trasmesso quella parola alle generazioni successive; ed ogni generazione ha sentito quella parola e vi ha creduto perché essa era stata sentita e in essa avevano creduto i suoi avi".
Einaudi si sarebbe rallegrato ascoltando le parole di Benedetto XVI, che
nell'esortazione agli studenti della facoltà di Lettere classiche e cristiane della Pontificia Università Salesiana di Roma, il 22 febbraio 2006, ha affermato: "Giustamente i nostri predecessori avevano insistito sullo studio della grande lingua latina in modo che si potesse imparare meglio la dottrina salvifica che si trova nelle discipline ecclesiastiche e umanistiche. Allo stesso modo vi invitiamo a coltivare questa attività in modo che il maggior numero di persone possibile possa avere accesso a questo tesoro e apprezzare la sua importanza".
La prima ragione dell'uso del latino da parte della Chiesa nasce da quella che è la sua proprietà irrinunciabile: l'universalità. La predicazione cattolica è avvenuta in molte lingue. La stessa celebrazione della liturgia conosce una molteplicità di riti in diversi idiomi. Ma tra tutte le lingue, quella latina si è presto imposta, non solo per il carattere di universalità che le derivava dall'essere la lingua dell'impero di Roma, ma anche grazie alla sua capacità di racchiudere in forma concisa ed efficace concetti di grande densità teologica, giuridica e culturale. La Chiesa non è divenuta nazionale in nessun Paese, in nessun momento, e ha trovato nel latino la forma di espressione a lei più connaturale, come ha osservato Romano Amerio. Una connaturalità non metafisica, come se il cattolicesimo non potesse esistere senza il latino, ma una connaturalità storica, dovuta a un rapporto intimo e particolare tra la lingua latina e la religione cattolica (Iota unum, Milano, Ricciardi, 1989, euro 30,99).
I linguisti Emanuele Banfi e Nicola Grandi osservano che la forza del latino stava nell'essere un sistema riprodotto in modo identico (almeno virtualmente) da una generazione all'altra, al fine di trasmettere un messaggio immutabile: la forza del latino era in una parola nella sua grammatica (Lingue d'Europa, Roma, Carocci, 2002, 264 pagine, euro 21,80). Era una lingua che traduceva in vocaboli e regole grammaticali tutta una cultura: una "lingua del sapere" che presupponeva un complesso di principi religiosi, etici e giuridici che orientavano la vita tanto individuale che sociale.
Il latino potrebbe costituire ancora la base per quella "grammatica della legge morale universale" di cui parlò Giovanni Paolo II nel suo discorso alle Nazioni Unite del 5 ottobre 1995.
Rivolgendosi alla stessa assemblea
, Benedetto XVI si è ancora una volta richiamato alla necessaria universalità di diritti e di valori, basati sulla comune natura umana. La lingua latina può offrire oggi un prezioso aiuto per recuperare quei valori universali, umani e civili che sono radicati nel patrimonio culturale europeo. Le strutture linguistiche permanenti rinviano infatti a strutture del pensiero che non mutano; le parole sono segno e simbolo del pensiero, ma prima dell'atto di pensare, ovvero del processo mentale con cui si scopre la realtà, c'è la realtà stessa, ci sono i valori universali che precedono il pensiero e il linguaggio. Caratteristica della latinità è proprio la capacità di offrire strumenti linguistici e concettuali particolarmente idonei a cogliere la natura universale delle cose. Sotto questo aspetto si possono sottoscrivere le osservazioni di Edmund Husserl, secondo cui la "lingua europea" non è questa o quella lingua determinata, ma un quadro di valori immutabili che esprime ciò che è conforme alla natura razionale dell'uomo: regole essenziali valide in ogni epoca e in ogni luogo su cui si può costruire il futuro (Crisi e rinascita della cultura europea Venezia, Marsilio, 1999, 96 pagine, euro 9,30). La lingua europea è insomma una grammatica unica di valori e di diritti che in Europa sono nati e si sono sviluppati attraverso forme linguistiche diverse. Ma il latino costituisce la piattaforma irrinunciabile di questa lingua universale che l'Europa può ancora irradiare, senza complessi eurocentrici, nel mondo. La scuola italiana è chiamata, in questa prospettiva, ad un importante compito, che il nuovo governo non potrà ignorare.

(L'Osservatore Romano - 7 maggio 2008)
 

9. POURQUOI LE LATIN AUJOURD'HUI?

La questione dell’utilità (o inutilità ) dello studio del latino è vivace anche fuori dall’Italia. L’intervento che segue fu letto all’Università di Liegi il 25 gennaio del 1989 da Guy Licoppe, medico chirurgo, presidente della fondazione “Melissa”. Nell’ampia relazione (da noi ridotta) è sottolineata l’importanza della lingua latina per la formazione di una coscienza europea

Vous vous demandez sans doute à quel titre un médecin vient vous parler du latin. Notre époque n'a d'oreille que pour les "spécialistes" et, de nos jours, la médecine ne semble plus guère avoir de rapports avec le latin.Je pourrais répondre à la suite du grand épistémologiste français Michel Serres, que l'hyperspécialisation est un retour funeste à la barbarie; d'autre part ce n'est pas en tant que médecin, mais seulement en tant que citoyen très concerné par l'évolution historique et politique de nos régions que j'ai été amené à m'intéresser au latin. Cependant depuis 12 ans que je milite activement au sein du "Mouvement pour le latin vivant", je suis tout de même devenu en quelque sorte un spécialiste d'un aspect du latin qui est totalement négligé par les philologues actuels. Dans l'opinion publique d'aujourd'hui, le latin n'est plus qu'une matière scolaire traditionnelle, dont on discute beaucoup la valeur et l'utilité.Ceux qui sont officiellement les vrais spécialistes du latin, les philologues classiques de l'enseignement universitaire ou secondaire, continuent à en prôner l'enseignement scolaire et leur argumentation repose sur trois piliers:

– le premier: l'étude de la grammaire latine et grecque est la meilleure gymnastique intellectuelle pour former les jeunes esprits à la capacité d'analyse et de synthèse;

– le second: l'étude du latin et du grec permet d'accéder à une connaissance approfondie de la langue maternelle notamment dans le domaine du vocabulaire;

– le troisième: l'étude du latin et du grec donne accès à la lecture directe des textes classiques, qui sont les fondements culturels de notre civilisation.

L'ennui c'est qu'il n'y a plus actuellement de consensus général autour de ces affirmations. Au cours des nombreux colloques sur ce thème auxquels nous avons participé ou dont nous avons eu connaissance dans divers pays d'Europe, nous avons pu constater que chacune de ces trois thèses était durement contestée.On prétend que les mathématiques exercent aussi bien l'esprit que le latin. On affirme que la langue maternelle est une entité linguistique devenue tout à fait indépendante de ses origines latines et, après tout, ne peut-on pas aussi bien prendre connaissance des textes littéraires anciens par le truchement de traductions?

Une tendance se précise ainsi, qui aboutirait à confiner l'étude du latin à l'université, où parmi d'autres langues anciennes, il serait disséqué à des fins purement scientifiques et spéculatives. Quant aux élèves du secondaire, ils auraient droit à un cours de civilisations anciennes illustré de traductions d'auteurs.

Voilà comment se profile à l'horizon, avec joie pour les uns, tristesse pour les autres, la solution finale de cette fameuse ''Question du latin'' qui remonte au XVIIIe siècle. La ''Question du latin'' est née en France à une époque où l'on a cru pouvoir qualifier le latin de langue morte. Voilà le grand mot lâché: le latin ''langue morte''. A quoi peut bien servir à nos contemporains, qui se veulent pratiques, une langue morte?

Ce qui est étonnant, c'est que malgré cet aspect anachronique du latin, son enseignement se maintienne encore dans nos écoles. Eh bien ce fait est totalement incompréhensible si on ne le situe que dans son contexte actuel. Il ne peut se comprendre que si on le situe dans sa perspective historique, c'est-à-dire si on se donne la peine de se demander d'où nous vient en Occident cette habitude d'apprendre le latin.

Nous allons donc commencer par jeter un coup d'œil en arrière.

[Omettiamo un’ampia, benché interessante digressione storica sullo studio del latino nei secoli]

Revenons donc à notre propos: ''Pourquoi le latin aujourd'hui''. Parce qu'une fois de plus l'Europe a besoin de lui pour réussir son unité, pour retrouver son âme. Voilà la raison fondamentale qu'impose le contexte historique nouveau dans lequel nous vivons depuis la deuxième guerre mondiale. Malheureusement, jusqu'à ce jour, invoquer cette raison, c'est violer un tabou officiel tant elle bouscule d'idées reçues, d'habitudes invétérées et d'intérêts divers.

Si l'on insiste, les objections ne manquent pas de fuser. La première et la plus péremptoire est que rétablir à notre époque l'usage pratique du latin est impossible. J'ai voulu en faire l'expérience personnelle et j'ai acquis la certitude que c'est possible.Pour ceux que des comparaisons confortent, il suffit de regarder l'exemple de l'état d'Israël, où l'hébreu est devenu la langue générale et officielle, alors que, contrairement au latin il avait perdu tout usage pratique depuis plus de deux millénaires. Un autre exemple est celui des Hongrois au siècle dernier, lorsqu'au sein de l'empire autrichien des Habsbourg ils ont revendiqué leur autonomie; leur première démarche pour se singulariser des Autrichiens a été de substituer le latin à l'allemand dans leurs rapports administratifs avec la monarchie, chose que ne pouvait refuser l'héritière du Saint Empire Romain Germanique. Une autre objection, que l'on entend dans les pays qui se disent ''latins'' parce que de langue romane, est celle-ci: "Comment voulez- vous que les peuples européens de langue germanique acceptent le latin avec lequel leurs langues n'ont pas de liens de filiation?''

Eh bien, c'est le contraire que je constate: c'est dans les pays de langue germanique que le latin a eu le plus longtemps un usage pratique, c'est encore dans ces pays que l'enseignement du latin est le plus solide actuellement et c'est toujours dans ces pays que le latin vivant a de nos jours ses foyers les plus actifs. De plus le latin fait profondément partie de la tradition historique de ces pays; jusqu'en Scandinavie, jusqu'en Finlande, les villes abondent d'inscriptions latines sur les monuments et parmi ces inscriptions il y en a de toutes récentes. Sur le fronton de l'immense palais royal de Stockholm c'est une grande inscription latine que l'on peut lire.[…]

Une autre objection courante en France et en Belgique, mais inexistante en Allemagne ou en Autriche, est celle de l'élitisme. L'étude du latin et du grec serait un symbole des privilèges de la classe bourgeoise. Cette affirmation ne résiste pas à l'examen objectif; toute l'instruction de haut niveau a été naguère presque réservée aux plus fortunés; l'instruction est de nos jours offerte à toutes les couches de la population et le latin y a la place de choix que nous avons dite, si on lui attribue son rôle historique.

On entend encore une objection, très virulente en France dans certains milieux, à savoir que le latin est la langue de l'Eglise. Cette affirmation résulte d'une vision tronquée des faits historiques; en effet, comme je l'ai déjà dit, le latin a été jusqu'au seuil de notre siècle une très grande langue scientifique et est resté jusqu'à nos jours une grande langue littéraire sans rapports avec l'Eglise. Ce serait cependant nier l'histoire que de ne pas reconnaître que l'Eglise Catholique Romaine est à la base de l'unité culturelle de l'Europe.

Les Européens d'aujourd'hui se trouvent dans une impasse. Ils ont vaguement le sentiment que pour survivre, pour peser de quelque poids dans le cours des événements, il leur faut se rassembler, s'accepter, s'organiser. Mais ils ne savent comment faire, tant pèse l'héritage des nationalismes. Je dirai même que si les princes sont à l'origine de la création des nations européennes, ces princes ont aujourd'hui des successeurs qui ne tiennent pas tellement à voir amputer leurs pouvoirs nationaux. Aussi se contentent-ils de la situation ambiguë que nous connaissons actuellement même si elle ne peut apporter aucun remède au mal le plus terrible dont souffre l'Europe, à savoir la difficulté de communication interne. On préconise officiellement l'apprentissage de plusieurs langues, avec la conséquence inévitable qu'aucune n'est plus vraiment connue. Et comme cette solution ne permet quand même pas la communication au sein d'une communauté où il y a au moins dix langues qui font valoir leurs droits, c'est une langue extérieure, l'anglo-américain, qui vient arbitrer la situation, une langue qui évolue dans ses formes et son vocabulaire de l'autre côté de l'Atlantique; quelle solution!

Pour ouvrir des perspectives vraiment européennes il y a un autre schéma d'enseignement à proposer, fondé sur l'apprentissage de trois langues..

- la première: la langue maternelle, quelle qu'elle soit, ce qui met sur le même pied les grandes et les petites langues européennes. Selon ses origines on approfondit le catalan ou le castillan, le néerlandais, le français, le provençal...

- la seconde: l'anglo-américain, qui pour un temps indéterminé restera la langue technique nécessaire des sciences et de l'économie.

- la troisième: le latin, mais enseigné d'une manière totalement différente; c'est-à-dire ne pas viser d'emblée le latin littéraire le plus élégant et le plus difficile, mais s'exercer à un latin correct du niveau de la communication courante, ce premier échelon solide donnant bien mieux accès, pour ceux qui le souhaitent, aux raffinements de la langue littéraire.

Ainsi les élèves acquerront un moyen de communication international nouveau, mais, surtout, pourra naître chez eux, quelle que soit leur nation d'origine, le sentiment d'appartenir à une grande communauté historique et géographique.

Vous me direz sans doute que je ne parle jamais du grec, qui est cependant aussi inscrit à nos programmes scolaires. C'est qu'il y a entre le grec et le latin une différence fondamentale. Seul le latin a connu une continuité historique en Europe depuis l'Antiquité. Le grec, qui jouissait au temps de l'Empire Romain d'un remarquable prestige culturel et d'un usage dominant dans les domaines technique et commercial (comme l'Anglo-américain de nos jours), le grec, dis-je, est ignoré du Moyen Age occidental, ce qui fait tout de même un millénaire. Le grec va suivre le destin de l'empire byzantin et subir un terrible naufrage. Supplanté dès le VIIIe siècle par l'arabe de l'Islam en Syrie et en Egypte, il disparaît ensuite progressivement d'Asie Mineure et des Balkans sous les coups des Turcs islamisés; il sombre définitivement en 1453 à la chute de Constantinople. C'est la fuite en Italie des savants de Constantinople qui va ranimer l'étude du grec ancien en Occident et qui va le faire entrer dans nos habitudes universitaires puis scolaires. Personnellement j'aime beaucoup le grec ancien et je l'ai pas mal pratiqué. Mais il est impossible de l'enseigner correctement dans un programme scolaire aussi encombré que celui que nous connaissons aujourd'hui. De toute manière il n'a sa place que dans une filière où l'on approfondit également l'aspect le plus littéraire du latin.

Je serais très heureux si je vous avais convaincus que le latin est en Europe un levain d'une importance capitale. Il est urgent d'adapter son enseignement au contexte historique de notre époque et je crois que c'est un conservatisme anachronique que de vouloir continuer à l'enseigner comme on l'enseignait au siècle dernier.

Je souhaite que les enseignants comprennent qu'ils ont dans cette mutation un rôle capital à jouer; eux disposent d'une bonne connaissance théorique du latin qu'ils peuvent sans trop grand effort transformer en une connaissance active et pratique; j'en connais un certain nombre qui l'ont fait avec succès mais ce nombre est insuffisant, car ce n'est que par l'exemple de la base qu'on peut faire bouger les choses. En Israël, c'est des enseignants et des élèves qu'est venu le renouveau de l'hébreu; ce n'est que quand ce renouveau est devenu un fait suffisamment frappant que les dirigeants politiques l'ont pris en compte et ont décidé de s'en servir. Que cet exemple encourage tous ceux qui sincèrement et avec clairvoyance souhaitent contribuer à l'éclosion d'un nouveau printemps européen. C'est dans cet esprit que nous avons créé la Fondation Melissa et que nous lui avons fixé pour tâche d'informer, de rassembler en associations ceux qui sont favorables à ces idées nouvelles, et d'enseigner le latin d'une façon vivante et moderne...

Fonte : www.latinitatis.com/latinitas/textus/latin.htm


 

10. L’UNIONE EUROPEA A DIFESA DEL LATINO

Riportiamo l’intervista allo slovacco Ján Figel’, Commissario Europeo per l’istruzione, la formazione, la cultura e la gioventù, intervenuto nel 2007 al convegno Futuro latino : “I valori europei sono valori universali”

Il convegno “Futuro latino: la lingua latina per la costruzione e l’identità dell’Europa”, conclusosi presso la Città del Vaticano nella Domus Sanctae Marthae, è stato un momento di confronto tra esponenti della cultura laici e cattolici sulla sempre attuale necessità di attingere alla tradizione antica classica e cristiana, a cui si deve il grandioso patrimonio spirituale e culturale che ancora contraddistingue l’Europa. Roberto de Mattei, vice presidente del Consiglio nazionale delle ricerche e fra i promotori dell’iniziativa, ha presentato un Manifesto in cui viene avanzata la richiesta alle autorità educative e politiche nazionali ed europee di impegnarsi per garantire la sopravvivenza della nostra identità così come finora è stata concepita, avvertendo il rischio di una vera e propria “estinzione” del latino dovuta al suo progressivo abbandono da parte dell’attuale generazione di formatori e di studenti. Lo scrittore Marcello Veneziani ha proposto, nell’ambito di tale allarme, di far nascere una fondazione intitolata, come il convegno, “Futuro latino”.
In occasione dell’incontro curato dal Cnr e dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche presieduto da mons.
Walter Brandmuller, una prima risposta in senso positivo alla preoccupazione degli studiosi è arrivata con la difesa energica e persuasiva della lingua latina e del suo ruolo nella cultura contemporanea globalizzata è arrivata da Ján Figel’
, Commissario Europeo per l’istruzione, la formazione, la cultura e la gioventù, a cui abbiamo posto alcune domande con questa intervista in esclusiva.

Cosa ne pensa di questa iniziativa volta a  promuovere lo studio e la diffusione della lingua latina?
Nelle polemiche sulla ‘utilità’ del latino, coloro che si oppongono affermano che si tratta di una lingua morta e di uno spreco di tempo. Certo, il latino non è quella che i linguisti chiamerebbero una ‘lingua naturale’ , ma dall’altro lato non sono neppure d’accordo con coloro che ne danno la definizione di una ‘lingua morta’. Il latino ha applicazioni concrete, seppure limitate, nella pratica della Chiesa Cattolica. Inoltre il suo studio è vantaggioso per l’apprendimento delle lingue naturali, e non mi riferisco solo a quelle romanze, e consente di aprire direttamente le porte alle ricchezze del nostro passato, senza bisogno di ricorrere alle traduzioni. Esso è un allenamento per la mente e, secondo alcuni, una vera e propria ginnastica per i ‘muscoli cerebrali’”.
La mia presenza qui è la migliore risposta, e sta a testimoniare che questa iniziativa ha una importanza particolare perché quello che forma l’Europa sono i nostri valori, la nostra lingua, la nostra cultura. L’Europa non è solo una espressione geografica, economica o commerciale ma una comunità culturale. […]

Fonte: Uomo e Ambiente (http://mariomasi.wordpress.com/category/jan-figel/)

 

INDICE

IL LATINO E LE DUE CULTURE

1. Luca Cavalli Sforza, Studiando, studiando p. 3

2. Giovanni Gallavotti, Sui contenuti essenziali per la formazione di base. Il conflitto inesistente p. 5

3. Enomis, Latino come matematica, p. 6

4. Marcello Sorce Keller , Elogio delle cose inutili. Musica, latino e altre belle cose p. 8


LATINO LINGUA MORTA?

5. Maurizio Ferrera, Classi dirigenti. Gli americani riscoprono il latino e il greco. p. 10

6. Marina Cavallieri, Il latino nuova lingua d’America (con Intervista a Luca Canali) p. 12

7. La lingua latina oggi: nel web e in libreria.(a cura di P. Signoroni) p.13


LATINO E CIVILTA’ EUROPEA

8. Roberto Mattei, Il latino lingua morta ? p. 15

9. Guy Licoppe, Pourquoi le latin aujourd’hui? P. 17

10 L’unione europea a difesa del latino p. 21