LAZIO

Il Tar chiude la porta ai prof di religione

«Non possono partecipare a pieno titolo agli scrutini
ed il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito»

 La Stampa 11.8.2009

ROMA
I docenti di religione cattolica non possono partecipare a pieno titolo agli scrutini ed il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito scolastico: a stabilirlo è il Tar del Lazio, che con la sentenza n. 7076 ha accolto i ricorsi presentati, a partire dal 2007, da alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, che chiedevano l’annullamento delle ordinanze ministeriali firmate dall’ex ministro Giuseppe Fioroni e adottate durante gli esami di Stato del 2007 e 2008. La bocciatura delle ordinanze è stata spiegata dal Tar attraverso motivazioni che non entrano nel merito della questione, ma si soffermano su concetti di principio: «in una società democratica - affermano i giudici - certamente può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un’implicita promessa di vantaggi didattici, professionali ed in definitiva materiali». Ne consegue che l’inclusione della religione nella rosa delle materie da cui scaturiscono i giudizi degli allievi è ritenuta illegittima: secondo il Tar questa interpretazione, data dal ministero dell’Istruzione, «appare aver generato una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del pensiero; nonché di libera determinazione degli studenti relativamente all’insegnamento della religione cattolica».

Vengono così accolte in pieno le richieste formulate dalle diverse associazioni coordinate dalla Consulta romana per la Laicità delle istituzioni e dall’associazione `per la Scuola della Repubblicà (che giudicano la «sentenza illuminante») assistite dagli avvocati Massimo Luciani, Fausto Buccellato e Massimo Togna. Ad esse il Tar ha riconosciuto la richiesta di salvaguardia dei valori di carattere morale, spirituale e/o confessionale che «sono tutelati - secondo i giudici regionali - direttamente dalla Costituzione e che quindi come tali non possono restare estranei all’alveo della tutela del giudice amministrativo». Nella sentenza, emessa il 18 luglio e resa nota in questi giorni, i giudici fanno menzione anche del principio della laicità dello Stato, enunciato dalla Corte Costituzionale (sentenza n.203/89), ritenuto garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale: «sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente - sottolinea il Tar- essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico».

Partendo da questo concetto di fondo lo stesso metro va adottato per i crediti formatici utilizzati dai commissari della maturità, derivanti da esperienze extra-curricolari svolte nell’ultimo triennio delle superiori e che hanno incidenza diretta nella formazione del punteggio finale (fino a 25 punti), Per i giudici del tribunale del Lazio «l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica». Quindi, ha precisato ancora la sentenza, «lo Stato, dopo aver sancito il postulato costituzionale dell’assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto noto, non può conferire ad una determinata confessione una posizione dominante».