La scuola in stand by: di Alessandro Giuliani La Tecnica della Scuola, 9.8.2009 Se i rapporti delle autonomie locali con il Governo non si rassereneranno nel breve periodo il rischio è lo slittamento o la modifica sostanziale di molti provvedimenti: in particolare la riforma del secondo ciclo e il dimensionamento. Questioni che il ministro Tremonti dava per assodate, ma che ora potrebbero clamorosamente tornare in discussione. Come già lo è il testo sul nuovo stato giuridico dei prof. Le divergenze politiche accavallatesi nei dieci precedenti alla pausa ferragostana sembrano condurre la scuola italiana verso una situazione di stallo. Contravvenendo alle intenzioni del Governo che negli ultimi mesi aveva tanto puntato sul rinnovamento legislativo, ritenuto apripista di un modello scolastico più incentrato (sia sul fronte dei docenti sia dei discenti) sul merito e sulla selezione. Così prima abbiamo assistito alla proposta leghista di introdurre nel ddl Aprea sul nuovo stato giuridico dei docenti un "test d`ingresso a carattere culturale e professionale", la cui conseguenza è stato il blocco dei lavori intrapresi dal comitato ristretto che sta portando avanti in Commissione Cultura l’iter di approvazione del testo. Al di là dei dietrofront di circostanza della stessa Lega (“era solo per capire se i docenti sono in gradi di valorizzare i saperi e le tradizioni locali, mai parlato di test dialettali”), l’intoppo appare tutt’altro che in via di risoluzione: primo perché ad ammetterlo è la stessa propositrice del ddl, Valentina Aprea, la quale confermando "la volontà a riprendere il discorso" ha anche specificato che prima però bisognerà "chiedere agli altri se c’è questa intenzione". Secondo perchè gli altri sarebbero in gran parte gli esponenti della Lega; i quali non fanno fatica ad ammettere che il testo di riforma della professione dei docenti così com’è formulato, senza paletti che inibiscano la mobilità regionale, va respinto: "i voti al Sud – ha fatto sapere senza troppi giri di parole l’on. Paola Goisis, ex insegnante veneta - sono gonfiati. Sia per le università, che per le abilitazioni, sia per i master comprati". E a rincarare la dose stavolta ci si è messo pure Bossi, che da Pontida ha annunciato di voler presentare subito dopo l’estate “la legge per la salvaguardia dei nostri dialetti che dovranno essere insegnati anche nelle scuole”. “E su questo progetto – ha sentenziato il senatur - andremo sino in fondo”. Mandando così un chiaro segnale di tenuta della posizione a chi, come l’Aprea, sperava che gli attriti si sarebbero sciolti con il sole d’agosto. Il rischio concreto è che, piuttosto, le tante novità che il ddl avrebbe dovuto introdurre rischiano di andare in soffitta prima ancora di vedere la luce. Così niente da fare per l’introduzione nelle scuole di una serie di novità orientate al merito ed alla competizione che avrebbero stravolto l’attuale organizzazione del mondo scolastico: rimangono in stand by il modello della fondazione, del consiglio di amministrazione e del nucleo di valutazione. Ma anche gli albi regionali dei docenti per assegnare le supplenze, la nuova gestione dei concorsi, con cadenza triennale a gestiti direttamente dagli istituti, il nuovo modello di docenti (iniziale, ordinario ed esperto) e l’innovativa figura del vice-dirigente. Ancora più complicato è poi un altro versante fondamentale per le sorti della scuola italiana: i rapporti Stato-Regioni. Anche su questo fronte siamo alla rottura: risultano troppo distanti le posizioni tra i governatori, che reclamano risorse per gli investimenti, e il Governo, che invece ritiene di aver provveduto a “coprire” adeguatamente tutte le richieste. A nulla è servito l’incontro, il 5 agosto, tra il premier Silvio Berlusconi e Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni. Poche parole, pronunciate da quest’ultimo, bastano a sintetizzare che aria tira: "E' confermata la rottura fra Governo e regioni. L'incontro e' stato negativo. Temiamo che non ci siano le risorse per gli investimenti: è ora di fare un'operazione verità". Improbabile che, permanendo questa situazione, la Conferenza unificata (di cui fa parte il Governo, le Regioni, ma anche le autonomie locali come le Province e i Comuni) possa riprendere a dialogare. Almeno nel breve periodo (a meno che non si convochi un’incontro straordinario il primo è previsto solo per la terza decade di settembre). Mentre sul fronte scolastico sarebbe servita un’accelerazione dei lavori. Su uno in particolare, la conferma delle sezioni “primavera”, che riguardando l’avvio anticipato dei bimbi nella scuola dell’infanzia, c’era necessità di dare comunicazione immediata ad oltre 20.000 famiglie su come organizzarsi tra un mese, quando riapriranno gli istituti. E non è che per le altre questioni i tempi siano molto più dilatati: per vedere attuati gli schemi di regolamento dei nuovi licei, degli istituti tecnici e degli istituti già dal 2010/11 è infatti necessario comunicare agli istituti superiori le modalità della riforma non oltre i primi di novembre. Poi, ammesso che via sia un cambiamento di rotta ed arrivi l’improbabile via libera da parte della Conferenza, la questione passerebbe tra le mani del Consiglio di Stato. E solo allora, ammesso sempre che fili tutto liscio, il Cdm varerebbe una volta per tutte i regolamenti. Che comunque non sarebbero ancora applicabili senza l’ok del presidente della Repubblica e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Considerando che tra i pareri chiesti alla Conferenza Stato-Regioni vi erano anche altri punti – i criteri per il dimensionamento degli istituti e la razionalizzazione di quelli più piccoli - le questioni al momento ferme in “purgatorio” diventano molte. Questioni su cui tra l’altro, bisogna ricordare, il ministero dell’Economia non transige: tranne che per gli anticipi alla materna, risultano infatti tutte fondamentali per il risparmio degli 8 miliardi di euro in tre anni previsti dalla Legge 133/08. Comunque per capire il loro destino non servirà molto: per una volta anche il silenzio avrebbe molti significati. |