La "Questione meridionale".
Un tentativo di risposta.

 Pasquale Almirante, La Sicilia 14.9.2008

Ernesto Galli della Loggia sul Corriere si chiede, dopo l’analisi degli ultimi dati Ocse-Pisa, come mai la scuola del sud per un verso venga ancora bocciata, mentre quella del centro-nord tiene e progredisce rispetto all’Europa, e per l’altro abbia invece la percentuale più alta dei diplomati centisti. Qualcosa dunque non funziona, afferma, e con ogni probabilità i responsabili sarebbero gli intellettuali che avrebbero dato forfait, non solo nella loro funzione storica meridionalistica, ma anche nella prassi quotidiana di pungolo e di critica al potere.

Dal nostro punto di vista non possiamo fare altro che dargli ampia ragione, sia in riferimento al ruolo dei cosiddetti intellettuali, e sia pure in riferimento al lavoro dei docenti meridionali, benché uno studio serio afferma che “il divario fra Nord e Sud, relativamente al successo a scuola, dipende per il 30% dall’ambiente familiare, per il 20% dalle strutture scolastiche e per il 50% dal contesto ambientale.” Non si vuole con questo mitigare le responsabilità della intellighenzia locale, anzi, a sostegno di Galli della Loggia, vorremmo rilevare come né essa né la classe docente faccia qualcosa per denunciare, sia il divario sempre più netto fra le due Italia, e sia la loro scarsa incidenza nei fenomeni culturali.

Gli elementi di analisi della gestione politica, come si può realmente osservare, sono pressoché nulle e nulla si sente ventilare né dalla opposizione, né da frange critiche della maggioranza stessa. Sembra di assistere a un robusto monologo del governo locale che riesce a giustificare senza impaccio tassi di disoccupazione altissimi, criminalità, migrazioni al nord, clientelismi e perfino richieste di aiuto finanziario a Belusconi come fatto del tutto naturale. La vecchia eredità politica della sinistra, che invase le terre e le fabbriche, è sfumata in un progetto nebuloso e astratto, mentre il sindacato è alla ricerca di se stesso.

E se manca l’intervento politico per aggiustare lo svantaggio col Nord, altrettanto assente è il ruolo dei docenti, sia nella gestione spicciola della scuola, e sia in quello di studio e di critica della società che essi cercano di spiegare ai ragazzi. Sembra per paradosso che l’incarico di commessi della cultura del potere assegnato ai professori da Gramsci si materializzi anche quando accettano la ideologia assai diffusa della delega per cui sperano, per modificare un triste andazzo, nell’intervento improbabile dall’Alto, mettendo in soffitta le grandi opportunità offerte per esempio dall’autonomia didattica e amministrativa.

La classe docente meridionale, se per un verso deve fare i conti con le carenze strutturali, di ricchezza, di occupazione, che la mettono in crisi quando deve decidere il destino d’un ragazzo, per l’altro non riesce nemmeno a partecipare in termini paritari e di matura convinzione politica e di funzione alle piccole decisioni che ogni giorno vengono fatte. Come nel suo smarrimento ideale tra i corridoi della società, ha smarrito pure la possibilità di incidere con le sue scelte, le sue convinzioni e la sua stessa cultura nella scuola. Né dalle Università viene segnale differente benché da quelle parti la ricerca sociologica è nutrimento quotidiano.

Tutto questo è conseguente pure alla elargizione di voti alti nei diplomi che non deve essere motivo di scandalo o accusa di asineria professionale, semmai motivo di riflessione e segnale di malessere di cui i maestri-educatori, come i fedeli commessi della cultura dominate, sono portatori e interpreti, e pure specchio della società politica che servono.